Non profit

De Rita: No alla solidarietà degli “iperspecialisti”

L'intervento del sociologo al convegno di Roma

di Maurizio Regosa

Un terzo settore che negli ultimi anni si è «gonfiato» troppo. E che ha perso l’identità. È  questa in sintesi l’evoluzione (o meglio l’involuzione) del sociale negli ultimi vent’anni, secondo Giuseppe De Rita, presidente del Censis, intervenuto stamani a Terzo settore: gli errori, il futuro, convegno organizzato a Roma da Famiglia Cristiana, Redattore sociale e le Edizioni dell’asino.

Le ragioni di una involuzione

Davanti a una platea di un centinaio di persone, il fondatore dell’istituto di ricerca ha ripercorso la nascita del sociale. «Una categoria che negli anni Cinquanta non era compresa dalla cultura dello sviluppo», ha spiegato. È stato solo in seguito che si è fatta strada una visione comunitaria e una sensibilità specifica:  «il sociale, quale lo abbiamo inteso in questi decenni, nasce in Italia dal volontariato, dalla dimensione del bisogno, dalla cultura del dono, da un tentativo fuori dagli schemi di stare nel collettivo». Un cammino lineare che ha incontrato alla fine degli Ottanta il suo riconoscimento (la prima conferenza nazionale sul volontariato, nel 1987) e con esso i primi segnali di discontinuità. Che De Rita fa risalire a quelle che definisce le scelte «meticciate»: l’incontro della cultura del dono e della gratuità con l’esigenza di produrre un reddito (in pratica la dimensione “imprenditoriale” delle cooperative e delle imprese sociali). «Una scelta giusta specie per quel volontariato che entra in un meccanismo di tecnicalità spinta», ma che ha – tra i suoi effetti collaterali – alcune spiacevoli conseguenze. «In questo modo il Terzo settore ha iniziato a essere una dimensione settoriale, non più comunitaria; è diventato organizzativamente complesso (si è professionalizzato, verticalizzato); ha incontrato più problemi di auto-definizione. Si è tentata la dimensione semantica (da qui la pluralità di definizioni, ndr.) e quella della presenza unitaria, via via occupando piccoli spazi di potere». Al contempo, però, si sarebbe persa – è sempre la diagnosi di De Rita – «l’origine legittimante del sociale, che sta nel contribuire alla presa di coscienza della gente, delle comunità».

Che fare?

Se le cose stanno così, occorre impegnarsi in a una seria riflessione interna. Quali sono i rapporti fra volontariato e Terzo settore? Come comporre le due dimensioni, orizzontale e verticale? Accettare o meno la logica dell’impresa sociale? Secondo De Rita il Terzo settore dovrebbe tornare a farsi carico di un orizzonte comunitario, tornando «ai progetti, al territorio, a contribuire alla crescita del paese partendo dal  basso», superando la logica della specializzazione e della settorialità e tornando ad abbracciare la comunità, il tutto in cui i disagi non sono risolti dai singoli interventi iperspecializzati e sottoposti a una dimensione anche contrattuale. «Nella società di oggi i bisogni sono comunitari e orizzontali e hanno bisogno di operatori comunitari e orizzontali che sappiano anche dare un senso alla collettività stessa», ha concluso.

Qui la cronaca della giornata di ieri

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