Welfare
Delitto Sanaa, mea culpa di comunità
Padri e figli a confronto a Pordenone
In provincia vivono oltre seimila minorenni immigrati. Che hanno molte più responsabilità dei loro coetanei. Ma che nascondono molte fragilità. «E i genitori spesso non ci capiscono» «Dopo quel che è accaduto ci siamo avvicinati gli uni agli altri più che mai. Le mamme hanno cercato le altre mamme, i papà gli altri papà. Siamo scioccati e abbiamo molta paura che si generino altri mostri», dice Naima, 25 anni, marocchina, a Pordenone da quando ne aveva 10. Indossa la tradizionale gellaba e porta il velo. Invece sua madre, che «ha dei capelli bellissimi», spesso esce a capo scoperto. Naima ha imparato cos’è l’Islam leggendo libri in italiano, per sua libera scelta, dopo aver passato momenti difficili a scuola, «quando vorresti che la tua differenza scomparisse, vorresti essere esattamente come le tue compagne italiane».
Secondo l’Istat, in provincia di Pordenone gli stranieri nati in Italia sono 3.541, i minorenni 6.637, di cui più di duemila hanno tra i 12 e i 18 anni. Ecco perché la vicenda di Sanaa ha risvegliato le coscienze di tutti.
Per la festa di fine Ramadan, più di mille persone sabato 16 settembre sono arrivate dalla provincia friulana nel nuovo centro culturale islamico, inaugurato appena un mese fa a Pordenone. Doveva essere un momento di grande gioia per una comunità che da vent’anni cercava uno spazio adeguato per pregare. Erano tutti vestiti a festa, con veli e copricapi scintillanti al sole, ma si respirava tristezza, dolore e smarrimento per la perdita di Sanaa. L’imam Mohamed Ouatiq, però, ha invitato i fedeli a trasformare il dramma in un momento di riflessione utile a far crescere la comunità: «Non c’è giustificazione per una tale violenza. Noi oggi dobbiamo pensare a come prevenire episodi così gravi».
Najat Najjar, mediatrice culturale marocchina che conosce la famiglia di Sanaa, dice: «Sappiamo che a scatenare la furia del padre è il fatto che la ragazza sia andata via di casa. Che una figlia scappi di casa è una vergogna per la famiglia, dimostra il fallimento dei genitori. El Kataoui Dafani non è riuscito a sopportarlo, da lì è nata la sua follia». La comunità si chiede oggi che cosa ciascuno avrebbe potuto fare per evitare la tragedia. «Lui non aveva parlato con nessuno. Se lo avesse fatto avremmo potuto aiutarlo a riconciliarsi con la figlia», continua Najat.
«Una soluzione si trova sempre, non c’è nulla che possa portare un papà a un gesto simile», dice El Hadji Oubana, musulmano del Niger, 40 anni, padre di cinque figli, che «si sposeranno per amore, con connazionali o italiani, non importa». Da mamma, Najat afferma: «Dobbiamo renderci conto che i nostri figli non cresceranno come noi. Sarebbe lo stesso in Marocco, perché tutte le culture cambiano e i conflitti tra generazioni sono normali».
Per Naima un genitore deve per prima cosa dare il buon esempio. Se poi il figlio sceglie una strada sbagliata i genitori immigrati devono anche sforzarsi di conoscere la società fuori casa loro. «Non basta essere integrati al lavoro come il padre di Sanaa e poi, a casa, chiudersi in un guscio e dire: “Da noi si fa così, punto e basta”», continua Naima e, parlando per esperienza, dice: «I ragazzi “seconda generazione” imparano a diventare grandi prima di tanti giovani italiani, perché devono occuparsi dei permessi di soggiorno, dei fratellini, di fare traduzioni per i genitori. Hanno molte responsabilità e questo li rende fragili, perché in fondo hanno solo l’apparenza dei grandi. Dobbiamo saper amare questi figli per quello che sono».
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