La stretta del Governo

Decreto Caivano un anno dopo, minorenni in carcere senza futuro

A distanza di 12 mesi dal decreto-legge del 15 settembre 2023, cosa è cambiato? «La gestione degli istituti è andata peggiorando, sembra essere sempre più chiaro che si fa fatica a interrompere una situazione di costante tensione. Questi ragazzi vivono nel presente, senza un progetto per il domani», dice Paolo Tartaglione, referente Area penale Minorile Cnca

di Ilaria Dioguardi

il decreto-legge 15 settembre 2023 n.123, detto “Decreto Caivano”, è diventato legge il 13 novembre dell’anno scorso. In un anno «la gestione degli istituti è andata peggiorando, sembra essere sempre più chiaro che si fa fatica a interrompere una situazione di costante tensione, di rivolte, di azioni clamorose compiute dai ragazzi, di evasioni», dice Paolo Tartaglione, referente Area penale Minorile Cnca (Coordinamento nazionale comunità accoglienti) e presidente della cooperativa Arimo.

Tartaglione, a un anno dal Decreto Caivano, com’è la situazione?

Dodici Istituti di pena per minorenni – Ipm su 17 sono sovraffollati. Il trend di affollamento non si è attenuato, nonostante una flessione della commissione dei reati e il fatto che la stragrande maggioranza dei ragazzi è detenuta in attesa di giudizio, quindi in misura cautelare. Il trend, negli ultimi mesi, è ulteriormente cresciuto. La gestione degli istituti è andata peggiorando, sembra essere sempre più chiaro che si fa fatica a interrompere una situazione di costante tensione, di rivolte, di azioni clamorose compiute dai ragazzi, di evasioni. A noi interessa cercare di provare a riportare la discussione su quello che potrebbe essere funzionale, che potrebbe effettivamente interrompere questa spirale un po’ perversa.

Quale spirale?

La spirale nella quale i ragazzi fanno finta di essere cattivi o, comunque, fanno la faccia sempre più dura e gli adulti, a quel punto, reagiscono, facendo a loro volta sempre più i duri. Ultimamente, il governo è arrivato addirittura a ripristinare negli Istituti penali minorili l’utilizzo delle divise. Che potrebbe sembrare una fesseria, invece, fu straordinariamente importante toglierle, provare a limitare o comunque ad attenuare l’evidenza delle “guardie” e dei “ladri”. Era una cosa simbolicamente importante. Dopo aver lavorato 20 anni, e molti miei colleghi più di me, sotto il cappello della legge dell’88 (d.p.r. 448/88, ndr), sappiamo che la possibilità di riuscire a limitare la commissione dei reati sta nella comprensione del senso del reato da parte dei ragazzi.

Non le sembra che si stia lavorando negli Ipm in questa direzione?

In questo momento quello che stiamo vedendo sono centinaia di ragazzi detenuti senza un progetto. E allora cosa fanno i ragazzi se non c’è un progetto per loro? Vivono nel presente. Quando entri dentro un istituto penale trovi una situazione di tensione tra i detenuti e gli agenti di custodia: se non hai in mente il futuro, fai quello che ti interessa (o quello che ti sembra ti faccia stare meglio) nel “qui e ora”. Molti fanno delle evasioni, sapendo benissimo che dureranno quattro ore e che avranno un reato in più. E questo non li frena perché tanto non guardano al futuro. Abbiamo ragazzi che entrano in carcere minorile con un reato, dopo due mesi ne hanno sette, otto, nove sulle spalle e continuano a commettere reati perché tanto è uguale. Se vivi nel presente, non hai nessun motivo al mondo per non fare reati. Quello che noi stiamo cercando di riportare nel dibattito è la necessità, fin dal primo giorno in cui il ragazzo entra in istituto, di dargli subito un ottimo motivo per non cominciare a moltiplicare i suoi reati. La maggior parte dei detenuti negli Ipm sono stranieri.

In primis, cosa si dovrebbe fare per offrire a questi ragazzi stranieri un buon motivo per guardare al futuro?

Impegnarsi, fin dal primo giorno, per iniziare un iter concreto verso la loro regolarizzazione, ad esempio. Il nostro ordinamento, per ciò che riguarda i minorenni, prevede di aprire una possibilità. In teoria solo le insopprimibili esigenze di difesa sociale dovrebbero portare un minorenne a essere detenuto. Quindi se decidiamo di metterlo in condizione di detenzione, deve essere un’occasione per interrompere uno stato di cose e aprire una nuova scelta. Quello che stiamo chiedendo in tutti i modi è questo: gli adulti devono fare gli adulti. Non c’è bisogno di mettere divise o di fare facce cattive. Gli adulti sono diversi dai ragazzi e devono essere capaci, in questo momento, di fare il primo passo. Non credo che possano aspettarsi che siano ragazzi disperati, in maggioranza stranieri che neanche parlano la nostra lingua, a fare un primo passo così complicato come quello di rimettere, al centro della loro esperienza di detenzione, un senso. Loro non ce lo mettono.

