È nato anche dall’impellente esigenza di politiche attive del lavoro, il Rapporto sul futuro della formazione in Italia realizzato da una commissione guidata dal presidente del Censis, Giuseppe De Rita. La necessità, tanto più urgente in questi anni di crisi, di creare un efficace collegamento tra i possibili percorsi formativi e le effettive possibilità occupazionali e di riprendere in mano un settore che, da strategico, si è via via appannato finendo col diventare routine.
«C’è stato un allentamento dell’attenzione da parte degli operatori e del governo; al contempo si è verificata una perdita di centratura», premette De Rita, «come se il sistema della formazione non dovesse essere guidato e non dovesse rispondere a obiettivi più complessivi». Un’automobile senza pilota lanciata verso un futuro impegnativo in cui, secondo gli esperti, crescerà e di molto la domanda di personale qualificato. È il valore dell’immateriale, punto d’arrivo della società della conoscenza. Occorre però che saperlo trasformare anche in punto di partenza. Già oggi l’immateriale produce fatturato. Domani ne produrrà ancora di più. E perché questo possa accadere, l’Italia deve mettersi in moto: dotarsi di una strumentazione adeguata, abbandonando l’abitudine di una formazione «scolasticistica e standardizzata» e scegliendo la strada virtuosa di percorsi mirati, quasi personalizzati, più in sintonia con il mondo del lavoro e con le esigenze produttive.
«È necessario che lo Stato centrale riprenda autorevolezza su questi temi», aggiunge De Rita e contribuisca così a porre le condizioni per una formazione dotata di un centro. Di un pensiero che sia allo stesso tempo nazionale e territoriale, verrebbe da dire. Il che non significa recuperare vecchie logiche gerarchiche che in uno Stato sempre più federale non garantirebbero alcuna efficacia (e sarebbero sempre più difficili da perseguire). «Vuol dire piuttosto immaginare un grande sforzo collettivo di collaborazione fra i diversi livelli, nazionale e locale. Senza non si fa programmazione». Quanto allo strumento, l’accordo fra le parti sociali, che è poi nato all’ombra del Rapporto, ipotizza una cabina di regia. «Servirà sostanzialmente», spiega Sergio Vistarini, ricercatore del Censis, «per individuare strumenti di lettura dei fenomeni e delle esigenze più aderenti alla realtà e soprattutto applicabili su tutto il territorio nazionale». In pratica, dovrebbe fra l’altro mettere a punto un questionario, magari in due parti (la seconda più mirata alle necessità locali). Uno strumento per conoscere e progettare: passa anche da qui la scelta di privilegiare la domanda rispetto all’offerta e di mettere in valore l’efficacia in termini anche (se non soprattutto) occupazionali. Un’opzione che però va messa in pratica con sistematicità. Tenendo conto di com’è cambiato il mondo del lavoro negli ultimi decenni («non avrebbe senso proporre percorsi formativi adatti al tempo delle grandi imprese, oggi la domanda si è spezzettata e specializzata; allo stesso modo si devono trovare gli strumenti per riconoscere i saperi acquisiti on the job. E in questo senso potrebbe essere utile la creazione di albi di valutatori delle competenze», annota Vistarini).
Soprattutto però si deve agire con rapidità: fatta la rilevazione dei bisogni, va creato un quadro coerente e una filiera efficace. Una filiera che comprenda le Regioni, le Province (da cui dipendono i centri per l’impiego), gli enti formatori, le agenzie interinali e le imprese, e che sia in grado di promuovere una concertazione reale. Quanto agli enti, conclude Vistarini, «anch’essi sono chiamati ad adeguare rapidamente le loro proposte, magari spendendosi in prima persona per incentivare il dialogo nei tavoli regionali, facendosi così promotori del cambiamento».
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