Welfare
Di Capua (Sprar): Diffondere a livello nazionale i modelli di accoglienza diffusa
In tutta Italia raggiunta quota 145mila richiedenti asilo, è record. E soprattutto mancano solo 5mila unità per il tetto massimo sostenibile indicato dal ministero dell'Interno. "Dalla dichiarazione di volontà alla richiesta formale di asilo passano mesi", sottolinea la direttrice del Servizio centrale nel giorno in cui entrano in vigore le forti novità per l'accreditamento dei Comuni al Sistema di protezione. "Prendiamo esempio a livello nazionale da quanto avviene nel lecchese, dove ogni Comune ha scelto di ricevere 3 accolti ogni mille abitanti"
È il 1 settembre 2016: prende il via oggi la rivoluzione dello Sprar, Sistema richiedenti asilo e rifugiati, in termini di snellimento di burocrazia e procedure (ne avevamo parlato qui). Ma è anche il giorno dopo i nuovi dati sull’accoglienza in Italia, che hanno raggiunto il record storico di 145mila persone inserite nei Cas, Centri di accoglienza straordinaria (diventati nel tempo il primo luogo d’approdo del migrante dopo lo sbarco, assieme ai Cara, Centri di accoglienza per richiedenti asilo) e, appunto, nelle strutture dei progetti Sprar diffusi lungo tutta l’Italia. “Fino a 150mila presenze siamo tranquilli”, avevano fatto sapere a Vita sia il prefetto capo del Viminale, Mario Morcone, che il sottosegretario al ministero degli Interni con delega a Immigrazione e libertà civili, Domenico Manzione: allora si era a poco più di 100mila, ora invece la soglia massima non è più così lontana (seppure gli sbarchi del 2016 sono in linea con l’anno scorso, a quota 116mila al 31 agosto). In assenza di qualsivoglia segnale di apertura dall’Unione europea, che da settimane se non mesi sta lasciando l’Italia sola a gestire i flussi migratori dal Mediterraneo centrale, il campanello d’allarme inizia a farsi sentire sempre più forte. “Si poteva e si doveva fare di più per evitare i numeri attuali. Siamo ancora in tempo a evitare il collasso, ma c’è uno scoglio da superare al più presto: migliorare il coordinamento istituzionale in molti territori”, sottolinea Daniela Di Capua, direttrice del Servizio centrale dello Sprar.
Il problema principale rimane la lunghezza delle procedure per l’esame della domanda d’asilo?
Sì. L’iter, che varia da uno a due anni, si è velocizzato negli ultimi tempi ma non abbastanza: uno dei problemi in tal senso è quello del tempo che passa tra la dichiarazione di volontà di chiedere asilo della persona e la formalizzazione della stessa richiesta da parte delle autorità. Passano mesi tra i due passaggi, va migliorato il coordinamento. Ma c’è un altro aspetto che per certi versi ingolfa un processo che potrebbe essere più rapido ed efficace.
Quale aspetto?
La disparità di azione delle singole Prefetture, in particolare nella gestione del passaggio migranti titolari di protezione dai Cas, che coordinano loro con affidamento diretto a enti gestori, ai progetti Sprar, quindi ai Comuni capofila, tramite la nostra collaborazione. Faccio un esempio di quando il sistema funziona bene: ci chiama una Questura e ci dice che il migrante in questione ha ottenuto il permesso e quindi nel giro di due-tre settimane verrà dimesso. In questo lasso di tempo noi possiamo così trovare un posto nelle strutture Sprar e, a loro volta, i prefetti sanno che si libererà un posto nei Cas. Invece spesso questa informazione arriva all’ultimo momento e noi non abbiamo pronto un posto, oppure addirittura non arriva e la persona si trova fuori dal circuito dell’accoglienza pur avendo i documenti in regola per accedere allo Sprar.
Quanti posti ha ora a disposizione il circuito Sprar?
