Welfare
Del due in uno. Una riflessione sulle competenze educative
L'educatore professionale, come il pedagogista, può validamente espletare la sua attività in una vasta e differenziata gamma di settori e ambiti di intervento, apportando il valore aggiunto di un approccio bio-psico-sociale, in una visione olistica di saperi e pratiche connettive. In questo spazio di "connessione" ed integrazione tra "sociale" e "sanitario" e "discorso pedagogico" si può intravedere la possibile costruzione di ponti dove ora si ergono muri tra visioni discrete ed opposte
Del due in uno. Nell’eterno rincorrersi tra teoria e prassi, talvolta i sistemi formativi tendono a una cristallizzazione di modelli, posizioni e contenuti. Abdicando ad una continua relazione di scambio e reciproco influenzamento, si corre il rischio di generare una distanza tra quanto proposto a livello dei sistemi formativi e quanto avviene nella realtà del mondo del lavoro. Se è vero che il compito formativo non si riduce all’addestramento professionale ma deve illuminare scenari e formare professionisti che sappiano interpretare le tendenze e affrontare nuove sfide, è altrettanto vero che si rischia talvolta di assistere a fenomeni di autoreferenzialità, come se il mondo formativo vivesse di vita propria, scisso dalla sua funzione fondamentale di costruzione di un sapere destinato a trovare applicazione nella concretezza del mondo del lavoro.
È paradigmatica in questo senso come in Italia si siano stati generati e strutturarti due distinti e distanti percorsi universitari volti alla formazione di educatori professionali, ma soprattutto, al di là delle ragioni storiche che hanno portato a queste offerte formative, come gli stessi abbiano influenzato, con la loro stessa esistenza contrapposta una produzione normativa in passato tesa a creare riserva professionali e compartimentale il mercato del lavoro in ambito sociale. A fronte, infatti, della Legge di Bilancio 2018 che identifica i profili dell'educatore professionale socio-sanitario e dell’educatore professionale socio-pedagogico e della quasi contemporanea approvazione della cosiddetta Legge Lorenzin che istituisce l'albo dell'educatore professionale collocandolo in un ordine multiprofessionale tra le professioni sanitarie, si è assistito ad una fase convulsa e confusiva, a tratti contraddittoria, con incertezza sugli ambiti di intervento dei rispettivi profili. Nella successiva Legge di bilancio 2019, registriamo una produzione normativa tesa a sanare l’evidenza, rappresentata dal fatto che questa scissione non trovi corrispondenza nella realtà dei servizi, dove collaborano educatori professionali che provengono da entrambi i canali formativi senza che questo, fino ad oggi, generasse particolari problemi. Bisogna però ricordare che da tempo i gli educatori professionali laureati in Scienze della Educazione vengano sistematicamente estromessi dai concorsi pubblici in ambito sanitario. Stante questa situazione, ed in una forma a questo punto paradossale, i percorsi formativi hanno trovato nella produzione normativa la “giustificazione” alla loro esistenza, in un accavallarsi e rincorrersi di atti senza un disegno organico. Per inciso non è nelle nostre competenze, né nel nostro interesse definire se si possa rintracciare un primato di un percorso rispetto all’altro, né tantomeno se si debba in qualche forma agire meccanismi di accorpamento tout court.
È probabilmente di maggior interesse provare ad affrontare un ragionamento che ponga in luce quali siano le caratteristiche della figura professionale dell’educatore professionale, quali le competenze, le conoscenze sottese e le abilità che informano la figura professionale, provando a rintracciare in questo modo l’elemento che troviamo stridente in questa situazione. Affrontiamo il ragionamento a partire non tanto dall’osservazione del quotidiano dei servizi, preferendo un approccio che parta da una ricerca “neutra”, generata cioè da un oggetto terzo rispetto al mondo educativo ed in questo senso abbiamo considerato l’Atlante delle professioni.
I risultati dell’indagine propongono una lettura della realtà della professione che di fatto sovrappone ed integra (in termini appunto di competenze, abilità e conoscenze) i due percorsi formativi, limitandosi ad accennare alle distanze come caratteristiche di specificità proprie del contesto e non della figura professionale. L’adozione di questo modello di lettura appare ancor più interessante nel momento in cui cogliamo come l’Atlante si configuri come un dispositivo di rilevazione del mondo delle professioni per porsi come strumento di orientamento sia per gli studenti universitari che per gli uffici di placement. Un oggetto quindi costruito e pensato per ridurre lo iato tra il mondo formativo e il mondo del lavoro. Tema che non deve portare all'annullamento di riflessioni attuali e cogenti sullo statuto epistemologico della educazione professionale che corre in questa temperie storica il rischio di vedere depotenziata e messa tra parentesi la sua natura che si radica in un approccio umanistico, filosofico, antropologico, psicosociale e soprattutto pedagogico.
Questo statuto epistemologico rischia di essere visto come un ingombro ed una inaccettabile aporia, una insolubile contraddizione, se ristretto entro il solo confine delle professioni sanitarie. Professioni sanitarie di indubbio valore ed importanza centrale nella nostra società, ma sottoposte a sistemi di programmazione, valutazione e valutazioni tipici delle scienze e del potere medico. Compresso all'interno di un simile contesto l'educatore rischia di diventare esecutore di metodi specializzati e settoriali per il trattamento delle diverse patologie. Spesso informati da modelli neuro-cognitivo-comportamentali. Modelli che possono avere una loro indiscutibile efficacia ma che vanno posti criticamente all'interno di un setting di competenze e di una cultura professionale che non rinuncia ad una propria dimensione ermeneutica. L'educatore professionale, come il pedagogista, può validamente espletare la sua attività in una vasta e differenziata gamma di settori e ambiti di intervento apportando il valore aggiunto di un approccio bio-psico-sociale. In una visione olistica di saperi e pratiche connettive. In questo spazio di "connessione" ed integrazione tra "sociale" e "sanitario" e "discorso pedagogico" si può intravedere la possibile costruzione di ponti dove ora si ergono muri tra visioni discrete ed opposte. Citando Bertolt Brecht "i muri ribaltati diventano ponti".
Concludiamo con un estratto della definizione di competenza, tratta dal Dizionario del lavoro sociale Brandani-Tramma, un estratto che ci pare paradigmatico del processo a cui vorremmo partecipare per ridurre la distanza ed in alcuni casi la dimensione di conflitto che percorre il mondo educativo. «Secondo Devoto e Oli, la “competenza” si origina dal “dirigersi verso” (cum-petere), è un “andare in cerca insieme”, un “far convergere” mirando a un obiettivo comune, che include, nel percorso di avvicinamento e annessione, il conflitto competitivo originatosi nel confronto. “Competente” è allora colui che unisce l’essere responsabile (consapevole, autoconsapevole, tecnicamente preparato) all’adeguatezza (etica,sociale, espressa in un riconoscimento abilitativo e abilitante); da un lato un conatus che proviene dal di dentro dell’individuo e fa sì che egli stesso si ritenga “adatto” e “in grado di”, dall’altro un circondare il soggetto con una considerazione che muove dagli altri e dal contesto, in base alla quale gli vengono richieste certe prestazioni, certe assicurazioni, un’etica, una coerenza, una performance in linea con i criteri decisi».
*Paolo Zuffinetti è educatore professionale post 99 e formatore, si occupa del coordinamento di attività di formazione professionale di adolescenti e giovani
Fabio Ruta è educatore professionale post 99 con circa 25 anni di servizio in tipologie di servizio e con utenze diverse. Laureato in Sde e Consulenza Pedagogica e Ricerca educativa. Attualmente lavora nel settore delle disabilità
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