Welfare

Dialogo con Salvini sull’immigrazione. Immaginario, ma con parole vere

Vi proponiamo la seconda parte di un colloquio, ovviamente mai avvenuto, ma con parole realmente pronunciate da entrambi. Da una parte Nino Sergi, dall'altra Matteo Salvini. Un’aspirazione ad uscire dai monologhi di questa fase comunicativa, per avviare occasioni di dialogo. Per ora almeno su web. Su un tema caldissimo, l'immigrazione

di Nino Sergi

Da tempo cercavo l’opportunità di riflettere con il ministro Salvini su Europa e immigrazione. L’occasione del confronto è stata una soleggiata mattina in piazza del Popolo a Roma nella quale si è sviluppato uno schietto dialogo in forma inusuale ma veritiera. Ecco la seconda parte relativa all’immigrazione. La prima parte sull’Europa è stata pubblicata l’11 gennaio 2019

IO – «Ministro, dopo aver parlato di Europa, mi piacerebbe ora ragionare sull’immigrazione. Non si è stati capaci di governarla con lungimiranza, né in Italia né in Europa, in più di trent’anni. Eppure sarebbe stato possibile e continua a mio avviso ad esserlo».

SALVINI – «È proprio quello che sto cercando di fare e con successo, come i dati dimostrano. Ci raccontavano che l’immigrazione era un fenomeno epocale, che sugli sbarchi non si poteva fare nulla. È bastato un po’ di buon senso e un po’ di coraggio e abbiamo risparmiato migliaia di vite, abbiamo evitato centomila arrivi. Sai che idea mi sono fatto? Che i veri razzisti, se ci sono, sono e saranno quelli che pensano di svuotare il continente africano e di trattarlo come una riserva indiana da depredare e da trasferire con i suoi limiti e le sue povertà dall’altra parte del mondo, mancando di rispetto ad una civiltà millenaria. L’Africa non si aspetta compatimento o carità; si aspetta aiuto vero per studiare, curarsi, crescere, lavorare, ognuno nella sua terra, nel suo villaggio, fra la sua gente, senza sradicare popoli e culture. E non scappano dalla guerra. Magari la guerra ce la portano qui a Roma, al quartiere S. Lorenzo, spacciando morte. Non è questa l’integrazione che abbiamo in testa. Entro le prossime settimane partirà un progetto, a cui io personalmente ho lavorato con alcuni imprenditori privati, che permetterà a 800 ragazzi e a breve ad altre decine di migliaia di mangiare, studiare, vivere e lavorare nella loro terra in Ghana (che era uno dei paesi che in Italia erano noti per le statistiche degli sbarchi e dei crimini), spendendo 6 euro al giorno. Sono ben spesi. I 35 euro che spendevamo in Italia andavano nelle tasche dei furbacchioni e dei mafiosi e quindi sono ben contento di averli tagliati».

IO – «Senza per ora entrare nel merito che così generico, superficiale e confuso non posso proprio condividere, quello che dice riguarda un lato delle politiche migratorie ma non risponde a ciò che ci si aspetta da una politica governativa. Governare i movimenti migratori e la mobilità umana non può riguardare solo il blocco degli ingressi, le espulsioni, le misure di polizia e qualche progetto educativo in Africa. È vero che tra i suoi compiti c’è la tutela dell'ordine e della sicurezza ma anche la “tutela dei diritti civili, ivi compresi quelli delle confessioni religiose, di cittadinanza, immigrazione e asilo”. Non siamo più sotto Vittorio Emanuele I° che nel 1816 istituì il ministero di Polizia per "vegliare incessantemente sopra tutto ciò che può alterare l'ordine e la tranquillità dello Stato". La sua visione sull’immigrazione avrà indubbiamente anche uno sguardo più ampio, che dia risposte alle percezioni e alle paure, come è giusto che sia, ma che guardi soprattutto alla realtà a cui lei ci richiama sempre. La realtà non è né di invasione né di propagazione di criminalità o terrorismo. Nessuno vuole svuotare l’Africa per portarla qui. Lei si è presentato al suo elettorato nella lista ‘Salvini premier’, e un aspirante premier, specie quando afferma pubblicamente di avere una visione da statista non può alimentare false percezioni, anche se funzionali al consenso».

