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Dell’Utri, assolto e condannato

La sentenza di appello a Palermo nelle analisi dei giornali

di Franco Bomprezzi

Assolto e condannato nello stesso tempo: la sentenza di appello per Dell’Utri conferma il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ma lo ferma al 1992, prima della nascita di Forza Italia. Tanto basta al Pdl per festeggiare, mentre i giornali ricostruiscono la vicenda giudiziaria e politica. La condanna a 7 anni attende adesso l’ultima parola della Cassazione.

Titolo neutro per il CORRIERE DELLA SERA di oggi: “Mafia, sette anni a Dell’Utri”: in appello la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa è stata ridotta di due anni. I giudici hanno invece assolto Dell’Utri per i fatti successivi al 1992. Il senatore parla di «sentenza pilatesca». Giovanni Bianconi alle pagine 2 e 3 parla di sentenza con una doppia verità. In sintesi si tratta di questo: «Marcello Dell’Utri è stato condannato, Forza Italia assolta. Il senatore è stato amico dei mafiosi e concorrente nei loro reati, ma il movimento politico che ha contribuito a fondare non è il partito della mafia». Questa la conseguenza: «la sentenza consente a ciascuno di prendere il brandello che preferisce per dire che ha vinto la sua tesi, di innocenza o colpevolezza che sia» salvo costatare che «sia in primo che in secondo grado il senatore Marcello Dell’Utri è stato giudicato colpevole di aver intrattenuto con boss e uomini d’onore rapporti talmente stretti da sconfinare in reato». La reazione di Dell’Utri è invece raccolta da Felice Cavallaro sotto il titolo “«Verdetto pilatesco come contentino al pg. Mangano è un eroe». «Con questa sentenza si mette una pietra tombale sulla presunta trattativa tra Stato e mafia durante il periodo delle stragi. Quello che ha detto Spatuzza non è stato evidentemente preso in considerazione come voleva l’accusa» ha detto l’avvocato Nino Mormino, legale di Dell’Utri, sottolineando che la corte ha assolto il suo assistito per le condotte contestate in epoca successiva al 1992, escludendo cioè qualunque «patto» tra lo Stato e Cosa Nostra subito dopo le stragi. «È una sentenza pilatesca», ha detto Dell’Utri come prima cosa ai giornalisti . «Hanno dato un contentino alla procura palermitana – ha aggiunto  – e una grossa soddisfazione all’imputato, perché hanno escluso tutto ciò che riguarda le ipotesi dal 1992 in poi».  Marcello Dell’Utri spera nel giro di un anno in una sentenza per lui positiva da parte della Cassazione. «Spero che dicano: “ma che stiamo facendo, lasciate stare”». Il senatore del Pdl ha spiegato che si aspettava una sentenza di questo tipo. Se fosse arrivata l’assoluzione «avrei detto – ha aggiunto – che la pena l’ho già scontata: 15 anni di pena. Io non somatizzo, ma il disagio c’è».  «Vittorio Mangano è stato il mio eroe» ha poi ribadito il politico siciliano conversando con i giornalisti. «Era una persona in carcere, ammalata – ha spiegato Dell’Utri – invitata più volte a parlare di Berlusconi e di me e si è sempre rifiutato di farlo. Se si fosse inventato qualsiasi cosa gli avrebbero creduto. Ma ha preferito stare in carcere, morire, che accusare ingiustamente. È stato il mio eroe. Io non so se avrei resistito a quello a cui ha resistito lui». A pag. 5 infine le reazioni politiche. Da una parte il Pdl che parla di teorema smontato e dall’altra l’opposizione che continua a considerare Dell’Utri colpevole con Veltroni che dice: Mangano va chiamato assassino. Poi spazio alla levata di scudi dei giovani pidiellini siciliani che con il responsabile La Mantia fanno sapere che il loro eroe non è lo stalliere di Arcore, ma il giudice Paolo Borsellino. A difendere Dell’Utri però scendono in campo i ragazzi del pdl Sicilia di Gianfranco Miccichè che si dicono allibiti per l’uscita impropria dei loro compagni. 

