Governo

Decreto beneficenza, così il Terzo settore pagherà gli errori di altri

Gabriele Sepio, segretario generale di Terzjus, analizza il dettaglio tecnico del ddl appena presentato dal ministro Urso. «La tutela del mercato e dei consumatori dovrebbe conciliarsi con il fatto di non appesantire le procedure per le imprese che vogliono fare beneficenza», dice

di Gabriele Sepio

Adolfo Urso ministro

Dopo la vicenda del “pandoro Ferragni” arriva il decreto per assicurare maggiore trasparenza nelle iniziative di beneficenza. Un obiettivo certamente meritevole che tutela consumatori e donatori a fronte di campagne di sensibilizzazione poco chiare in merito all’effettivo utilizzo delle risorse raccolte.

Se questo è lo scenario da cui prende vita il decreto, questa modalità di legiferare presenta, tuttavia, dei rischi che andranno considerati nell’iter definitivo di approvazione della nuova misura. Le norme scritte sulla spinta emotiva legata a fatti di cronaca, mirano a censurare specifici comportamenti anche agli occhi dell’opinione pubblica. Tuttavia, come spesso accade, per sanzionare pochi si rischia di colpire molti, specialmente quelle realtà che la raccolta fondi l’hanno sempre realizzata seguendo criteri di trasparenza e di rendicontazione.

Per sanzionare pochi si rischia di colpire molti, specialmente quelle realtà che la raccolta fondi l’hanno sempre realizzata seguendo criteri di trasparenza e di rendicontazione

L’effetto del caso Ferragni ha determinato un certo disorientamento nei confronti delle imprese e degli enti del Terzo settore, questi ultimi peraltro già obbligati a seguire specifici adempimenti a tutela dei donatori in caso di raccolte fondi. Il rischio è che si perdano molte opportunità per le attività benefiche e che, a fronte della paura di ripercussioni reputazionali, il dialogo virtuoso tra profit e non profit subisca una battuta d’arresto. Insomma, se è più che giusto tutelare i consumatori, bisogna comunque porre attenzione a non generalizzare troppo, perché le norme devono seguire l’esempio di comportamenti virtuosi che nel nostro Paese presentano una tradizione storica e, soprattutto, non devono andare oltre la “patologia” del singolo fatto di cronaca. 

I soggetti obbligati

Ma andiamo con ordine e vediamo innanzitutto per chi scatteranno questi nuovi obblighi. Il decreto parla di “produttori e professionisti” che attivano campagne di vendita, promozione e fornitura di prodotti ai consumatori e i cui proventi siano in parte destinati a soggetti che svolgono attività socialmente rilevanti. Una definizione generica che non chiarisce se, ad esempio, gli obblighi scattino anche per le imprese che non producendo direttamente vendono beni realizzati da altri. Viene poi espunto il richiamo esplicito alla “beneficenza” come obiettivo delle campagne di vendita che compariva, invece, nella prima versione del decreto. Dunque non è chiaro a che titolo questi proventi raccolti debbano essere “destinati” agli enti non commerciali. Cosi come non viene specificato se le raccolte gravate dai nuovi adempimenti siano solamente quelle pubbliche, ovvero rivolte ad un pubblico indistinto,  oppure anche private e, dunque, limitate a soggetti individuati. Ricomprendere anche quest’ultima ipotesi, peraltro, non avrebbe molto senso considerato il target dei comportamenti che si intendono contrastare.

Viene espunto il richiamo esplicito alla “beneficenza” come obiettivo delle campagne di vendita: dunque non è chiaro a che titolo i proventi raccolti debbano essere “destinati” agli enti non commerciali

Da segnalare inoltre l’opportunità di conciliare le nuove procedure con un criterio di proporzionalità. Il decreto, infatti, non tiene conto dell’elemento dimensionale della raccolta né tantomeno delle caratteristiche del produttore. Il rischio è che realtà di piccole dimensioni le cui iniziative sono prive di qualsiasi visibilità mediatica e destinate ad un ambito assolutamente circoscritto si ritrovino imbrigliate in procedure sproporzionate e disincentivanti rispetto all’obiettivo benefico. In tal caso potrebbe essere opportuno tenere conto di questo aspetto magari esonerando le realtà di dimensioni ridotte che destinano il ricavato agli enti del Terzo settore i quali, come detto, sono già gravati da obblighi di trasparenza e rendicontazione puntuali.  

