Politica

Delega 0/6 anni, cosa cambia per le cooperative?

La delega che istituisce il sistema integrato di educazione e istruzione è un forte riconoscimento culturale del fatto che i servizi per la prima infanzia non siano solo servizi assistenziali ma di educazione e istruzione, cruciali per l'eliminazione delle disuguaglianze. Considerato lo storico ruolo delle cooperative sociali, dall'unione fra questo testo e la legge sull'impresa sociale, si aprono interessanti opportunità. Le spiega Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà

di Sara De Carli

Si chiama Atto n. 380 – Schema di decreto legislativo recante istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni. È uno degli otto decreti legislativi approvati il 14 gennaio dal Consiglio dei Ministri, per l’esercizio delle deleghe contenute nella legge sulla Buona Scuola e tre commissioni della Camera (VII Cultura e XII Affari Sociali più la V Bilancio) avranno tempo fino al 17 marzo per dare il loro parere. Il testo raccoglie un lungo lavoro, iniziato dalla senatrice Francesca Puglisi, che ha commentato così il primo traguardo raggiunto: «Quando nel 2011 andammo al Miur per chiedere di occuparsi anche di nidi, ci diedero delle matte! Per questo il mio grazie va anche a Stefania Giannini e oggi a Valeria Fedeli e a tutti coloro che al MIUR, piano piano, hanno iniziato ad appassionarsi non solo all'istruzione, ma anche all'educazione. Perché è lì, nei primi fertilissimi anni di vita, che si possono recuperare gli svantaggi di partenza e gettare solide basi per il futuro».

Quando nel 2011 andammo al Miur per chiedere di occuparsi anche di nidi, ci diedero delle matte! Per questo il mio grazie va a tutti coloro che al Miur, piano piano, hanno iniziato ad appassionarsi non solo all'istruzione, ma anche all'educazione. Perché è lì, nei primi fertilissimi anni di vita, che si possono recuperare gli svantaggi di partenza e gettare solide basi per il futuro

Francesca Puglisi

Pensado ai titoli, le novità più immediate da comprendere sono due: le educatrici dei servizi per la prima infanzia dovranno avere una laurea (scienze dell’educazione nella classe L19 o scienze della formazione primaria) e nasce fondo da 200 e più milioni l’anno (672 sul triennio 2017-2019) per la costruzione, la messa in sicurezza e la ristrutturazione di edifici di nidi e scuole dell’infanzia, la partecipazione alle spese di gestione, la formazione del personale. L’obiettivo è arrivare a portare il 33% di bambini che frequentano un servizio educativo, con una presenza che copra il 75% dei Comuni d’Italia. È lo stesso obiettivo che l’Italia aveva assunto per il 2010, ma da cui anni dopo siamo ancora lontani: al 31 dicembre 2014, secondo quanto riportato nell’ultimo monitoraggio dello sviluppo del sistema dei servizi educativi per la prima infanzia curato dall’Istituto degli Innocenti, i posti disponibili nei servizi di prima infanzia coprivano solo il 21,9% dei bambini (307.833 al 31/12/2014), certo un tasso in crescita rispetto al 14,8% del 2008 ma ancora molto basso.

La portata della delega però, complessivamente, sta nel fatto che istituisce un Sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a 6 anni, per garantire a tutti i bambini e alle bambine «pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali» e «ridurre gli svantaggi culturali»: un bel passaggio culturale, che riconosce il valore educativo dei servizi per i piccolissimi, di cui il privato sociale, insieme alle scuole paritarie, è tradizionalmente un tassello importante.

Per questo e per capire quali novità e opportunità attendono il sistema cooperativistico in conseguenza della delega, abbiamo cercato Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà e di CECOP, la confederazione europea delle cooperative sociali e di lavoro.

Quale novità rappresenta il testo della delega le cooperative impegnate nei servizi per la prima infanzia?
La presenza delle cooperative sociali è stata sempre molto significativa in questo settore, soprattutto negli asili nido, negli spazi gioco e in quei servizi integrativi che spesso sono stati ideati e promossi proprio da nostre cooperative e che oggi entrano a far parte di diritto del sistema integrato di educazione e istruzione. La delega è il riconoscimento che questa tipologia di servizi stanno dentro dentro una filiera educativa, non sono solo servizi assistenziali, in linea peraltro con tutta la storia della pedagogia italiana che ne ha sempre sottolineato la valenza educativa. Questo è un successo importante sul piano culturale.

