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Diamanti puliti, ecco il certificato

Un sistema per tracciare la provenienza delle pietre preziose.I traffici incriminati riguardano il 3% del mercato, ma bastano per finanziare guerre sanguinose.

di Redazione

Sierra Leone, il peggior posto in cui vivere secondo le Nazioni Unite. La guerra civile scatenata dal Revolutionary united front ha provocato qualche centinaio di migliaia di morti, 700mila sfollati e circa 500mila esuli, oltre a saccheggi, stupri, mutilazioni, violazioni dei diritti umani . Angola, il peggior posto per un bambino in cui crescere secondo l’Unicef. Gli ultimi 10 anni di guerra combattuta tra il movimento angolano dell’Unita e il governo hanno provocato circa mezzo milione di morti e parecchie centinaia di migliaia di bambini e adulti mutilati dalle mine. Più di un quarto della popolazione ha dovuto abbandonare la propria casa. Congo, stesso scenario: più di un milione di sfollati, parecchie centinaia di migliaia di morti, massacri, rapimenti, stupri e una situazione economica tragicamente compromessa. Sono le guerre per i diamanti che negli ultimi 30 anni hanno insanguinato gran parte delle aree diamantifere africane. E pensare che i “blood diamonds” (diamanti di sangue) come li chiamano le ong, o “conflict diamonds”, eufemismo preferito da produttori e commercianti, rappresentano solamente il 3% del mercato dei diamanti grezzi. Ma è grazie a queste gemme, estratte per lo più da civili minacciati con la forza, che i guerriglieri fino alla rete di Al Qaeda finanziano le proprie battaglie. Il 20 marzo scorso, i rappresentanti di 37 Paesi, l’Ue, il Wdc-World diamond council e le ong hanno raggiunto a Ottawa un accordo su un sistema di certificazione per tracciare la provenienza dei diamanti grezzi e tentare di arrestare il flusso di quelli sporchi. La filiera delle gemme L’idea è quella di conoscere ogni tappa percorsa dalle gemme: dal luogo di estrazione al luogo di esportazione, a quello di lavorazione, alla destinazione finale. Prima di riunirsi in Canada, le parti in causa hanno fatto tappa a Milano in un vertice che si è svolto alla Fiera, con la partecipazione dei presidenti del Wdc, Eli Izhakoff, e del gruppo De Beers, Nicky Oppenheimer, e della Confederazione mondiale dei gioiellieri, Gaetano Cavalieri. L’accordo è l’atto finale di un processo nato in Sudafrica nel maggio 2000, con il Kimberly Process. Si tratta di una tavolo permanente, promosso dal Sudafrica e che coinvolge oltre 35 Paesi, il cui fine è quello di giungere a una certificazione omologata dei diamanti venduti nel mondo. Si è parlato di “breakthrough” cioè di sfondamento di una situazione che stagnava oramai da 18 mesi, arginata poco efficacemente da risoluzioni dell’Onu. Infatti, i divieti di importare diamanti estratti in Angola e Sierra Leone (non accompagnati da un certificato d’origine), e di importazioni dalla Liberia sono stati, fino ad ora, aggirati esportando, attraverso Stati africani conniventi, verso Paesi europei con controlli poco rigorosi. In un documento datato 14 febbraio 2002, Amnesty international, Fatal transactions, Global witness, Oxfam international, Partnership Africa Canada, Physicians for human rights, World vision, sette delle maggiori organizzazioni che hanno seguito il Kimberly Process dall’inizio, hanno fatto il punto su ciò che resta ancora da fare. Manca un database internazionale che riporti dati e statistiche sulla produzione e commercio di diamanti grezzi e si discute ancora su come il sistema di certificazione si debba integrare con le regole del Wto. Arma spuntata? Ma il grosso punto debole sollevato da Partnership Africa Canada in seguito al meeting canadese, e che ha portato a definire l’intero sistema «un cane da guardia senza denti», è la mancanza di un organismo indipendente che verifichi i controlli all’interno dei Paesi produttori. Finché l’adesione al Kimberly Process resterà su base volontaria, il processo non potrà essere efficacemente implementato. Input www.worlddiamondcouncil.com è il sito del World diamond council e riunisce i delegati di Paesi estrattori e utilizzatori


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