Anche LA REPUBBLICA apre sulla sentenza della Corte d’Appello: “Mafia, Dell’Utri è colpevole” e nel sommario richiama: “Assolto solo dai reati dopo il ’92. Il senatore: «Mangano resta il mio eroe»”. Servizi da pagina 2 a pagina 7. Confermato dunque il concorso esterno di Dell’Utri che sarebbe stato mediatore tra la mafia e i salotti buoni della finanza. «Non regge però secondo i giudici il patto politico mafioso che sarebbe stato stretto fra Cosa nostra e la nascente Forza Italia nella nascente sanguinosa stagione delle stragi» scrive Alessandra Ziniti che aggiunge: «una sentenza travagliata, emessa dopo quasi cinque giorni di camera di consiglio, che sembra scontentare tutti. Accusa e difesa preannunciano ricorso in Cassazione». Quanto all’interessato ha rilasciato dichiarazioni forti parlando di «sentenza pilatesca» e aggiungendo: «accostare le bombe alla stagione politica era assurdo e demenziale» e ribadendo che «Mangano è un eroe». Conclude il senatore: «Ora aspetto con animo molto fiducioso la sentenza della Cassazione. Un giudice fuori da Palermo si troverà… uno che dica: “Ma che cavolo avete fatto finora, in tempo perso e sofferenze date alle persone?”…». Segue un ritratto di Attilio Bolzoni sui 25 lunghi anni di amicizie con i boss. Si conclude così. «Per 25 anni il miglior amico e socio di Silvio Berlusconi, è stato anche uno dei migliori amici dei mafiosi siciliani». E il premier, scrive Francesco Bei nel suo retroscena, sarebbe molto preoccupato temendo altre inchieste (Firenze, Palermo e Caltanissetta). «Assolvono Tartaglia, uno che ha provato ad ammazzarmi, e condannano Marcello solo per aver conosciuto 30 anni fa delle persone che poi si sarebbero scoperte vicine alla mafia. Questa è la magistratura giacobina che ci ritroviamo». Si tornerebbe a parlare di rimettere mano al reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Fra le reazioni, si segnalano i distinguo  dei giovani siciliani del Pdl (che contestano l’eroismo del mafioso Mangano e chiedono con Mauro Mantia che sia «accolta la richiesta del ministro Meloni sull’introduzione nello statuto del Pdl di una norma che preveda il no alla ricandidatura e l’espulsione per chi è stato condannato in via definitiva per corruzione e mafia»). C’è anche una intervista a Walter Veltroni che parla di «condanna gigantesca… I giudici di Palermo dicono che fino al 1992 un esponente politico del Pdl aveva rapporti con le famiglie mafiose più rilevanti». Il commento è firmato da Giuseppe D’Avanzo: “L’anello di congiunzione tra i boss e il Cavaliere” è il titolo.