Secondo l’ultimo monitoraggio dell’Istituto degli Innocenti, i servizi con titolarità privata rappresentano una percentuale significativa e crescente nel sistema; per i nidi le unità di offerta a titolarità pubblica sono solo il 43,4%, per i servizi integrativi appena il 26,5%. Per le scuole dell’infanzia?
Sul lato scuole dell’infanzia la nostra presenza storica è meno forte, ma negli ultimi anni molte cooperative sociali che gestivano servizi per la prima infanzia sono state convolte anche nella gestione delle scuole dell’infanzia, in particolare nelle regioni dove c’erano molte paritarie legate a realtà parrocchiali o religiose, dove il calo delle vocazioni ha portato a chiedere aiuto alle cooperative per portare avanti i servizi. È un segnale interessante, su cui fare una riflessione unendoci anche alle possibilità che si aprono con la nuova normativa sull’impresa sociale. Molte cooperative che gestiscono le scuole paritarie sono cooperative culturali, non sociali, ma con la legge sull’impresa sociale potrebbero diventare imprese sociali, che prendono la gestione dei servizi. Si aprono opportunità interessanti per far fronte alla difficoltà di gestione, possono nascere imprese di comunità, cooperative o imprese sociali di nuova costituzione che coinvolgano tanti soggetti, anche i genitori. È una bella sfida per dare corpo al disegno continuità educativa che c’è alla base della delega: se si costruisce una filiera di continuità che favorisce l’integrazione fra spazi gioco, asili nido e scuole dell’infanzia, centri diurni per il pre e il dopo scuola, si risponde a un grande bisogno delle famiglie.

La delega è il riconoscimento che questa tipologia di servizi stanno dentro dentro una filiera educativa, non sono solo servizi assistenziali, in linea peraltro con tutta la storia della pedagogia italiana che ne ha sempre sottolineato la valenza educativa. Questo è un successo importante sul piano culturale.

Giuseppe Guerini

Si parla di maggiore diffusione dei servizi, un tema però che non può essere disgiunto da quello dell’accessibilità degli stessi da parte delle famiglie. Anche la Comunità Europea ha un po’ cambiato orientamento, richiamando di recente la necessità di sviluppare politiche a favore della qualità e accessibilità – a tariffe eque – dei servizi educativi.
Il diritto all’accesso è disomogeneo e in alcune aree territoriali mancano i servizi, ma è vero anche che vi sono famiglie che non riescono a pagare la retta dell’asilo nido e nemmneo della scuola dell’infanzia, nemmeno là dove la retta è bassa, 250 euro al mese. Anche per le cooperative il problema non è di indebitarci per costruire nuove strutture, il problema è la gestione e c’è assolutamente bisogno di sostenere le famiglie in questo. Ci segnalano sempre più spesso bambini figli di stranieri che arrivano in prima elementare senza aver mai frequentato un’ora di un servizio educativo, con problemi enormi.

Quindi un conto è dichiarare che il nido d’infanzia è considerato a tutti gli effetti un servizio pubblico, uscendo dal servizio a domanda individuale, un altro è realizzarlo effettivamente?
Già. Questi servizi costosi, occorre uno sforzo. Io rispetto e apprezzo il lavoro del Governo nel salvataggio di Monte dei Paschi, ma non possiamo continuare a tenere esclusi migliaia di bambini dall’educazione. Sono spesso a Bruxelles, ho appena letto il rapporto di Oxfam, non sono cose distanti, lei potrebbe dirmi stiamo parlando di asili nido cosa c’entra, purtroppo c’entra, ci deve essere una conversione della capacità di investimento, perché investire sulla cura delle persone porta più crescita di quanto non facciano le politiche di rigore e qualche miliardo di investimento sulla prima infanzia porterebbe all’abbattimento di qualche punto del debito pubblico italiano. Invece non vedo la minima correzione di rotta nelle politche economiche mainstream.

Nel testo, all’articolo 9, si parla di un “buono nido” che potrebbe essere erogato ai lavoratori quale forma di welfare aziendale: come lo vede?
Molto positivo. Oggi serve uno sforzo di tutti, servono forme di sostegno alle famiglie e quello del welfare aziendale è uno strumento molto interessante, perché bisogna costruire un sistema integrato per la copertura dei costi del sistema di welfare. Oggi molti lavoratori non hanno accesso a strumenti di welfare aziendale, serve costruire un meccanismo di universalismo selettivo per cui chi può accedere al welfare aziendale lo utilizzi a fondo e liberi le risorse pubbliche per chi questa opportunità non ce l’ha.

Tutte le educatrici dovranno essere laureate. Questo pone problemi?
La funzione educativa è delicata, necessita di una formazione adeguata, ma sappiamo che laurea non sempre è assoluta garanzia: spero che si lavori non per formalismi, chiedendo un eccesso di titoli su alcune funzioni. Sarebbe ora che nel nostro paese si cominciasse a dire che anche la professione sociale e assistenziale sono lavoro ad altissima dignità, perché veicoliamo un po’ troppo l’idea che se sei laureato devi fare solo coordinamento e progettazione, serve un po’ di sano realismo anche dentro le Università. È vero anche che storicamente il lavoro educativo è sottopagato, è un retaggio ottocentesco assolutamente inattuale: aver inserito i servizi educativi per la prima infanzia come parte importante dell’istruzione spero aiuti a sollevare un po’ anche questo aspetto del settore.


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