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Di nuovo in piedi (e a Verona), costruttori di Pace
Esce in occasione dell'evento Arena di pace e disarmo (domani 25 aprile all'anfiteatro veronese) il nuovo libro di Paolo Bertezzolo e Alex Zanotelli sulla genesi del movimento pacifista italiano. Ecco in anteprima alcuni passaggi
Di nuovo in piedi, costruttori di pace. Un titolo più che centrato per un libro che esce oggi, mentre domani, 25 aprile 2014, all’Arena di Verona andrà in scena un evento che il mondo del pacifismo italiano aspettava da almeno 11 anni (Arena di pace e disarmo, vedi anche l'articolo a lato). Da quando, nel 2003, si è tenuto l’ultimo dei sette appuntamenti di massa veronesi contro ogni guerra, iniziati nel 1986. Domani a Verona migliaia di persone si ritroveranno nel nome del disarmo e della nonviolenza, legandole in modo inequivocabile all’attualità della Resistenza.
Il libro, che esce proprio oggi e di cui Vita.it offre più sotto qualche pagina significativa in anteprima, si chiama Di nuovo in piedi, costruttori di pace! Arene di pace: storia di un’utopia (Emi, Editrice Missionaria Italiana, pp. 160, euro 11,90) e porta la firma del padre comboniano Alex Zanotelli e di Paolo Bertezzolo, unico laico presente all’assemblea di sacerdoti e religiose che nell’autunno 1985 sottoscrisse a Vicenza un appello in cui si chiedeva al popolo cristiano di mettere al centro il problema della pace. Nel testo viene raccontata la genesi e i retroscena dei sei appuntamenti pacifisti a Verona avvenuti dal 1986: allora, in pochi giorni, ai 28 sottoscrittori del primo appello (al tempo il web e le email erano sconosciute) se ne aggiunsero altri 3300, tutti preti, suore e religiosi. Il primo firmatario fu monsignor Lorenzo Bellomi, al tempo arcivescovo di Trieste. Da quella lettera don Albino Bizzotto, prete di Padova, lanciò l’idea di una grande assemblea in Arena per raccogliere e rilanciare il movimento di pace: il 4 aprile del 1986 si tenne dunque la prima assemblea del movimento dei “Beati costruttori di pace”, evento che si sarebbe poi ripetuto altre sei volte: 1987, con tema l’apartheid in Sudafrica; 1989, riflettendo su “Giustizia, pace e salvaguardia del creato”, dove giunse un messaggio del cardinale di Milano Carlo Maria Marini; quindi, 1991 contro la guerra del Golfo; il 1992, con un ricordo “liberato” della scoperta dell’America; 1993, sul rapporto tra economica e guerra; e di nuovo, questa volta fuori dall’anfiteatro, nel 2003, per denunciare la nuova guerra anglo-americana in Iraq.
A rinnovare il suo forte appello contro la guerra e l’assurdità delle spese militari, che nel mondo assommano a 1740 miliardi di dollari (2011, Sipri di Stoccolma) e solo per l’Italia a 26 miliardi, è il coautore del libro padre Zanotelli nel primo capitolo: “E’ fondamentale oggi che la chiesa, le chiese gridino al mondo che la nonviolenza attiva è parte essenziale del Vangelo che proclamano”. Qui sotto, invece, l’incipit del testo.