Paolo Tartaglione

Questo primo passo quale dovrebbe essere?

Di sicuro noi solleciteremo governo e Parlamento a tornare a pensare interventi efficaci con i minorenni, anziché ricorrere in continuazione a presunte istanze di sicurezza, che non stanno funzionando minimamente. Anche l’idea di moltiplicare i reati, crearne nuove fattispecie , inserire il reato di rivolta all’interno delle carceri o, addirittura, di resistenza attiva e passiva alla pubblica sicurezza, non faranno altro che moltiplicare il tempo di detenzione di questi ragazzi. Soprattutto, non hanno nessuna incidenza positiva sulla sicurezza delle persone. La prima cosa che chiediamo a chi ha il potere di decidere le leggi è di ragionare, invece di continuare a fare decreti-legge basate sull’emergenza, come fu per il Decreto Caivano. È un continuo rincorrere l’emergenza.

Qual è il primo intervento che bisognerebbe fare per migliorare la situazione negli Ipm?

Recuperare in questo momento una visione che non sia a due giorni, ma che interessi l’arco di qualche anno. Se vogliamo intervenire positivamente in questo settore, la prima cosa è questa. Poi bisogna riportare la cultura penale minorile dentro i servizi.

Oggi negli Ipm vediamo centinaia di ragazzi reclusi senza nessun progetto per loro e che stanno giocando a fare guardie e ladri: in questo modo si stanno rovinando sempre di più il futuro

Ci spieghi meglio.

Quando la giustizia minorile venne fusa alla giustizia degli adulti, con il Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità, la preoccupazione l’avevamo esposta. Voleva dire fondere un microcosmo, come quello della giustizia minorile, molto specializzato, con uno macro, con numeri incredibilmente più alti, che si occupava di adulti. Temevamo che perdesse le sue specificità ed è stato così. Dobbiamo tornare a ricordarci che ciò che ci ha portati a essere visti dal resto del mondo come un modello è la cultura del minorile, che oggi bisogna cercare di recuperare. Ad esempio, fare formazione congiunta a tutti gli operatori, educatori e agenti, perché tutti abbiano in mente chi è un minorenne che commette reato, perché lo commette e che tipo di messaggio funziona con i giovani autori di reato che stanno vivendo uno stallo di crescita che manifestano così, come altri ragazzi lo manifestano in altro modo. Molti agenti sono poco più grandi dei ragazzi detenuti negli Ipm. Abbiamo bisogno di lavorare moltissimo per dare obiettivi per il dopo. L’unica cosa che funziona con un giovane autore di reato è raccogliere la sfida del reato con una controsfida.

Qual è la controsfida?

Quella di tornare a crescere, di cercare di inserirsi in società e guardare al futuro con immagini desiderabili. Questa è l’unica cosa che può spingere un ragazzo a uscire da un circuito di delinquenza che, purtroppo, dà i suoi benefici secondari. Perché sappiamo che i ragazzi che spacciano, che delinquono, hanno delle disponibilità e anche un riconoscimento sociale in un certo ambiente, che per loro ha un senso. Per questo bisogna rilanciare un senso diverso nel futuro anziché nel presente. Poi bisogna fare in modo di svuotare le carceri.

Come si possono svuotare le carceri?

In questo momento almeno la metà dei ragazzi detenuti nelle carceri italiane non si trova lì per le insopprimibili esigenze di difesa sociale, previste dalla legge; è in quella condizione semplicemente perché non ha un altro posto dove stare. E questo ci deve interrogare moltissimo, perché sono numeri molto piccoli, anche se sono esplosi. Ma stiamo parlando di quasi 600 ragazzi. Io sono convinto che queste cose qua si risolvono come nei villaggi africani.

Ovvero?

Ci si mette tutti insieme e si cerca di capire, poi di capirsi. Quello che noi chiediamo è di sederci tutti intorno a un tavolo per capire come tornare a incoraggiare le comunità ad accogliere questi ragazzi. La nostra stessa legge dell’88 lo diceva: il luogo adatto per recuperare un giovane autore di reato non è il carcere, è la comunità. Se il tribunale non parla con il Centro Giustizia Minorile, che non parla con le comunità, non ne veniamo più a capo. L’idea è di capire quali sono i motivi per cui le comunità hanno ridotto la disponibilità ad accogliere i giovani autori di reato e a quali condizioni tornerebbero ad accoglierli. Invece noi vediamo con preoccupazione il fatto che regione Lombardia, ad esempio, raccogliendo una istanza del tavolo Stato-Regioni, ha aperto una manifestazione di interesse per aprire tre comunità che hanno delle caratteristiche che ci preoccupano molto.

Quali sono queste caratteristiche che vi preoccupano?