Enti del Terzo settore e non commmerciali


Da accogliere positivamente, invece, il tentativo di escludere dai nuovi adempimenti gli enti già sottoposti a precisi adempimenti in tema di raccolta fondi, come gli enti del Terzo settore per i quali scattano le misure previste dal DM 22 luglio 2022. Un passaggio normativo, tuttavia, che andrebbe meglio chiarito onde evitare equivoci al fine di escludere una duplicazione di adempimenti per tutte quelle realtà produttive, come imprese e coop sociali o enti del Terzo settore commerciali, che applicano già le linee guida sopra citate. Gli obblighi di trasparenza, invece, si rivolgeranno anche agli enti non commerciali purchè “partecipati”, direttamente o indirettamente, da produttori e professionisti che attivano iniziative per il sociale. La formula normativa è piuttosto fumosa ma il senso è che gli enti non commerciali promotori di una raccolta non rientreranno nei nuovi obblighi a meno che non siano controllati da un soggetto profit promotore dell’iniziativa. È il caso, ad esempio, di una Fondazione corporate, diretta emanazione del produttore proponente la raccolta. Andrebbe chiarito, poi, il significato del termine “partecipato” che, preso in prestito dal linguaggio societario, mal si adatta alle forme giuridiche tipiche degli enti non profit come, ad esempio, la fondazione.   

Gli obblighi di trasparenza si rivolgeranno anche agli enti non commerciali se “partecipati”, direttamente o indirettamente, da produttori e professionisti che attivano iniziative per il sociale

I nuovi adempimenti

I consumatori hanno diritto, in base alla formula del decreto, a ricevere informazioni in merito alla destinazione ultima dei fondi derivanti dalle raccolte. A tal fine spetterà ai produttori e consumatori indicare sulle confezioni dei beni commercializzati il soggetto destinatario dei fondi raccolti e la finalità della campagna. In aggiunta, si dovrà indicare l’importo che si intende donare, se predeterminato, o la percentuale del prezzo di vendita per ogni unità di prodotto ceduta da destinare in beneficenza. Questo adempimento ha sollevato immediatamente prevedibili preoccupazioni da parte delle imprese per le quali un intervento cosi invasivo  sulle confezioni dei prodotti avrebbe comportato una serie di costi e procedure in grado, evidentemente, di disincentivare le attività benefiche. Anche in considerazione del fatto che le raccolte avvengono solitamente entro un lasso di tempo piuttosto limitato rispetto al termine utile per la vendita dei prodotti, generando così confusione ulteriore tra i consumatori che vedrebbero circolare informazioni su attività di raccolta non più attuali. Criticità non certo risolvibile con il ritiro dei prodotti destinati alla vendita di beneficenza a meno di non voler paradossalmente immaginare di penalizzare le imprese che vogliono dedicarsi alla solidarietà. 

La tutela del mercato e dei consumatori dovrebbe conciliarsi con il fatto di non appesantire le procedure per le imprese che vogliono fare beneficenza

La versione del decreto approvato dal Consiglio dei Ministri offre, dunque, una via d’uscita rispetto a questa problematica prevedendo la possibilità di apporre sulla confezione una targhetta cartacea o adesiva che, con apposita evidenziazione grafica, fornisca le indicazioni richieste con chiarezza e semplicità. Anche questa opzione a bene vedere non sembra cogliere nel segno della semplificazione e agevolazione delle attività di raccolta. La tutela del mercato e dei consumatori dovrebbe conciliarsi con il fatto di non appesantire le procedure per le imprese che vogliono fare beneficenza e attivarsi per raccogliere fondi. Sarebbe più coerente considerare invece la possibilità di obbligare l’impresa a fornire le corrette informazioni portando a conoscenza dei consumatori obiettivi e destinazione delle risorse. Attraverso, ad esempio, il proprio sito internet e i social aziendali e fornendo nel contempo una puntuale e ben visibile comunicazione delle varie iniziative benefiche presso i punti vendita. 

Il ruolo del garante e le sanzioni

Le informazioni  dovranno essere comunicate dai medesimi produttori e professionisti all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) prima di porre in vendita i prodotti. Per garantire maggiore trasparenza a favore dei consumatori i soggetti obbligati dovranno comunicare non solo il termine entro il quale si prevede il versamento della somma ai destinatari dell’iniziativa benefica, ma anche quello in cui il pagamento è effettivamente avvenuto. In caso di violazione degli obblighi indicati l’Autorità garante potrà irrogare sanzioni amministrative che vanno da 5mila a 50mila euro con  pubblicazione dei  provvedimenti sanzionatori sul proprio bollettino settimanale. L’autorità potrà, inoltre, imporre l’obbligo di pubblicare il provvedimento sanzionatorio a cura e spese del produttore/professionista autore della violazione sul sito internet dello stesso, su uno o più quotidiani nonché mediante ogni altro mezzo ritenuto opportuno. Una sorta di sanzione indiretta, dunque, che si aggiunge a quella pecuniaria il cui introito, una volta riscosso, sarà destinato per il 50% ad iniziative solidaristiche secondo modalità da definire con un decreto ad hoc. 

Foto di © Stefano Carofei/Sintesi

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