«In piedi, costruttori di pace!» aveva gridato, nell’Arena del 1989, il vescovo di Molfetta, Tonino Bello. È stato questo il leitmotiv delle Arene di Pace, promosse negli anni Ottanta e Novanta dai «Beati i costruttori di pace». Le Arene sono state il luogo dove si è ritrovato il Popolo della Pace, in un mondo sul precipizio della guerra nucleare, nello scontro tra Est e Ovest, per gridare invece la propria voglia di un mondo di pace. Nonostante il crollo del muro di Berlino, la situazione non è migliorata, anzi è di molto peggiorata. Per questo vogliamo rilanciare l’Arena 2014 come grido, come protesta contro la guerra che è ritornata ad essere un fatto normale, come lo è stata purtroppo nel XX secolo, che si è aperto con quella spaventosa prima guerra mondiale (1914-18). L’Arena 2014 viene a cadere proprio nel primo centenario di quell’«inutile strage», come l’aveva definita il papa Benedetto XV. «In totale, nel XX secolo si contano circa 140 guerre, di cui due mondiali e 15 che hanno fatto più di un milione di morti. Ci sono stati 25 conflitti prima della seconda guerra mondiale e 115 dopo il 1945», affermano i due esperti Jean-Paul Hébert e Philippe Recacewicz, in un articolo di Le Monde diplomatique (ottobre 2010). «La cadenza accelera, in proporzione ai progressi nella messa a punto di nuovi armamenti, sempre più costosi e sofisticati, almeno fino alla fine della guerra fredda. Dopo il 1991 e il crollo sovietico, i conflitti interstatali lasciano sempre più spazio alle guerre civili».
Ecco altri due passaggi del libro:
«Tu, non uccidere!»
Una cosa sembra evidente: le bombe, le armi, le guerre hanno dominato questo secolo che va dalla prima guerra mondiale (1914) ad oggi, 2014. Per un cristiano è uno smacco incredibile, una sconfitta sonora. Pochi hanno espresso questo sentimento meglio di don Primo Mazzolari nel suo libretto Tu non uccidere. «Non è forse una contraddizione che, dopo venti secoli di Vangelo, gli anni di guerra siano più frequenti degli anni di pace? Che sia tuttora valida la regola pagana: Si vis pacem, para bellum? Che l’omicida comune sia al bando come assassino, mentre chi, guerreggiando, stermina genti e città sia in onore come un eroe? Che l’orrore cristiano del sangue fraterno si fermi davanti a una legittima dichiarazione di guerra da parte di una legittima autorità? Che una guerra possa portare il nome di “giusta” o “santa”? Che si invochi il nome di Dio per conseguire una vittoria pagata con la vita di milioni di figli di Dio? Che sia fatto tacere colui che per sé soltanto, senza la pretesa di coniare una regola per gli altri, dichiara di sentire come peccato anche l’uccidere in guerra?». È con queste domande che dovremmo ripensare questo primo centenario della prima guerra mondiale, che ha aperto un secolo di guerre di inaudita ferocia. È a queste domande che tutti coloro che avranno scelto di venire in Arena (credenti e non) dovranno rispondere. È in ballo ormai il futuro dell’umanità. È arrivato il momento per il Popolo della Pace di rimettersi in piedi, di riprendere il cammino, che o sarà di pace o non ci sarà. È quanto con forza ripeteva Martin Luther King: «O la nonviolenza attiva, o l’estinzione».
Nonviolenza attiva
È sulla scia di questa tradizione gesuana, ritradotta nell’oggi da uomini come Gandhi, Martin Luther King, Pérez Esquivel, Helder Câmara, Capitini, don Milani, che il Popolo della Pace si ritrova in Arena il 25 aprile 2014. È un popolo disperso, oggi, in Italia, in mille rivoli fra beghe, personalismi, interessi partitici. Un popolo che ha bisogno di ritrovare pace e unità al proprio interno. Un popolo che ha bisogno di farsi sentire pubblicamente, di rialzare la testa, di ritrovare coraggio e fiducia. L’Arena può essere un momento di grazia per permettere a tutto il variegato mondo della pace di rimettersi insieme, imboccando le strade di un coordinamento nazionale di tutte le realtà che operano per la pace. Come è avvenuto per l’acqua, che ha portato alla vittoria referendaria. Il movimento della pace ha bisogno di vittorie, anche piccole e modeste, ma sulle quali costruire campagne più ampie e più impegnative. Non si tratta neanche di «vincere», ma di far emergere nella storia umana un nuovo paradigma: la nonviolenza attiva, la satyagraha (la forza della verità) di Gandhi, la forza onnipotente dell’amore di Gesù.
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