IL GIORNALE propone una intervista a Marcello Dell’Utri (però non strillata in prima pagina) che  commenta e annuncia: «Contro di me spazzatura. In Cassazione sarò assolto». Un contro processo quello scritto da Enrico Lagattola, che incontra il politico a Milano. Risposte non diplomatiche: Sulle accuse sui legami con i boss mafiosi le definisce minghiate. «Ho conosciuto solo Cinà e Mangano e ancora non esiste  un reato di amicizia». Mangano  è il mio eroe perché  ha preferito farsi la galera piuttosto  che inventarsi accuse contro di me o Berlusconi. E se lo avesse fatto sarebbe uscito. Lagattola ricorda che in Sicilia i giovani del PdL organizzano una fiaccolata pro Falcone e contro Mangano? La risposta di Dell’Utri: « Echissenefrega». Sui giudici di Palermo: «Sono delle persone per bene, ma la loro è una sentenza pilatesca. Il problema è la Procura. Sono potentissimi e condizionano l’ambiente. Ora spero di non trovare in Cassazione un giudice di Palermo». Ci sarà la prescrizione, i fatti sono antecedenti il 92. «La prescrizione non la voglio, se dovessero darmela farei ricorso». Dimettersi? «Non ci penso neppure. E poi i gradi di giudizio sono tre».  Se anche la Cassazione la condannerà, carcere? «Se c’è da andare in carcere ci vado. Non si muore in carcere. Non è morto nemmeno Tommaso Campanella, che in prigione c’è rimasto una vita. Mi spiace solo per gli amici e la famiglia. Io non ho paura di nulla. È forse questo il mio problema». Una infografica aiuta a ripercorre le tappe della vicenda giudiziaria  cominciata nel 1994. E fra i commenti quello di Lino Jannuzzi comincia in copertina: «C’è un pubblico ministero a Palermo che non merita le reprimende che Silvio Berlusconi di solito fa ai magistrati politicizzati. Si chiama Antonino Gatto ed è il procuratore generale che al processo d’appello contro Marcello dell’Utri, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, ha chiesto  non solo la conferma della condanna ma di aumentargli la pena. Tuttavia l’ha fatto senza nascondere il vero obiettivo. Concludendo la sua requisitoria ha detto “ dovete prendere una decisione storica non solo dal punto di vista giudiziario ma per il nostro Paese. Qui è il potere che viene processato, un potere che ha tentato di condizionare e sfuggire al processo”».

«Il pezzo da novanta» titola in apertura IL MANIFESTO a sfondare su una foto che raffigura un Dell’Utri sorridente. Due i commenti in prima pagina dedicate alla condanna a sette anni del senatore Pdl per concorso esterno in associazione mafiosa. «Mafioso senza appello» è il titolo dell’editoriale di Giuseppe Di Lello che esordisce: «Il senatore Marcello Dell’Utri, cofondatore con Berlusconi di Forza Italia, è stato condannato anche in appello per concorso esterno in associazione mafiosa: nudo e crudo, politico più che giudiziario, il fatto è questo bisogna ragionare in attesa di leggere le motivazioni della sentenza e, ovviamente, ricordando che bisognerà aspettare anche la pronuncia finale della Cassazione (…)» e prosegue «In questo contesto anche la mannaia della prescrizione – vista la riduzione della pena a sette anni – diventa un problema secondario, perché il punto non è tanto vedere Dell’Utri in carcere quanto ribadirne il ruolo di cerniera tra la mafia e la politica andata al potere con Forza Italia poi Pdl: questione politica più che giudiziaria, appunto (…)» E ancora: «Cosa pensi questa maggioranza di destra sui legami tra mafia e politica lo si è già visto con la strenua difesa di Cuffaro fino alle sue dimissioni imposte dalla condanna, con la unanme e decennale solidarietà a Dell’Utri, con la conferma di Cosentino a sottosegretario, per citare solo gli episodi più eclatanti (…)». Andrea Fabozzi firma invece il commento: «Condannato e festeggiato» in cui si legge: «Bisognerà mettere da parte le pacche sulle spalle, conservare bene i sorrisi e le dichiarazioni festose, ricordare a lungo la soddisfazione con la quale il governo e la maggioranza hanno accolto la condanna di Marcello Dell’Utri a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa (…)» E conclude. «(…) se la sentenza di ieri avesse chiarito una volta e per sempre che non c’è stato alcun legame tra la nascita di Forza Italia e i piani di Cosa Nostra, resterebbe da spiegare come mai tanti mafiosi si impegnarono per il partito di Berlusconi in quella campagna elettorale del ’94, aprirono circoli di Forza Italia. Come mai il materiale elettorale di La Loggia e Miccichè fu sequestrato a casa di Pino Mandalari, mafioso e massone, curatore degli interessi economici di Liggio, Riina e Badalamenti». Due le pagine interne che si aprono con il titolo «Forza Italia il giallo resta».

