A metà degli anni ’90 del secolo scorso, dopo essermi laureato e aver iniziato a lavorare, mi recai in banca per chiedere un prestito, in modo da poter acquistare un appartamento. Messa in mano al fattorino una banconota, quello mi fece entrare direttamente nell’ufficio della signora Hanaa. “Si accomodi, signor Wael”. Il mio nome significa Salvatore, nome diffuso fra i cristiani egiziani. Spiegai alla signora Hanaa che avevo bisogno di comprare un appartamento, perché stavo per sposare la ragazza che amavo. All’anulare della mano destra portavo un anello d’oro che lo dimostrava. La signora Hanaa mi rispose che era impossibile ottenere un prestito e mi chiuse in faccia tutte le porte. Per mettere fine all’incontro, mi chiese di lasciarle nome e numero di telefono. Quando lesse il mio nome completo cambiò espressione. “Wael Muhammad? Sei musulmano? Perché porti un anello d’oro come i nazareni e ti chiami Wael?? Ascolta, per il prestito devi fare questo e questo…” E tutte le porte che pochi minuti prima lei aveva chiuso cominciarono ad aprirsi. Non sapevo se esser contento per lo spiraglio di speranza che si era improvvisamente aperto, o esser triste perché avevo capito che un cristiano egiziano non avrebbe mai avuto la stessa opportunità. Fui uno stupido – lo sono tuttora – perché urlai in faccia alla signora che era una discriminazione, era razzismo. Insistei perché fosse redatto un verbale contro la signora. Persi il prestito, persi l’appartamento e non sono nemmeno sicuro che la signora Hanaa ricevette una punizione adeguata.
Il giorno successivo, tutto fiero di me, con in mano una fotocopia del verbale, mi recai al centro per i diritti umani dove lavoravo e che lottava contro la discriminazione dei copti. Ero uno delle decine di volontari musulmani là dentro. Incontrai dei colleghi cristiani che non degnarono di alcun interesse il gesto eroico che avevo fatto, perché c’era di peggio. L’imam di un quartiere popolare – dicevano – nelle sue prediche in moschea descriveva i cristiani come pagani adoratori della croce. Io li rimproverai, dicendo: “Che sciocchezza! Lo sheykh di al-Azhar, la più alta autorità religiosa islamica, vi dice che siete fratelli in Dio e nella nazione, e voi vi lasciate ferire da quel che dice uno sciocco come quello?”
Oggi, il grande papa Francesco rifiuta di descrivere il terrorismo come islamico, eppure anch’io mi lascio ferire da questo tipo di “sciocchezze”. Anni fa, ho deciso di fare come dice il Corano: “Egli vi ha rivelato nel libro che quando sentirete rinnegare i versetti di Dio oppure li sentirete deridere, non dovrete restare con coloro che lo fanno, finché non cambieranno discorso” (Corano 4:140); “Il bene e il male non sono uguali; tu respingi il male con un bene maggiore, e il nemico sarà per te un amico sincero” (Corano 41:34); “I servi del Clemente sono quelli che camminano sulla terra con umiltà e quando gli ignoranti si rivolgono a loro rispondono: ‘Pace’” (Corano 25:63).
In quest’ultimo periodo, però, mi stanno arrivando messaggi ed email insultanti, o c’è chi viene sulla mia pagina Facebook per scrivere cose offensive che mi sforzo di ignorare. Questo mi ha fatto capire che devo delle scuse ai miei amici cristiani, per aver un giorno descritto questo tipo di offese come delle sciocchezze.
Gli amici che mi conoscono da anni hanno notato che mi sono lasciato crescere i capelli. Ho preso questa grave decisione di rinnovare il mio look – per la prima volta nella mia vita, dopo aver superato i quarant’anni – perché un giorno sono entrato nel salone di un barbiere, nel quartiere elegante dove vivo, a Milano. Appena entrato, è caduto un silenzio pesante, finché non l’ha spezzato il vecchio barbiere, a voce alta: “Mi dica”. “Vorrei tagliarmi i capelli” – ho detto. Spostando di nuovo gli occhi sulla testa della persona che stava rasando, mi ha risposto: “Il negozio è chiuso”. “Chiuso?” – ho detto io. “Sì, chiuso”. Nessuno dei presenti ha commentato, tutti si sono messi a fare qualcos’altro. Sono uscito dal salone senza provare nulla, poi ho iniziato a ridere forte, immaginandomi un amico cristiano che entra nel salone del barbiere, tenendo nella mano alzata una grossa croce, per farsi tagliare i capelli. Ho provato compassione per le decine di migliaia di cristiani egiziani che forse sono scacciati dai barbieri a causa della pelle scura e dei lineamenti orientali che li fanno apparire come dei potenziali terroristi o, nel caso migliore, come seguaci di un profeta beduino poligamo che taglia teste e violenta bambine. Anche per questo devo delle scuse ai cristiani egiziani, per la somiglianza dei nostri lineamenti.
Non nego che quel giorno ho provato amarezza. Nei giorni successivi, però, sono rimasto atterrito quando ho incontrato dei giovani musulmani che non sentivano piu questa amarezza; perché una persona prova amarezza quando non trova il bene che si aspetta negli altri, ma smette di provarla quando non se l’aspetta più e non vede più il bene in loro.
Le parole e le prese di posizione di papa Francesco fanno rivivere la speranza in questi giovani cuori, restituiscono loro la capacità di provare amarezza; l’amarezza di un musulmano in Occidente, nell’epoca del terrorismo islamico.
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