SALVINI – «Parliamo di cose serie e della vita reale. Molti di quelli che criticano il decreto sicurezza non l’hanno letto o hanno letto Topolino. Perché nel decreto ci sono più poteri ai sindaci, ci sono più soldi per le telecamere di sorveglianza, c’è la possibilità di assumere vigili urbani, c’è la possibilità di utilizzare la pistola elettrica che ha già aiutato a mettere al loro posto delinquenti che altrimenti sarebbero stati un grave pericolo. Nel decreto sicurezza si entra nella vita reale, non si rimane nella fantasia e filosofia come talvolta sento dire in televisione dalla politica. Nella vita reale non possono esserci migliaia di abusivi che fanno concorrenza sleale ai commercianti e agli artigiani italiani che pagano le tasse e che rispettano le regole, o parcheggiatori abusivi che se non gli dai cinque euro ti bucano le gomme o ti rigano la macchina. Cambiare si può. L’Italia può tornare ad essere il paese più bello del mondo, dove vivere, studiare, lavorare, progettare un futuro e pensare di mettere al mondo dei figli siano un sacrosanto diritto. Questo governo dovrà essere giudicato dal numero di culle che tornano a riempirsi in questo paese, dal numero di bimbi che tornano a nascere, con una mamma e un papà. Rispetto chiunque mi porta rispetto; e questo paese è pronto ad ospitare donne e bambini che scappano dalla guerra. Però non penso che il Natale o ‘Tu scendi dalle stelle’ dia fastidio a qualcuno. Anzi, bimbi diversi che giungono da paesi e culture diversi non hanno il dovere ma il diritto di aprirsi al mondo perché la cosa più bella è la gioia, l’ingenuità, l’apertura mentale dei nostri figli. Se li educhiamo al rispetto, all’integrazione e alla convivenza da piccoli, cresceremo delle buone generazioni».

IO – «Queste ultime parole mi piacciono, però vorrei procedere per ordine. La prego di ascoltarmi. So che sa farlo e saprà ascoltare anche chi la pensa diversamente. Mi dicono poi che, dietro al suo modo istintivo, pragmatico e poco incline a farsi ingabbiare istituzionalmente, c’è in lei un forte senso delle istituzioni. Se è così, c’è un terreno comune, che mi incoraggia a parlarle chiaro, come è bene che sia, di fronte a un tema complesso come l’immigrazione. Complesso ed epocale, anche se quest’ultima parola non le piace; nel senso che siamo in un’epoca in cui gli spostamenti sono molto più facili di un tempo: tutto si sposta nel mondo moderno e ogni lontananza geografica può essere da tutti vissuta come vicinanza. La spinta a muoversi sarà difficilmente contenibile ma può e deve essere governata».

SALVINI – «Certo. Ascolto tutti incontrando cittadini, comunità, imprenditori, giovani, donne, anziani, amministratori. E ciò guida la mia azione nel cercare di dare risposte concrete. Siamo pagati per fare, per lavorare, per costruire, per risolvere i problemi. E sull’immigrazione ti segnalo gli ultimi dati: 2 febbraio 2018: 4566 sbarchi; 2 febbraio 2019: 202 sbarchi, con una variazione di – 95%. Ci sono poi 482 espulsioni, il triplo rispetto agli sbarchi in questo inizio 2019. Altri chiacchieravano, noi facciamo. Dalle parole ai fatti. Senza navi delle Ong davanti alle coste della Libia, guarda caso, da giorni non parte più neanche un barcone, e non muore più nessuno. Siamo al lavoro per risolvere definitivamente il problema, sigillando le acque territoriali italiane alle navi sgradite, come quelle delle Ong».

IO – «Qui c’è molto da dire e contraddire, ministro. Allora cercherò davvero di esporle un punto di vista diverso. Questi numeri dicono qualcosa, fanno effetto, come fanno sensazione le sue asserzioni buttate lì con una capacità comunicativa che le invidio, ma la questione è ben più ampia e complessa; e lei è troppo intelligente per non saperlo. Senza affrontare la complessità dell’immigrazione si mettono delle pezze, come è stato fatto in questi decenni, lasciando le questioni aperte e continuamente rinviandole e quindi complicandole. È dalla fine degli anni ’70 che seguo da vicino e cerco di studiare i movimenti migratori e l’immigrazione, insieme ai fenomeni e alle motivazioni che li producono in paesi che ho potuto conoscere direttamente con una presenza umanitaria e di cooperazione allo sviluppo. È proprio chi non la pensa come lei che può arricchire, con elementi di analisi, riflessione, proposta, il suo lavoro per delineare una complessiva politica italiana ed europea sull’immigrazione che spazi dall’oggi ai prossimi decenni. È ciò che i 60 milioni di italiani e i 500 milioni di europei si aspettano dai loro governi».