In Lombardia verranno fatte tre comunità con 12 posti ciascuna solo per giovani autori di reato che hanno problemi di salute mentale. Ci preoccupa moltissimo perché capiamo che possa risolvere il problema dei ragazzi non accolti, ma è la modalità con cui si pensa di risolverla che è lontana da noi. Sono decenni che si sa che non si debbono concentrare in un solo luogo tutte le criticità più alte. Siamo molto colpiti da questa scelta e stiamo cercando di interloquire con regione Lombardia per capire se non si poteva fare diversamente. Non ci credo che non riusciamo a collocare 36 ragazzi in Lombardia in altro modo. Il Dipartimento della Giustizia minorile è preoccupato del fatto che le comunità si siano tirate indietro rispetto alla gestione di alcuni casi e ha visto bene di concentrarli in luoghi che io tendo a escludere che verranno gestiti con strumenti educativi. Mi sembra più facile che verranno gestiti con la farmacologia piuttosto che con la contenzione. Vorremmo capire come mettere ogni ragazzo in una comunità diversa. Ci piacerebbe poter ripartire da qui, spiegare perché le comunità fanno fatica ad accoglierli, che cosa potrebbe mettere loro nella posizione di farlo. Ci sembra molto più vicino ai bisogni dei ragazzi rispetto alla creazione di tre piccoli carceri all’esterno al Beccaria, che non cambiano di molto la sostanza delle cose.

In questo momento almeno la metà dei ragazzi detenuti nelle carceri italiane non si trova lì per le insopprimibili esigenze di difesa sociale, previste dalla legge; è in quella condizione semplicemente perché non ha un altro posto dove stare

Come si ridà l’idea di futuro a questi ragazzi?

Chi conosce un adolescente, e ancor più un adolescente con la biografia dei nostri ragazzi, sa che l’unica strada non è quella di evitare i danni, è quella di guardare al futuro mettendoci delle immagini molto allettanti, molto positive, che permettano loro di dire: «Va bene, mi metto a fare lo sforzo di riprendere un percorso di crescita che ho interrotto». Noi di Cnca abbiamo sempre lavorato così e sappiamo che così si ottengono i risultati che hanno fatto stimare la nostra giustizia minorile. Oggi negli Ipm vediamo centinaia di ragazzi reclusi senza nessun progetto per loro e che stanno giocando a fare guardia e ladri: in questo modo si stanno rovinando sempre di più il futuro. Perché un ragazzo che entra ed esce con cinque volte (quando va bene) il numero di reati che aveva quando è entrato, poi non è che non li pagherà, li pagherà tutti. E lo sa benissimo, ma non gliene interessa nulla.

Cosa pensa del reato di rivolta penitenziaria (che include anche la resistenza passiva) previsto nel Ddl Sicurezza, approvato alla Camera e ora all’esame del Senato?

Quando ci sarà una rivolta, una resistenza al pubblico ufficiale, anche se non violenta, sarà penale. Il reato, se è introdotto, lo è per chiunque lo commetta, i minorenni hanno delle condizioni particolari rispetto a una riduzione della pena. Questa misura è destinata a moltiplicare il numero di persone in carcere e soprattutto i tempi di detenzione. Mi stupisce che, chi sta assumendo decisioni, non sa chi sono i giovani autori di reato diretti. Pensano che siano dei delinquenti fatti e finiti, ma più piccoli. La nostra giustizia minorile privilegiava tre cose. Prima di tutto la riduzione della recidiva. Poi, aveva alla base l’intervento sui bisogni che stanno alla base della commissione dei reati da parte dei minorenni: cercare di capire qual è il bisogno sottostante la commissione di un reato e intervenire per fare in modo che quel bisogno si attenui o addirittura non ci sia più.

Qual è il terzo e ultimo fattore che la giustizia minorile italiana privilegiava?

Responsabilizzare i giovani. In questo momento, in carcere, non c’è alcuna responsabilizzazione. Riguardo all’intervenire sui bisogni, mi sembra che si faccia fatica anche solo a soffermarsi sull’idea che il reato possa nascere da un bisogno. E riguardo alla recidiva non ne parliamo. La conversione in legge del Decreto Caivano è destinata a moltiplicare i reati, soprattutto alcuni reati, quelli per i quali ha eliminato la possibilità di ottenere la messa alla prova. Quello che ci preoccupa di più è per i reati di natura sessuale, per quelli che hanno l’aggravante di essere commessi nei confronti di persone in minore età (cioè la totalità di quelli commessi dai minorenni), per i quali non è più possibile avere la messa alla prova: verranno tutti condannati e detenuti. Ed è noto a qualsiasi persona che lavori in questo settore che uno dei reati su cui è più alta la recidiva in caso di detenzione è proprio quello di natura sessuale. Con questo decreto si è, con un solo colpo di penna, moltiplicato un reato odioso e pericoloso come quello di natura sessuale commesso dai minorenni. La conversione in legge del Decreto Caivano ha in un istante generato l’esatto opposto di quello che sperava di ottenere. Il governo dovrebbe intervenire soffermandosi più sulle questioni e sui dati a sua disposizione, piuttosto che fare decreti in pochi giorni, dopo un fatto di cronaca, come è stato per il Decreto Caivano.

Nella foto di apertura, di Remo Casilli per Agenzia Sintesi, il carcere di Casal di Marmo, Roma.

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