Politica

Delusi dagli amministratori pro-famiglia

A metà del loro mandato, il Forum Famiglie esamina l'operato delle Regioni sul tema famiglia. Risultato: solo sette promossi. Pillon: «nessuno ha ancora capito cosa siano le politiche famigliari»

di Sara De Carli

Sette promosse: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Piemonte, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta. Quattro bocciate: Calabria, Campania, Molise, Sicilia. Per le altre c’è un giallo che non è né carne né pesce. È questo il giudizio del Forum delle associazioni famigliari sull’attività in favore della famiglia delle Regioni, a metà del loro mandato. Due anni  e mezzo fa, in occasione delle elezioni del 2010, 400 candidati consiglieri e 24 aspirati governatori sottoscrissero il Manifesto “Per una Regione a misura di famiglia” che chiedeva tra le altre cose l'approvazione di una legge regionale per la famiglia e l'istituzione della valutazione di impatto famigliare: 8 governatori, tra i firmatari, sono stati effettivamente eletti, come pure un centinaio i consiglieri. Una nutrita pattuglia di amministratori pro-famiglia, che però sta deludendo.

L’analisi del Forum delle Associazioni Famigliari, coordinata dall’avvocato Simone Pillon, presidente del Forum regionale dell’Umbria, ha esaminato 1.038 provvedimenti. La cosa che più colpisce? Nonostante il grande spazio che ha sui giornali, alla prova dei fatti la conciliazione famiglia–lavoro, resta ancora una cenerentola, se è vero che questo è l’area tematica che conta meno provvedimenti in assoluto: solo 69. La regione più produttiva è stata il Piemonte con 111 atti, la regione meno produttiva la Campania, con solo 6 atti, anche se tutti deliberativi.

«La prima riflessione da fare è sull’enorme differenza territoriale che permane», sottolinea Pillon. «Le regioni poco virtuose infatti si concentrano al Sud. Diciamo che c’è ancora tanta strada da fare, per tutti. Anche per le regioni “virtuose”: in generale sulla famiglia c’è ancora troppa ideologia». Per l’avvocato il vero punto debole che emerge dalla ricerca è che «pochissime regioni, direi solo la Lombardia e il Piemonte, fanno politiche famigliari. Le altre fanno ancora politiche sociali o contro la povertà, ma senza considerare la famiglia al centro». Prova ne sia il fatto che sui mille provvedimenti esaminati, ben 466 erano relativi al sociale, «sintomo del permanere di politiche non dedicate».

Il Forum ha presentato il suo esame pochi giorni dopo il deludente Festival delle Famiglie di Riva del Garda, dove Monti è stato fischiato dalle famiglie. Pillon chiarisce che «dal Governo serve un cambio di passo, perché fin’ora non solo non ha fatto nulla per la famiglia, ma ha fatto azioni contro le famiglie, diciamolo con chiarezza». È anche vero che «lo Stato dovrebbe fare molto sul tema fiscale, ma per il resto la competenze sulla famiglia sono in capo a Regioni e Comuni». Bocciato lo Stato, bocciate le Regioni, alle famiglie restano proprio i Comuni: «Non diciamo “restano”. Noi come Forum abbiamo sempre lavorato molto con i Comuni, perché più di tutti si rendono conto della realtà delle famiglie. È un lavoro molto più agevole e incisivo, che sta dando buoni frutti. Quindi sì, la strada è ripartire dai Comuni e dalle Regioni per arrivare però anche allo Stato centrale».

L’analisi capitolo per capitolo

Famiglia e famiglie – In diverse Regioni «si sta iniziando a erodere il principio costituzionale del matrimonio» (il Forum cita Umbria e Liguria come esempi) e ci sono «numerose Regioni stanno sostanzialmente appoggiando forme light di famiglia». Mancano quasi ovunque (eccezione Liguria e forse Lombardia) politiche di sostegno alle coppie in crisi e alla friabilità coniugale

Famiglia e vita umana – Il dibattito è spesso centrato su questione relative all’obiezione di coscienza oppure alla IVG. Mancano quasi ovunque politiche di ampio respiro finalizzate al sostegno alla natalità, manca qualsiasi strategia sia locale sia, purtroppo, nazionale, per arginare il demographic winter, fatta forse eccezione per il progetto Nasko della Regione Lombardia.

Scuola e formazione – Il dibattito sull’educazione è quasi sempre relativo alla prima infanzia; mancano provvedimenti di largo respiro relativi alla formazione professionale, teoricamente demandata proprio alle regioni.

Conciliazione – È la cenerentola degli ambiti: ben 4 Regioni non hanno espresso neppure un provvedimento in materia. La conciliazione o armonizzazione sconta anche in questo caso un gap ideologico tra chi per principio mira a politiche di piena occupazione femminile a prescindere e chi invece promuove più sapientemente politiche di armonizzazione.

Famiglia e politiche sociali – Stentano a decollare politiche familiari organiche, finora portate avanti solo in poche Regioni (Lombardia e poche altre). Le altre Regioni hanno una visione frammentaria delle politiche familiari e talora entrano in contraddizione, come ad esempio la Liguria. Alcune Regioni ancora non hanno una legge sulla famiglia (Campania, Liguria…). Le politiche di sostegno alla disabilità tradizionalmente riconosciute come politiche sociali sono spesso disgiunte dalla visione familiare (Lazio). Su interazione pubblico-privato e spostamento dell’asse della sussidiarietà dal finanziamento all’offerta al finanziamento alla domanda c’è ancora moltissima strada da fare. Ancora permangono politiche assistenziali soprattutto nelle Regioni del Meridione, (Campania, Basilicata, Sicilia) ma anche in regioni virtuose (Marche) si constata modalità di erogazione “a pioggia”.

Famiglia e fisco  – Virtuose alcune iniziative per rimodulare la fiscalità locale in modo strutturato (Lombardia con il FattoreFamiglia, Valle d’Aosta con l’IRSEE, Emilia col tentativo di “Fattore Parma” e Lazio col tentativo di “Fattore Lazio”). Altre Regioni non hanno eppur preso in considerazione tali proposte, pur se presentate (Umbria), ritenendo le indicazioni nazionali (ISEE) insormontabili.

 


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