SALVINI – «Lo ripeto, ascolto e rispetto tutti, purché portino a loro volta rispetto». Però niente lagna buonista e non farmi perdere tempo.

IO – «Nessuna perdita di tempo e nessuna lagna, solo ragionamento. Anche se non concorda (e non ne dubito) la prego di non interrompermi, perché le cose sono connesse e vanno viste nel loro insieme e non a pezzetti. La mia parte di ascolto l’ho già fatta, avendo seguito alcuni suoi interventi sul web. Ora è il suo turno. Mi limiterò a sette punti, anche se ne avrei in mente più del triplo.

1. Lo stop agli ingressi regolari è il principale pull factor. La politica tende normalmente a scaricare su fattori esterni la propria incapacità di fornire le giuste e durature soluzioni e può facilmente assicurarsi il sostegno dell’opinione pubblica con gli strumenti del moderno game comunicativo. L’immigrazione irregolare e illegale sono invece in gran parte la conseguenza di scelte e fattori interni, tra cui principalmente l’insensata decisione dei governi di bloccare gli ingressi regolari, illudendosi di poter fermare definitivamente l’immigrazione. In realtà ciò ha provocato conseguenze opposte. Bloccando gli ingressi regolari, legali, controllati, sicuri, si è lasciato libero spazio a trafficanti e mafie internazionali che hanno ingannevolmente propagandato la facilità dell’emigrazione illegale, in un crescendo che è arrivato alle forme criminali di incentivazione, tratta e sfruttamento a cui assistiamo. Si è parlato di Ong pull factor, taxi del mare, vicescafisti. Anche lei ed altri membri del governo vi siete esercitati in questo penoso esercizio per fuorviare l'opinione pubblica. L’esserci riusciti non va certo a vostro onore. Il vero pull factor, il vero fattore di attrazione è proprio l’aver lasciato campo libero all’irregolarità e all’illegalità, senza alcuna capacità di governo del fenomeno, subendo l’iniziativa dei criminali invece di contrastarli. Procedere con misure di polizia o militari alla chiusura dei confini o delegare tale compito ad altri Stati non impedirà l’illegalità se al contempo non si ristabiliscono adeguati criteri di immigrazione regolare. Proprio perché regolare, essa non sarà affatto un’invasione, come spesso si ripete a vanvera. Con gli ingressi regolari e controllati si toglierebbe spazio ai criminali ed alle mafie coinvolte nella tratta dei migranti e si metterebbe un freno efficace agli ingressi illegali, che ci sono tuttora quotidianamente e di cui non si parla, e alle morti in mare e lungo le rotte di terra.

2. Contrastare la tratta di esseri umani e salvare le vite. Ha ragione quando afferma che il contrasto alla tratta, al traffico migratorio criminale e allo sfruttamento di esseri umani deve essere severo, inflessibile e deve avvenire in collaborazione con le polizie europee e dei paesi africani, mediterranei e mediorientali con cui attivare accordi. Spesso però non si vuole tenere presente che, come succede in Libia, le amministrazioni e le forze dell’ordine possono facilmente essere infiltrate dalle stesse mafie e organizzazioni criminali che dovrebbero combattere. Consegnare naufraghi alla guardia costiera libica significa abbandonarli ad un destino di crudeltà e indicibili sofferenze. E’ dovere di ogni Stato garantire piena tutela e protezione alle vittime dei traffici criminali, degli abusi e dello sfruttamento. Lo si sta facendo? Evidentemente no. Le Ong (le poche che negli anni hanno perseverato) hanno cercato di salvare vite umane, come fanno in tutto il mondo: umane, signor ministro. Hanno fatto forse errori, sono state forse presuntuose, ma questo, solo questo, è stato il loro intento: salvare la vita di esseri umani. E non è mancata la riflessione sull’aiuto che involontariamente può essere fornito ai trafficanti che ne approfittano organizzando l’arrivo massiccio di migranti lungo le coste nordafricane, lucrando su viaggi insicuri e rischiosi, provocando di conseguenza un alto numero di morti. Di fronte però all’incapacità dei governi e della comunità internazionale, severi a parole ma inconcludenti nella realtà (in Libia i centri di detenzione e tortura continuano nell’indifferenza generale), è prevalso sempre l’imperativo di salvare le vite. Un giorno, lo spero, finite le interminabili campagne elettorali, lo si riconoscerà.