Condannato il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri a 7 anni, riconosciuto colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi prima del 1992. Assolto, invece, limitatamente alle condotte contestate come commesse in epoca successiva al 1992 perché «il fatto non sussiste». E’ questa la cronaca del processo ai danni del senatore Dell’Utri, a cui IL SOLE 24 ORE dedica un lancio in prima e una approfondimento e una breve infografica che segna le tappe del processo. Nino Amadore, a pagina 19, trae quindi la conclusione: «E’ stato per vent’anni il punto di contatto tra la mafia palermitana e il mondo politico-finanziario milanese e di Silvio Berlusconi. Ma non è stato il tramite di un patto politico-mafioso tra Cosa nostra e il nascente partito di Forza Italia». Pronti i commenti di maggioranza e opposizione raccolti nel taglio medio della pagina: solidarietà da Fabrizio Cicchitto (capogruppo Pdl alla Camera) e dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa (Pdl) verso il condannato-assolto. Entrambi sostengono siano state così considerate “fandonie” tutte le illazione sul fatto che Forza Italia abbia avuto alla sua nascita commistioni, vicinanze con la mafia. Critica l’opposizione che non capisce come si possa essere soddisfatti di una sentenza che accusa un importante esponente della maggioranza di aver avuto rapporti con la mafia. Idem, Antonio Di Pietro, che ironizza: «Speriamo che Berlusconi non faccia ministro pure lui». Ma critici lo sono anche i finiani, per voce di Fabio Granata che dichiara di non apprezzare affatto «questo sport nazionale di commento di solidarietà o festeggiamento per un uomo politico importante che è stato condannato». Ubiquo, infine, Umberto Bossi: «Un conto è provare che uno è mafioso, l’appoggio esterno non dimostra niente; non dimostra che uno è mafioso».

ITALIA OGGI dedica alla notizia un commento di Marco Bertancini a pagina 2. «Una sentenza che resta comunque inquietante» è il titolo. Si distinguono due piani della sentenza: «Il primo riguarda il rimescolamento incessante dei sospetti (cui ha fornito appiglio pure l’ex presidente Ciampi, scopritore tardivo di un colpo di s

tato cui mai aveva fatto cenno prima di mettere in vendita le proprie memorie) sulla nascita di Forza Italia». L’altro piano, invece, «concerne la reazione del cittadino medio», nonostante lo sconto di pena, «al normale elettore, che un fondatore di Fi sia condannato per fatti mafiosi non va giù. Inutile distinguere le date. Inutile ricordare l’impalpabilità del reato contestato. Inutili solidarietà politica, speranza nella Cassazione, distinzione fra eventi personali e fatti politici». Così, se Di Pietro e i «giustizialisti» affermano che «il fatto resta quello che è, ossia Dell’Utri ha avuto rapporti penalmente rilevanti con la mafia», interpretano «un sentimento molto esteso, pure fra gli elettori del Pdl».

Alla sentenza del processo Dell’Utri AVVENIRE dedica tutta la pagina 9, con richiamo in prima titolato “Per Dell’Utri condanna a 7 anni. Ma il patto politica-boss non ci fu”. AVVENIRE registra la parziale soddisfazione del diretto interessato che non era presente in aula ma ha dichiarato: «È stata una sentenza pilatesca» e l’esultanza del Pdl che per bocca del portavoce Daniele Capezzone sottolinea come siano state «smontate le accuse sul coinvolgimento del centrodestra». Ignazio La Russa giudica la condanna «molto pesante dal punto di vista personale ma un grosso successo dal punto di vista politica», spiegando così quel mix di soddisfazione e fastidio che si respira nel Pdl. Anche il capo dei “finiani” a Montecitorio, Italo Bocchino, sostiene che «la sentenza su Dell’Utri smonta il teorema tutto politico di un collegamento tra le stragi mafiose e la nascita di Forza Italia e fa chiarezza positivamente su un passaggio fondamentale della storia politica italiana». Il Pd invece attacca duramente le parole su Mangano (definito da Dell’Utri “un eroe”). Veltroni non ci sta: «Un giudizio di intollerabile gravità». La Finocchiaro lo segue: «Eroico lo stalliere di Arcore? Si tratta di un delirio inaccettabile».

