Famiglia

Debutto di un progetto pilota. Qui li aiutiamo a tornare bambini

Nella Capitale da gennaio funziona il centro di contrasto alla mendicità. Ci siamo entrati (di Chiara Ludovisi).

di Redazione

Roma, via Vinovo 20, zona Boccea: il Centro comunale per il contrasto alla mendicità infantile si trova all?interno di una graziosa villa, circondata da un ampio giardino. È qui che, dal 17 gennaio 2003 (giorno di inaugurazione del Centro) gli agenti del Nucleo assistenza emarginati accompagnano i bambini che chiedono l?elemosina per le strade della città. Prima dell?apertura del Centro, questi, una volta avvistati dalle forze dell?ordine, venivano condotti in commissariato, dove erano sottoposti a lunghe procedure burocratiche per l?accertamento della loro identità. Il Centro accoglie i bambini dalle 10 alle 18 e permette loro di trascorrere la giornata in un ambiente familiare, insieme ad educatori esperti e a mediatori culturali capaci di esprimersi in diverse lingue. Lo scopo principale del Centro è ridurre il trauma dei bambini, spesso turbati dall?impatto con le forze dell?ordine, che li hanno prelevati dalla strada: «Il trauma comunque resta», spiega Monica Lanzillotto, coordinatrice del Centro. «I bambini di solito arrivano qui piangendo e la prima cosa che chiedono è di tornare a casa. Già il fatto di trovare qualcuno che parli la loro lingua, comunque, li tranquillizza molto». Gli accertamenti sanitari e l?identificazione avvengono in un clima informale: il pediatra non indossa il camice, gli educatori non sottopongono il bambino a un interrogatorio, ma accertano la sua identità semplicemente lasciando che egli si racconti, nei tempi e nei modi che gli sono congeniali. E i genitori… Mentre i bambini trascorrono il tempo come preferiscono, gli operatori rintracciano i genitori e li invitano a presentarsi al Centro dove si svolge il colloquio tra le famiglie, gli educatori e la responsabile della struttura: «in un clima di accoglienza, ma anche di evidenziazione delle responsabilità. Da un lato, spieghiamo con fermezza ai genitori che, lasciando che il figlio chieda l?elemosina, commettono un reato; dall?altro, cerchiamo di offrire loro il sostegno di cui hanno bisogno, indicando eventualmente strutture che possano prestare loro assistenza e aiuto». Si tratta infatti di famiglie molto povere, che «vivono di elemosina perché non hanno altra scelta. Non lo fanno volentieri, si vergognano. Quasi tutte, nel loro Paese, lavoravano. Qui, a causa di difficoltà oggettive, talvolta aggravate da una legislazione sull?immigrazione particolarmente rigida, non possono trovare un impiego». Dopo il colloquio, a meno che non si siano riscontrate gravi carenze affettive della famiglia, il bambino viene riconsegnato ai genitori: nei giorni successivi, gli operatori verificheranno che non torni sulla strada a mendicare. Qualora invece si ritenga necessario osservare più attentamente la situazione, oppure nel caso in cui i genitori non si presentino al Centro, il bambino viene temporaneamente ospitato da una casa famiglia, in attesa di una decisione definitiva. di Chiara Ludovisi


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