3. Riaprire canali di ingresso regolari. E’ quindi indispensabile ristabilire la possibilità di ingressi regolari a livello europeo, tenendo presenti le necessità delle imprese, del mercato del lavoro, delle famiglie, ma anche la bassa natalità, l’invecchiamento della popolazione e lo spopolamento di molte aree. Al 1° gennaio 2019 l’indice medio di vecchiaia italiano è del 172,9%, cioè 173 anziani con più di 65 anni ogni 100 giovani con meno di 14 anni, con ben 12 regioni con un indice superiore, fino al 252% della Liguria. Nel 1961 l’indice era 38,9% (40 anziani ogni 100 giovani), nel 1981 era 61,7%, nel 2001 era già 129,3%. L’accelerazione è impressionante, anche rispetto agli altri paesi europei che si mantengono su tassi tra l’85% della Spagna e il 159% della Germania. Ogni politica nazionale per favorire nuove nascite, come da lei auspicato, richiederà tempo e non basterà se non sarà affiancata da ampie e coordinate politiche europee. E’ forse la più grande sfida del nostro futuro, in Italia, in Europa e nel resto dell’Occidente. L’immigrazione sarà una delle componenti che dovranno essere prese in considerazione: forse non la principale ma è doveroso pensarci e prepararsi, perché va programmata, qualificata, formata, accolta e integrata. La storia migratoria italiana potrebbe insegnarci molto ma l’abbiamo scioccamente rimossa. A mio avviso, il “no pasaràn”, l’opzione politica della fermezza radicale, non potrà durare a lungo. Saranno i dati demografici, italiani ed europei, l’invecchiamento della nostra gente, la realtà di molte nostre imprese, le esigenze delle nostre famiglie, i condizionamenti delle dinamiche mondiali che non si fanno bloccare dalle frontiere, a fare aprire gli occhi alla Politica. Sperando che ciò avvenga prima che sia eccessivamente tardi.

4. Accordi con i paesi di provenienza e transito. Se ne parla da tempo a livello governativo ed è la strada da perseguire. Gli accordi multilaterali e bilaterali sono sempre utili, talvolta indispensabili, anche in materia migratoria. Accordo non può però significare intimazione. Quando, con i paesi di provenienza e transito, essi si basano su rapporti di rispetto e reciprocità collaborativa, permettono di stabilire partenariati di cooperazione proficui e duraturi, a pari dignità e mutuo interesse. Permettono anche di pattuire quote di ingressi che al contempo rispettino le loro programmazioni e siano compatibili con le nostre possibilità ed esigenze; e anche di concordare condizioni, vincoli ragionevoli ed eventuali punteggi di selezione. La regolarità dell’ingresso e la cornice dell’accordo politico possono inoltre facilitare da un lato una migrazione circolare con normali ritorni al proprio paese e dall’altro una cooperazione transnazionale con scambi economici, commerciali, culturali tra realtà territoriali, qui e lì. Anche le intese sui rimpatri volontari e quelle sulle legittime espulsioni potrebbero trovare più facilmente il loro spazio. Si ridurrebbero le partenze di minori non accompagnati e soprattutto si creerebbero le migliori condizioni per facilitare l’inserimento e l’integrazione in Italia. Pretendere accordi in materia migratoria senza una vera reciprocità, senza stabilire una mutua relazione, sarebbe solo manifestazione di prepotenza e di pretesa superiorità: che non portano da nessuna parte, quando non esasperano.

5. Regole precise e chiare. Ristabilire precise e chiare regole per gli ingressi, esigendone il rispetto, è una delle priorità per potere uscire dalla fase emergenziale e alquanto disordinata che l’Italia ha vissuto e per potere dare inizio ad attive, condivise ed efficaci politiche di integrazione, finora mancate. Non tutti gli immigrati fuggono dalla guerra, dalle calamità, dalla fame. Occorre prenderne atto. Stabilire regole precise nel rispetto dei diritti umani e della dignità della persona è la via maestra per permettere un’adeguata accoglienza e integrazione a tutti, a partire da chi ha bisogno di aiuto e protezione. E sarà proprio l’apertura agli ingressi regolari a poter legittimare opzioni politiche di fermezza contro ogni forma di immigrazione incontrollata, dando ai cittadini il segnale che davvero le cose stanno cambiando, non con provvedimenti emergenziali ma con politiche che intendono governare l’immigrazione in modo ‘ordinato, regolare e sicuro’. Uso intenzionalmente le tre parole chiave del patto globale sulle migrazioni, risultato di un lavoro a livello internazionale che ha le sue radici in decenni di analisi, valutazioni, proposte, mediazioni, indicazioni, mentre il governo e il parlamento italiani l’hanno rifiutato in poche ore, con una superficialità disarmante. Ma c’è tempo per rimediare.