“Mafia, 7 anni a Dell’Utri”, è il titolo di apertura de LA STAMPA. Che mette in prima un editoriale di Francesco La Licata, grande esperto di cose di mafia. Che nell’attacco chiarisce bene la situazione: «Se Marcello Dell’Utri fosse un imputato come tutti gli altri, la sentenza di ieri della Corte d’Appello – sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa – non lascerebbe spazio a tante interpretazioni lontane e contrastanti tra di loro. Il reato è chiaro, il responso dei giudici pure, visto che – in sostanza – conferma l’impianto accusatorio del primo grado con un piccolo «sconto» (due anni) che nei processi d’appello è quasi fisiologico (…) Su Dell’Utri, invece, sembra aver prevalso un atteggiamento della Corte che dà ragione all’ipotesi accusatoria di primo grado, ma per le vicende che precedono il 1992. Secondo i giudici, cioè, esisterebbero prove sufficienti dei contatti fra Dell’Utri e la mafia per il periodo che precede la sua discesa in politica e la successiva stagione stragista ordita da Cosa nostra. Per il resto, non bastano le prove raccolte. Né le rivelazione di Ciancimino, né quelle di Gaspare Spatuzza, fino a questo momento, sembrano avere la forza di offrire la prova regina. Appare lontana, tuttavia, l’ipotesi che possa intervenire una prescrizione a sanare l’intera vicenda: a conti fatti sembra che manchino circa quattro anni al limite previsto dalla legge e un eventuale ricorso in Cassazione potrebbe concludersi nel giro di un anno».

E inoltre sui giornali di oggi:

ECONOMIA
LA REPUBBLICA –  “Allarme banche e fiducia Usa, Borse a picco”. Piazza Affari ha perso il 4,44%, male anche le altre Borse europee. A mandare al tappeto i mercati di mezzo mondo diversi fattori: il superindice cinese rivisto al ribasso, un possibile rallentamento della crescita in Oriente e il sospetto di una crisi di liquidità. Domani in Europa scadono titoli per un controvalore di 442 miliardi di euro. La Bce dovrà consegnare tutti questi titoli ai proprietari (le banche di mezza Europa) che in cambio dovranno rendere i quattrini alla Bce. Il deficit di liquidità potrebbe essere pari a 100 miliardi.

FIAT
IL MANIFESTO – Ampio spazio a pagina 5 alle “schedature Fiat”: «Come ai tempi di Valletta si spiano gli operai “pericolosi”. Quelli della Fiom. Licenziato un lavoratore in congedo parentale: “Non si occupa del figlio» scrive IL MANIFESTO che titola l’articolo «Il grande occhio di Marchionne». L’articolo si apre ricordando le 354.077 schede su altrettanti lavoratori Fiat realizzate da Valletta negli anni Cinquanta. «Sembra proprio di essere ripiombati ai tempi delle schedature Fiat (…)» si sottolinea riportando la storia dell’operaio licenziato, iscritto alla Fiom, che è stato scoperto ad alzare la saracinesca del negozio della moglie mentre era in congedo parentale. Nell’articolo si sottolinea anche che «L’uso dei sistemi spionistiche è persino più grave del licenziamento stesso».

CITTADINANZA
CORRIERE DELLA SERA – Il quotidiano dedica una pagina alla vicenda di Ibi Ayad, marocchina di 21 anni unica superstite della sua famiglia sopravissuta alla tragedia di Viareggio di un anno fa che ora è diventata cittadina italiana: «Subito dopo il giuramento, al quale hanno partecipato gli amici i parenti e il marito Hichmam Mehbi, operaio, sposato pochi mesi fa, Ibi ha ricordato la famiglia scomparsa nel disastro. «Diventare italiano era il sogno del mio babbo (che quella notte prima di morire era tornato a casa per salvare i fogli per chiedere la cittadinanza ndr) e di tutta la mia famiglia – ha spiegato la giovane – e oggi io l’ho presa per loro che non ci sono più. Sono orgogliosa di essere italiana e spero che questo riconoscimento possa alleviare un po’ il mio dolore. La trasmetterò, quella italianità, ai miei figli, spero numerosi. Già questo è un grande dono che l’Italia ha fatto a me e a mio marito». 

