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Decreto Minniti, i tre punti che fanno discutere

Colloquio preliminare videoregistrato firmato dall’interprete; modello processuale senza più udienza, perché il giudice decide sulla base del video; niente possibilità di appello. Avvocati e anche magistrati contestano la legittimità delle norme appena approvate

di Giuseppe Frangi

Il Decreto Minniti-Orlando disegna un “diritto processuale civile speciale” a tutele dimezzate. È l’accusa che viene sollevata dal mondo degli avvocati e da alcuni magistrati alle nuove norme che regolano l’ammissione allo status di rifugiati per i migranti arrivati in Italia che ne fanno richiesta. In particolare l’Associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione ha passato al setaccio il Decreto e ha scritto una lettera al Consiglio nazionale Forense per rilevarne alcune gravi limitazioni di libertà.

Il Decreto infatti disegna un nuovo modello processuale basato sul cosiddetto “rito camerale” che delimita i casi nei quali si prevede l'udienza orale (al migrante resta solo la possibilità di presentare "istanza motivata" per essere ascoltato dal giudice). In sostanza invece dell’udienza il giudice decide sulla base della registrazione del colloquio individuale avvenuto presso la Commissione territoriale. Come ha sottolineato Gerolamo Schiavone, avvocato dell’Associazione, «quello che viene previsto anche per controversie civili minime, come per esempio un piccolo furto al supermercato, sparisce nel caso si debba stabilire una questione assai più delicata, cioé se una persona è esposta nel suo paese a trattamenti inumani e degradanti».

Sempre Asgi segnala un altro vulnus del Decreto Minniti-Orlando. Il Decreto crea un “diritto processuale civile speciale” fondato sul dato della nazionalità. Spiega il presidente di Asgi, Lorenzo Trucco: «Il Decreto introduce una nuova (e dimezzata) tutela giurisdizionale per i richiedenti asilo, la quale pare in contrasto con i principi dettati dalla Costituzione in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona, principi ampiamente ribaditi dalla Corte costituzionale in tante occasioni». In sostanza si legittima un “diritto processuale civile speciale” a tutele dimezzate.

Quanto al colloquio presso la Commissione territoriale si prevede che venga sempre videoregistrato con mezzi audiovisivi e che sia tradotto in italiano tramite strumenti automatici di riconoscimento vocale. Il richiedente non riceve più una copia del verbale, ma gli viene data lettura della trascrizione del colloquio in una lingua a lui comprensibile o tramite l’ausilio di un interprete. L’interprete alla fine del colloquio verifica la correttezza della trascrizione ed apporta le necessarie modifiche, anche tenendo conto delle osservazioni dell’interessato. Alla fine il verbale della trascrizione è sottoscritto dal presidente e dall’interprete, mentre il richiedente può sottoscrivere solo eventuali osservazioni.

Il punto più critico del Decreto è però il grado di giudizio unico. Non c’è più possibilità per il richiedente asilo di ricorrere in appello. Il Decreto è quindi ricorribile esclusivamente in Cassazione, entro 30 giorni: possibilità molto remota vista la ristrettezza dei tempi e l’impegno che la procedura richiede. Questa norma del decreto è quindi anche a rischio di incostituzionalità come ha avvertito l’ex presidente della Consulta, Cesare Mirabelli, con un’intervista al sito ildubbio.it. «Il punto di riferimento è l’articolo 24 della Costituzione che riconosce la possibilità di agire in giudizio, per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, a tutti. Attenzione: non a tutti i cittadini ma semplicemente a ogni individuo. Di nuovo, ci troviamo davanti a una garanzia che è sancita anche dalla Convenzione dei diritti umani e che non può essere negata a chi entra nel territorio dello Stato». I difensori del Decreto obiettano che 3500 richieste di appello al mese rischiano di essere ingestibili. Secondo Mirabelli c’erano altre soluzioni possibili, diverse dall’eliminazione del secondo grado di giudizio. «Penso a un appello con rito speciale che preveda, come già ipotizzato dal governo, una procedura in camera di consiglio, e che sia definito con decisione succintamente motivata. E soprattutto, sarebbe utile prevedere termini ristretti per proporre appello: la rapidità finirebbe per scoraggiare impugnazioni infondate».

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