6. Politiche europee comuni. Di Europa e di Unione europea abbiamo già parlato nella prima parte. Sull’immigrazione, anche lei si renderà conto che una sommatoria di politiche nazionali basate su differenti visioni e su interessi egocentrici non può che portare, come è avvenuto, a ripetuti veti nelle decisioni del Consiglio europeo, paralizzando la Commissione e ogni tentativo di definire politiche comuni, che pur sono considerate indispensabili. E’ necessario uscire da questa schizofrenia politica europea: ed è compito e dovere degli Stati membri, compresa l’Italia. Da tempo mi domando perché lei, che chiede il superamento del sistema di Dublino che penalizza i paesi di primo arrivo dei rifugiati, ha sdegnosamente rifiutato di prendere in considerazione il testo di revisione del relativo regolamento proposto dalla Commissione e dal Parlamento europeo. Si tratta di una proposta conveniente per l’Italia. Lei poteva far valere le ragioni italiane per migliorarla ulteriormente. La strada era spianata ma è stata inspiegabilmente interrotta. Alcuni anni fa era stata proposta la creazione di un’Agenzia europea per le migrazioni e la mobilità. Sarebbe opportuno riprenderla e attuarla, non accontentandosi però di ridurla, come è stato fatto con Frontex, alla sola dimensione del controllo e della difesa dei confini. Quanto ai limiti e alla povertà che lei attribuisce in particolare all’Africa, essi sono solo una parte della realtà. Si tratta di un continente sempre più allettante per le sue potenzialità di sviluppo: occorre ormai convincersene, insieme al resto del mondo. Europa e Africa sono destinate ad un cammino in buona parte comune e sarebbe folle non percorrerlo, finché ci rimane questa possibilità. Partendo dalla concretezza dei rapporti consolidati e degli accordi già stipulati, le due Unioni, europea e africana, potrebbero contribuire anche ad una nuova visione e a nuove regole per i movimenti migratori e la mobilità tra i due continenti, a beneficio ed interesse reciproco e nel rispetto della dignità e dei diritti delle persone. Certo, occorre essere statisti, come lei ama ripetere, e saper guardare lontano.

7. Inclusione e integrazione. La storia ci insegna che quando la forbice dell’inclusione si allarga troppo, emarginando, discriminando, negando diritti basilari ad ampie fasce di popolazione, l Vale oggi più che mai. La necessità di politiche e azioni finalizzate all’inclusione (sociale, educativa, economica, politica) non vale solo per gli immigrati ma per tutti i cittadini in posizione di fragilità, marginalizzazione, quando non di vessazione. La nostra Costituzione, all’art.3, è chiara. Ogni artificiale distinzione che escluda e discrimini chiunque sia nel nostro paese è quindi da bandire; ed è anche compito del suo ministero, data la competenza dell’Interno in materia di diritti civili. L’inclusione e l’integrazione strutturata, superando definitivamente la dimensione emergenziale, garantiscono maggiore legalità, controllo e sicurezza. Serve di più prevenire che condannare alla galera persone costrette alla devianza da situazioni di marginalità e fragilità in cui si sono trovate e che potrebbero moltiplicarsi. Data l’ampiezza del problema, servirà un impegno congiunto delle istituzioni e delle organizzazioni della società civile. Il volontariato e il lavoro professionale delle Ong impegnate nel sociale è e rimarrà indispensabile. Occorrerebbe smetterla quindi di gettare fango, indiscriminatamente, su questo mondo, che ha dimostrato di saper dare risposte valide anche là dove lo Stato non riesce ad intervenire. E che sa anche portare alta la bandiera italiana nel mondo, stabilendo partenariati preziosi e proponendo semi di dialogo e di pace. Sarebbe bene riparlarne più a lungo. Intanto grazie per avermi ascoltato fino alla fine».

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Ho ascoltato l’intervento del ministro Salvini alla manifestazione della Lega in Piazza del Popolo a Roma lo scorso 8 dicembre 2018 e, successivamente, alcuni interventi in tema di immigrazione. Ne ho qui ripreso alcuni passaggi a cui ho fatto seguire i miei commenti, quelli che sorgevano spontanei di fronte alle sue parole e quelli che si sono aggiunti durante la mia scrittura. Ne è uscita una forma di colloquio, ovviamente mai avvenuto, ma con parole realmente pronunciate da entrambi. Un tentativo di uscire dai monologhi, personali o collettivi che siano, per avviare occasioni di confronto dialogante.

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