Cultura

“Delitto Neruda”, il libro-inchiesta di Roberto Ippolito

Amato dal pubblico di tutto il mondo, premiato con il Nobel nel ’71, Pablo Neruda era anche impegnato politicamente. Proprio per la sua notorietà era diventato un personaggio scomodo per il regime di Pinochet. Secondo la versione ufficiale morì per il cancro alla prostata, ma ora dalle pagine pubblicate da Chiarelettere emerge un’altra verità del tutto diversa. Per rendergli giustizia

di Asmae Dachan

Come è nata l’idea di questo libro-inchiesta?

“L’idea di avviare questa inchiesta nasce dal desiderio di capire, di chiarire alcuni sospetti, dall’impossibilità di accettare l’incertezza sulla morte di Pablo Neruda. Non sapevo cosa avrei potuto trovare. Inizialmente e per tanto tempo pensavo di raccontare il dubbio. Solo alla fine di un lungo lavoro sono giunto all’affermazione che è diventata il titolo stesso del libro, “Delitto Neruda”. Pablo Neruda non è morto di morte naturale, ma è stato ucciso”.

Da quali elementi è partito per avviare il suo lavoro?

“Quando ho iniziato non avevo nulla di concreto tra le mani e ho innanzitutto cercato persone che mi dessero informazioni generali sulla storia del Cile, sul golpe di Pinochet del 1973 e su quella di Pablo Neruda. Dopo diversi incontri e una lunga conversazione con un esule cileno ho capito che c’era materia prima su cui indagare. Non disponevo di nessuna notizia particolare, ma una serie di tracce mi hanno spinto ad andare fino in fondo. Ne è nata un’inchiesta internazionale. In passato, come scrittore, ho pubblicato inchieste su fenomeni sociali, ma questa è il primo libro riferito a un caso individuale. Non è possibile che Neruda riposi a Isla Negra senza che si sappia la verità sulla sua fine. Poche persone sapevano cosa volessi realizzare. Nei giorni trascorsi in Cile come per le ricerche svolte in tutto il mondo ho cercato di operare con grande segretezza e discrezione, stando attendo a non ricevere condizionamenti di alcun tipo. Ho lavorato con cautela, consultando archivi, ritagli di giornali e libri, ma anche tutti i documenti utili all’inchiesta”.

Quali elementi, in particolare, hanno rafforzato l’idea dell’omicidio?

“Via via che i fatti emergevano, ho trovato molti elementi importanti, dalla falsità del certificato di morte alla perizia sulla sua cintura – che racconto in modo approfondito nel libro -, che rivelano che il poeta non è morto di malattia, contrariamente alla versione ufficiale. Nel libro abbondano le note nelle quali cito esplicitamente le fonti a cui attingo, in modo che il lettore possa conoscere le basi della ricostruzione ed eventualmente anche approfondire”.

Come hanno reagito i familiari di Neruda alla notizia dell’uscita del suo libro?

“In occasione della presentazione a Capri, il nipote di Pablo Neruda, Rodolfo Reyes, ha mandato un video messaggio da Santiago del Cile in cui definisce il libro «un anticipo della verità giudiziaria che in Cile si è voluto nascondere per diversi motivi e interessi». Questo riconoscimento del mio lavoro da parte del nipote, rappresentante legale dei familiari, per me è stato particolarmente gratificante. Ma tocca il punto chiave: i familiari vogliono che si faccia luce su cosa è realmente successo. Sebbene in Cile siano state aperte e concluse inchieste sugli omicidi del regime, nel caso di Neruda, purtroppo, non è stato così. L’inchiesta sulla sua morte è stata aperta, ma è ferma da anni. Le indagini si sarebbero dovute concludere molto tempo fa, invece continuano a essere ostacolate: se si arrivasse a una sentenza, considerata la popolarità di Neruda, balzerebbe agli occhi la violenza della dittatura di Pinochet”.

Perché tanto accanimento contro il poeta Neruda?

Nel 1973 Neruda aveva un’enorme popolarità nel mondo grazie alle sue opere, che due anni prima gli erano valse il Nobel per la letteratura. Ma era anche molto battagliero sul piano politico. Era il poeta dell’amore ma anche dell’impegno civile, il poeta della vita. Era stato precandidato anche alla presidenza della repubblica, ma poi si era ritirato per favorire la convergenza di Unidad Popular su Salvador Allende e quindi la sua elezione. Dopo la scomparsa di Allende il giorno stesso del golpe, l’11 settembre, Neruda era la persona più popolare in Cile e non solo in Cile. Il decesso di Neruda avvenne alle 22.30 di domenica 23 settembre; il giorno dopo il poeta sarebbe dovuto partire per il Messico con un aereo messo a disposizione dal presidente della Repubblica messicana. È una combinazione il mancato viaggio? È evidente che Neruda all’estero sarebbe stato una spina nel fianco del regime cileno. La sua voce sarebbe stata rivelatrice della tragedia di un popolo, il poeta avrebbe denunciato quali violenze stavano insanguinando la sua terra e avrebbe potuto guidare un governo in esilio. Dal golpe in poi, nei giorni precedenti la morte, ha subito oltraggi: una pesante perquisizione a Isla Negra, le sue case devastate, i suoi libri bruciati nei falò nelle strade. La gente nascondeva i suoi libri per paura di ritorsioni. Neruda aveva il cancro ma da più parti risulta che ha lavorato fino all’ultimo; non era affatto un malato terminale, prevalgono le testimonianze secondo cui era in buone condizioni”.

In che momento ha capito che era arrivato alla fine del libro?

“Non c’è stato un momento preciso, ma la somma di tanti momenti. Un giorno dopo l’altro gli elementi raccolti andavano sistematicamente nella stessa direzione: la morte non è stata naturale. Così alla fine del percorso mi sono assunto la responsabilità, sostenuto dall’editore, di titolare il libro “Delitto Neruda”. Ora, mentre il libro teso alla ricostruzione della verità fa il suo cammino, si deve concludere il cammino dell’inchiesta giudiziaria. Passati 47 anni dalla scomparsa, la verità della magistratura deve finalmente arrivare”.

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