DIRITTI
LA STAMPA – “Coppie di fatto? L’Italia ci segua”. Chiamparino invita il parlamento a riprendere in mano la questione, dopo l’approvazione da parte del Comune di una delibera di iniziativa popolare in base alla quale  «l’anagrafe di Torino rilascerà un documento a tutte le coppie che dichiareranno allo sportello di convivere “per motivi affettivi»” Non sostituirà lo stato di famiglia, ma attesterà che quelle due persone, magari dello stesso sesso, rappresentano un’unione di fatto. E in virtù di quel certificato, insieme, potranno godere di particolari diritti». Tra questi, l’ingresso nelle graduatorie per gli asili e per le case. Il commento è di Elena Loewanthal: «Poeti e filosofi lo dicono da millenni. In fondo, non ci dicono altro, da che mondo è mondo. Eppure ci sono volute duemilacinquecento firme (raccolte da associazioni radicali e laiche) e relativa delibera di iniziativa popolare, per far sì che se ne accorgesse anche la politica: che l’amore è un vincolo. Non un capriccio né un passatempo, prima ancora che passione.  E così, finalmente, attraverso una buona politica – che soddisfazione poter ogni tanto usare questo binomio di parole – approda all’anagrafe di Torino la dicitura “vincolo affettivo” come riconoscimento di unione civile. (…) “Vincolo affettivo” invece non è l’abbreviazione di niente: ci dice come stanno le cose dentro migliaia di case, nella vita quotidiana e nei grandi momenti. Stabilisce che questo vincolo esige un riconoscimento, da parte della società, non offende nessuno e non limita la libertà di chi crede che l’unione tra un uomo e una donna debba essere sigillata dal matrimonio».

ISLAM
ITALIA OGGI – «Paese Ue che vai, burqa che trovi» è il titolo dell’articolo a pagina 10. Per il quotidiano «in pochi lo tollerano. La maggior parte propone divieti». Si cita il caso spagnolo «dove diverse città hanno deliberato il divieto di coprirsi la faccia nei luoghi pubblici». E se, da una parte, «non c’è alcun divieto di portare il velo integrale in Svizzera, Austria e nel Regno Unito», dall’altra ci sono realtà che «hanno stabilito limiti parziali: Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Italia. Mentre Francia e Belgio sono indirizzati «verso un divieto generale».

CROCEFISSO
AVVENIRE – Due pagine sono dedicate al riesame della sentenza che ha stabilito la rimozione della croce dalle aule delle scuole statali che inizia oggi alla Corte per i diritti dell’uomo di Strasburgo. Tra i dieci Paesi membri del Consiglio d’Europa in campo con l’Italia per questa battaglia di civiltà c’è anche la Russia. Il verdetto entro un anno.

OGM
IL SOLE 24 ORE – Sugli Ogm si volta pagina. Dopo dieci anni di divieti il ministro delle Politiche agricole, Giancarlo Galan, ha annunciato che «incoraggerà la ricerca e la sperimentazione». Strano chiasmo politico. Va via Galan da Governatore del Veneto, prende il posto di Zaia (da sempre anti ogm) che invece diventa il numero uno della regione. Il primo apre agli ogm come ministro, il secondo chiude agli ogm come governatore. verrebbe da dire che i due proprio non si reggono. «Ho intenzione – ha sottolineato Galan – di far valere un punto di vista più aperto. Incoraggerò la ricerca e la sperimentazione sulle biotecnologie. Non permetterò che l’Italia si ritrovi a pagare gap difficilmente recuperabili in un terreno strategico come la conoscenza». Da vederne delle belle. Intanto per la Coldiretti «occorre decidere se i pochi soldi pubblici disponibili per la ricerca devono essere destinati agli Ogm o a cose ben più importanti». Secondo il presidente, Sergio Marini, infatti, «la scelta di dire no alla coltivazione degli ogm fatta dall’Italia è stata lungimirante». Siamo a pagina 26, e scrive Ernesto Diffidenti.

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