Una delle modalità più interessanti per promuovere il dono consiste nel creare le condizioni affinché la possibilità di usufruire degli strumenti e delle potenzialità della filantropia istituzionale non sia più riservata alle persone ricchissime, ma possa essere diffusa anche a chi, pur avendo mezzi modesti, desidera dare il proprio contributo alla definizione e realizzazione del bene comune, attraverso un uso efficace e strategico delle proprie donazioni. L’obiettivo della filantropia istituzionale è infatti quello di mettere a disposizione dei donatori competenze e professionalità senza le quali difficilmente le risorse messe a disposizione potranno conseguire l’impatto desiderato.
Chi non vuole ridurre le proprie donazioni ad una mera rinuncia o ad una semplice reazione emotiva, ma vuole viverle come modalità per conseguire un impatto che contribuisca a creare un mondo migliore o anche semplicemente sperimentare emozioni autentiche, scopre ben presto come donare sia in realtà molto difficile. Non basta la buona volontà, è necessario conoscere il contesto nel quale si vuole operare, aggregare competenze diverse, verificare attentamente le conseguenze del proprio agire, altrimenti si finisce, nel migliore dei casi, con lo svolgere il ruolo di elemosinieri, il cui impatto sociale è di norma nullo, dato che si limitano a distribuire palliativi che offrono un limitato sollievo per un numero limitato di soggetti. In alcune situazioni poi, si rischia di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato, in quanto i problemi sono spesso estremamente complessi e le risposte efficaci sono contro-intuitive. Sono infatti infiniti gli esempi di interventi che, nati con le migliori intenzioni, hanno finito per peggiorare la condizione delle persone che si voleva assistere. Per esempio, i sussidi dati alle madri senza marito, possono scoraggiare i matrimoni che avrebbero privato le famiglie di tali risorse, creando così situazioni di maggiore instabilità rafforzando proprio quei circoli viziosi che i sussidi vorrebbero contrastare[1].
Per fare il bene bene sono quindi necessarie competenze e professionalità specifiche che ben difficilmente il singolo donatore può sviluppare autonomamente e che invece la filantropia istituzionale può mettere a disposizione. Solo chi quotidianamente si confronta con le sfide che contraddistinguono la nostra società, conosce direttamente i punti di forza e di debolezza delle organizzazioni che si impegnano in prima linea, è in grado di verificare l’effettivo impatto e le conseguenze spesso non previste delle diverse risposte che vengono implementate, può aiutare i donatori ad individuare le strade che meglio corrispondono ai loro valori, principi, obiettivi.
Non bisogna poi dimenticare che la nostra società diventa sempre più complicata. L’ufficio complicazione affari semplici è probabilmente il dipartimento più produttivo del mondo in cui viviamo. Le norme si moltiplicano in modo raramente coordinato, imponendo una crescente mole di adempimenti spesso poco comprensibili e in contraddizione gli uni con gli altri. Ormai senza il coinvolgimento di specialisti, certificatori ed altri professionisti, diventa spesso impossibile realizzare anche le attività più semplici senza rischiare di incorrere in sanzioni, a volte anche gravi. La collaborazione di un’entità che sia in grado di gestire tale problematiche diventa quindi indispensabile per chi non voglia trasformare la gioia che solo il dono può regalarci in un incubo burocratico fatto di multe, responsabilità e oneri diversi.
Questi problemi che contraddistinguono ormai ogni attività sono particolarmente importanti in ambito filantropico. Se, fino a pochi decenni fa, si trattava di un settore considerato irrilevante e tutto sommato abbandonato a se stesso, oggi invece è fortemente normato, il che non sarebbe sbagliato se non che troppo spesso queste norme vengono elaborate ed interpretate partendo da presupposti che negano i fondamenti stessi del dono. Così le norme che disciplinano le fondazioni, le quali per definizione non hanno proprietario, vengono lette per analogia con quelle che riguardano le società commerciali con conseguenze spesso paradossali[2]. Un sistema giuridico che si fonda ormai esclusivamente sui diritti soggettivi e sugli interessi legittimi e che interpreta i soggetti come individui il cui unico scopo è quello di soddisfare le proprie utilità marginali, finisce, al di là delle dichiarazioni di principio, necessariamente per creare infiniti ostacoli pratici a chi voglia donare e comunque mettere a disposizione le proprie energie per il perseguimento di finalità d’utilità sociale. Senza l’assistenza di qualcuno che abbia la capacità di immaginare e gestire delle vere e proprie “frodi pie”, si finisce quasi inevitabilmente nelle reti che, astrattamente pensate per bloccare gli abusi, finiscono per ostacolare proprio le attività dei meglio intenzionati.
L’istituzionalizzazione della propria attività filantropica è poi importantissima per aiutarci a vincere le infinite distrazioni che contraddistinguono la nostra vita e a creare le condizioni per dedicare il nostro tempo a ciò che è per noi veramente importante. In una società in cui ciò che ha una scadenza finisce sempre per prevalere rispetto a ciò che non ne ha, indipendentemente dalla reale importanza delle diverse attività, se non riusciamo a organizzare la nostra attività filantropica, ad inserirla nel nostro calendario, strutturala in modo rigoroso con compiti, obiettivi e date da rispettare, questa finisce quasi sempre per essere posticipata alle calende greche, dato che per donare c’è sempre tempo.
Democratizzare la filantropia istituzionale significa quindi mettere a disposizione di tutti i cittadini un’infrastruttura che li aiuti a vivere quella che Benedetto XVI ha chiamato “la stupefacente esperienza del dono”. Il vero obiettivo non è dunque solo quello di moltiplicare le risorse con cui dare risposte alle tante sfide che contraddistinguono la nostra società, ma, anche e soprattutto, creare le condizioni affinché ogni cittadino possa pienamente affermare la propria umanità.
[1] Cfr. Alan Weil, Kenneth Finegold, Welfare Reform: the next act, The Urban institute Press, Washington, D.C:, 2002, p.37 ss.
[2] Così le donazioni fatte per costituire il fondo patrimoniale di una fondazione vengono spesso considerate alla stregua dei conferimenti destinati a creare il patrimonio delle società commerciali, dimenticando che i primi sono trasferimenti definitivi che non danno in sé alcun diritto, mentre i secondi sono titoli di proprietà.
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