Politica
Derivati, un bucoda 17 miliardi di euro
enti locali A rischio i budget per le politiche sociali e il terzo settore
di Redazione
E se le porte della stalla fossero state chiuse, ancora una volta, in ritardo? Mentre il governo vara una moratoria di un anno sull’uso di strumenti finanziari derivati da parte degli enti locali e la Guardia di Finanza, le Procure e le sezioni regionali della Corte dei Conti provano a infilare il naso nei contratti sottoscritti da quasi 500 enti pubblici, si fanno strada due dubbi. Uno più pesante dell’altro. Che il denaro di Comuni, Province e Regioni sia finito per sempre nel recinto degli istituti di credito. E che al danno della perdita dei buoi si aggiunga la beffa del fallimento dei Comuni. Con pesanti effetti sia sulle politiche sociali che sul terzo settore. Taranto in questo senso è un caso scuola. Pur non essendo fallito per i derivati ma per una gestione allegra delle casse comunali, insegna cosa succede ai Comuni in dissesto.
Un rischio che potrebbero correre alcuni degli enti che hanno “swappato”. Se il pericolo – questo il sospetto – non si è ancora materializzato forse è anche perché la polvere, l’indebitamento cioè, è stata messa sotto il tappeto. Gli “interest rate swap”, questa la tipologia più frequente di contratti derivati sottoscritti dagli enti pubblici, sono dei contratti che i Comuni stipulano con le banche per cautelarsi dal rischio di rialzo dei tassi di interesse e quindi sul debito. Le municipalità, le Regioni o le Province che hanno contratto, ad esempio, dei mutui con la Cassa depositi e prestiti o emesso delle obbligazioni comunali, hanno sottoscritto degli accordi con le banche per proteggersi dalle variazioni dei tassi. Utilizzati impropriamente o nelle forme strutturate diventano contratti aleatori, in pratica delle scommesse, legate appunto all’andamento dei tassi o altre variabili. Non pochi enti locali a caccia di liquidità li hanno usati perché garantivano un anticipo sostanzioso (up front).
Che cosa è successo, però? A causa dell’incompetenza di alcuni dirigenti e assessori comunali, dell’oggettiva difficoltà di interpretare le condizioni dei contratti (spesso scritti in inglese) e, soprattutto, dell’aumento dei tassi di interesse (proprio dal rischio da cui ci si doveva cautelare!), in numerosi casi questi contratti hanno iniziato a produrre perdite. La scommessa, insomma, l’hanno vinta le banche. Che, specie con le commissioni implicite, hanno rastrellato parecchi soldi. Il punto, ora, è che gli swap potrebbero aver già prodotto nelle stive di una parte degli enti locali italiani delle falle che – sebbene al momento non abbiano ancora spinto sul fondo i Comuni – non possono essere facilmente riparate. Falle, purtroppo, che non si vedono. A causa della scarsa trasparenza delle acque in cui galleggia la contabilità degli enti locali. «Se in Italia fossero applicati gli standard Ipsas, cioè i principi di contabilità internazionale degli enti pubblici, numerosi Comuni che hanno fatto gli swap sarebbero tecnicamente in default», afferma Nicola Benini di Ifaconsulting, membro del gruppo di lavoro sugli enti locali dell’Aiaf, l’associazione degli analisti finanziari. Una questione, quella degli Ipsas, che si incrocia con le norme (peraltro “bipartisan”) introdotte dal governo Prodi. Nonostante, infatti, le due ultime Finanziarie abbiano messo una serie di paletti che avrebbero dovuto accrescere trasparenza in materia ed adeguatezza, manca ancora un decreto dell’Economia sulla relazione che gli enti pubblici devono allegare ai bilanci per evidenziare i contratti e gli effetti degli stessi. Su cosa debba essere scritto nella nota ci sono forti dubbi tra gli esperti. Su un fatto, però, sono tutti d’accordo.
Se fosse richiesto di accantonare dei fondi a garanzia del cosiddetto “mark to market” del derivato, decine di Comuni finirebbero in dissesto. Altrettanto succederebbe se i Comuni chiudessero in questo momento i contratti. Causa Mtm. Che cos’è l’Mtm? È il valore liquidativo che gli enti devono pagare alla banca in caso di scioglimento anticipato dello swap. Secondo le ricerche del Sole 24-Ore, il passivo ammonta a 250 milioni per il Comune di Milano, 20 per Reggio Calabria, 1,4 per Oristano, 782mila euro per il piccolo Comune veneto di Porto Viro. Nel complesso, la Banca d’Italia ha valutato in 1,2 miliardi di euro l’esposizione degli enti locali. Il punto è che l’istituto centrale monitora solo le banche italiane mentre molti enti, specie le Regioni, hanno sottoscritto contratti con banche estere. Secondo gli analisti finanziari il passivo totale varierebbe invece tra i 10 e i 14 se non 17 miliardi di euro. Quanto una Finanziaria, insomma.
I Comuni – almeno quelli che si pongono il problema . si trovano, dunque, in una morsa: continuare a pagare rate sempre più salate, rischiando così di indebitarsi tanto (ma un po’ alla volta), o chiudere il contratto e pagare una penale che farebbe comunque saltare le casse? Altri enti, invece, infilano la testa sotto la sabbia. «Sui derivati sono stati organizzati diversi convegni e seminari di studio con i maggiori esperti a cui però non partecipano i diretti interessati. Molto più semplice attendere col rischio di scaricare tutto sulle future generazioni», taglia corto Benini.
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