Con l’ultimo bando si è arrivati a 27mila. Attualmente non sono ancora tutti disponibili perché per almeno 2mila posti i vari Comuni stanno cercando gli alloggi idonei, dato che da quando era uscito il bando all’assegnazione sono passati parecchi mesi, nei quali gestori privati di case che prima avevano dato disponibilità nel frattempo hanno trovati altri inquilini. A inizio ottobre avremo la riunione nazionali dell’Anci, Associazione nazionale comuni italiani, e faremo conoscere ai Comuni le nuove procedure di accesso allo Sprar. I numeri potrebbero aumentare a patto che sempre più Comuni decidano di prendere in mano la situazione e aprire progetti di accoglienza, a oggi sono 1200 su 8mila, ovvero il 15%.
Perché i Comuni dovrebbero mostrare interesse verso l’accoglienza?
Perché ribalterebbero la concezione attuale: oggi sembra che gli enti locali subiscano l’accoglienza, e per quanto riguarda i Cas spesso è così dato che l’affidamento con un bando diretto Prefettura-gestore “salta” il Comune. Invece, diventando capofila di progetti, sarebbero le stesse amministrazioni a governare ogni azione. Decidendo, magari in consorzio con altri Comuni, le quote reciproche di accoglienza e altre prassi da mettere in atto riguardanti formazione e accesso al lavoro. Le novità che abbiamo introdotto da oggi vanno direttamente a facilitare sia l'adesione di nuovi Comuni allo Sprar sia la continuità di quelli già aderenti, superando passaggi burocratici eccessivi del passato. Ed è stato confermato l'abbassamento del cofinanziamento dei progetti al 5%, quando fino a pochi mesi fa era al 20%.
In provincia di Lecco, i Comuni hanno accettato di ricevere richiedenti asilo con una quota del 3 per mille, ovvero 3 accolti ogni mille abitanti, e da luglio 2016 è aperto il bando (che si chiude il 5 settembre, consultabile a questo link) per questo tipo di accoglienza diffusa che coinvolgerà 1200 persone…
È un’ottima iniziativa, è questa la via da seguire. L’accoglienza diffusa funziona, e genera relazioni virtuose nei territori. L’obiettivo è che il futuro Piano nazionale Sprar si basi proprio su questo modello di ripartizione.
Un altro problema sempre più urgente riguarda chi, dopo la lunga attesa per la risposta alla domanda d’asilo riceve il diniego definitivo e diventa irregolare sul territorio nazionale. Come uscirne?
Non ci sono politiche chiare su coma agire, e questo genera incertezza per tutti, perché se da una parte vengono applicate le norme e quindi queste persone vengono fatte uscire dal sistema d’accoglienza, dall’altro aumentano le situazioni di marginalità e conseguentemente, di avvicinamento alla criminalità. L’ulteriore conseguenza è l’acuirsi dell’allarme sociale a livello di opinione pubblica, che alimenta un circolo vizioso in cui la vittima diventa il capro espiatorio. Il problema è alla fonte, spesso non si tiene conto all’inizio di alcune volontà delle persone che arrivano, dei loro legami amicali o familiari con persone al di fuori dall’Italia, cos’ come di possibilità di inserimento lavorativo in altri Stati europei.
Diretta conseguenza del Trattato di Dublino, che obbliga il migrante a afre domanda nel primo Paese di approdo anche se magari qui non ha legami. Come vede l'impegno attuale dell'Europa?
Il buco politico e normativo nell’Unione europea sul tema rifugiati è sempre più grande e grave. Si pensa agli scambi economico-finanziari e non al coordinamento e alla ripartizione degli arrivi. Questo ragionamento va al di là dei numeri. Stiamo facendo abbastanza per fare cambiare le politiche ai governi dei Paesi di provenienza? No, soprattutto per quanto riguarda il tema dei diritti umani, la vera base di partenza per pensare a una possibile diminuzione delle partenze.
Nella foto di apertura: un momento delle lezioni di italiano del progetto Sprar nel Comune di Neviano (fonte: Associazioneintegra.eu)
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