Economia
Democrazia negoziale: un nuovo spazio per i corpi intermedi?
Sta facendo discutere il documento presentato agli Stati Generali dell'economia dal Presidente di Confidustria Bonomi. Il richiamo all'idea di «democrazia negoziale» apre però un nuovo dibattito sul ruolo attivo dei corpi intermedi, impresa inclusa, nel nostro Paese
di Marco Dotti
«Un'idea, un concetto, un'idea finché resta un'idea è soltanto un'astrazione. Se potessi mangiare un'idea avrei fatto la mia rivoluzione», cantava Giorgio Gaber. Di idee, però, oggi ne girano davvero poche.
Per questo va presa quanto meno con attenzione (anche, soprattutto critica) l'idea di democrazia negoziale che il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha presentato ieri agli Stati Generali dell'economia, consegnando al Presidente del Consiglio, accanto alle solite doléances un libro titolato Italia 2030: proposte per lo sviluppo.
Lasciando perdere le doglianze, che occupano gran parte del dibattito odierno, ci si può concentrare sul "quaderno", prefato da Bonomi stess , che raccoglie saggi, tra gli altri, di Ilvo Diamanti, Marcello Messora, Enzo Rullani e Carlo Trigilia.. Andiamo al dunque.
Nelle società complesse, si legge nel libro uscito proprio ieri per La Nave di Teseo, i corpi intermedi dovrebbero una funzione non delegabile, né sostituibile. Dovrebbero operare come:
- connettori di istanze sociali;
- collettori di interessi degli aggregati sociali;
- trasformatori di quelle istanze, spesso conflittuali, in istanze di ampio respiro.
Purtroppo – si legge in 2030. Proposte per lo sviluppo – questa funzione indelegabile è stata fin troppo delegata. A chi? A élites che magari hanno connesso istanze sociali (punto 1), probabilmente non sono venute meno al loro compito di raccogleire gli interessi degli aggregati sociali (punto 2), ma di certo hanno perso capacità di trasformare quelle istanze in istanze comuni.
Che sia successo «a causa di una pesante tradizione (path-dependence)» o di un'eccessiva frammentazione »delle rappresentanze» poco importa. Conta il risultato. Eccolo: in Italia come altrove «gran parte di questi corpi intermedi ha distorto il proprio ruolo» , trasformandosi «in “gruppi di potere” dediti alla protezione di posizioni di privilegio». Ciò ha fatto sì che, «invece di internalizzare i costi della composizione di interessi particolari e giovare agli interessi collettivi, i corpi intermedi abbiano spesso rafforzato le posizioni più inefficienti e i “fallimenti” del mercato».
Questa situazione, ben nota, nell'analisi presentata da Bonomi viene letta alla luce di una doppia inversione. Prima inversione: non essendo stati rafforzati negli ultimi decenni, i corpi intermedi si sarebbero trasformati in corpi particolari. Seconda inversione: anziché allargare lo spazio democratico, come sarebbe stato nella loro vocazione e missione, proprio i corpi intermedi avrebbero contribuito alla sua paradossale contrazione favorendo in tal modo la deriva leaderistiche delle democrazie (riproduzione in scala maggiore della deriva dei corpi intermedi stessi) e aprendo in linea ipotetica a sbocchi autoritari.
Il tratto di fondo di questa frantumazione della società italiana – si legge ancora nel volume – consiste in un rovesciamento della piramide dei valori che, «in analogia al ribaltamento della piramide demografica, (…) erode la preesistente base del solidarismo e dei valori condivisi e allarga il vertice dell’individualismo e del disprezzo verso i diritti e i valori degli altri e il bene comune». Ciò detto, proprio la pandemia avrebbe contribuito a rallentaare questa spinta, riportando di attualità e rivitalizzando «spinte solidaristiche e un senso di comunità smarrito». Da qui l'appello: ripartiamo dai corpi intermedi, come punto di appoggio, ancorché critico, per orientarci verso una democrazia negoziale, basata su forme dialogiche di contrattazione e mediazione.
Se questo è il quadro, senza una presa d'atto di quanto di positivo è successo sul piano sociale in questi mesi di pandemia, osserva Marcello Messori nel suo intervento conclusivo del volume, lo scenario che si delinea per l'Italia nel 2030 sembra di ulteriore contrazione degli spazi di democrazia, con il conseguente un intorpidimento regressivo dei corpi intermedi.
Ma nonostante il quadro analitico a tinte fosche, colpisce in questa idea di un corpo sociale che si rigenera partendo da un "fuori" rispetto allo Stato e alle sue derive, il ruolo di potenziale attivatore che a corpi intermedi rinnovati viene comunque e nuovamente riservato.
La "ricalibratura" politica del nostro Paese, si intuisce da queste pagine, non può prescindere da una ricalibratura di questi corpi intermedi, imprese incluse. I corpi intermedi sono i soli in grado di farci passare da una deriva leaderistica della democrazia a una democrazia finalmente negoziale e concertata.
Bonomi indica con queste parole questa quarta via: «una democrazia negoziale in contrapposizione con le leadership personali e carismatiche, costruita su una grande alleanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze di impresa, lavoro, professioni, terzo settore, ricerca e cultura».
Sulla rivista Il Mulino del marzo-aprile scorso, introducendo la questione Carlo Trigilia scriveva che proprio «la democrazia negoziale potrebbe essere uno strumento più efficace di quella maggioritaria, che non ha dato buona prova nella Seconda Repubblica, per affrontare la crisi. Essa sembra inoltre meglio attrezzata per avviarsi sulla strada di uno sviluppo inclusivo, specie dopo lo shock del Coronavirus».
La democrazia negoziale, al contrario di quella maggioritaria nelle sue varianti plebiscitaria e leaderistica, non può prescindere dai corpi intermedi. Proprio per questo si accompagna a uno sviluppo più inclusivo favorendo, scriveva Trigilia, «economie coordinate nelle quali lo spazio del mercato è più limitato ed è integrato con forme di regolazione istituzionale (che coinvolgono i governi e le organizzazioni degli interessi)».
Se sarà una nuova frontiera da percorre insieme, un argine improbabile al diluvio o una pia intenzione "da libro dei sogni" dipenderà, ancora una volta, da una serie di fattori. Ma il primo fattore è la volontà dei corpi intermedi stessi di sottrarsi alla spirale assistenzialistica che sta colpendo il nostro Paese e rischia di trascinare via la ragione di fondo del loro impegno e delle loro azioni. Cosa accadrà, ovvero se l'idea rimarrà come cantava Gaber un'astrazione o si calerà nel concreto della vita attiva del Paese, lo dirà il tempo – poco – che ancora ci rimane.
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