Non profit

De Rita: «Amici, siete troppo autoreferenziali»

E' stata un’esperienza sbocciata come un fiore nel tessuto della società italiana. Ma oggi, a 30 anni di distanza, quella spinta contagiosa si è esaurita...

di Giuseppe Frangi

Gemmazione: quando Giuseppe De Rita parla di volontariato, chissà perché, questa è la parola che ripete più di frequente. Deve essere certamente la forza di una memoria precisa, che ha inciso nella sua coscienza di uomo e di studioso. La memoria di un fenomeno imprevisto che ha visto nascere e crescere, dalla fine degli anni 60, con sua sorpresa e con sua incondizionata ammirazione. Per questo ?gemmazione? è parola che rende bene l?idea.

E anche oggi che lo stato d? animo di De Rita è molto diverso, e le sue analisi sono decisamente tendenti al pessimismo, la memoria di quella generosità di massa gli incrina ancora la voce, quasi per commozione. Il problema, però, è che sta parlando del passato. «è stata una stagione d?oro, fuori da ogni schema», dice. «Ma oggi resta poco di quell?esperienza».

Vita: Perché dice che è stata un?esperienza fuori da ogni schema? In fondo quell?Italia era forte di tradizioni culturali permeate di altruismo? Giuseppe
De Rita: Sì, ma non c?entrano con il vero e proprio boom del volontariato nell?Italia di fine anni 60. Per chi ha l?età mia, il volontariato, prima di allora, era una categoria che non conoscevamo e che invece è sbocciata come un fiore, fuori da ogni schema. Non penso fosse legato a un?istanza morale e solidaristica. Per come l?ho vissuto ha avuto una genesi molto più semplice e spontanea: è nato, in una stagione d?oro dell?Italia, quella del boom, dai figli di una borghesia arricchita, consapevoli di avere grandi privilegi e che si sono resi conto che fosse giusto dare qualcosa agli altri. A differenza del ribellismo, esploso negli stessi anni, ha avuto molto più efficacia, perché il volontariato era gemmazione della struttura sociale, non era gemmazione di una sovrastruttura ideologica come la contestazione. Certo, il mondo cattolico ha contribuito alla crescita del fenomeno, grazie ad un ?serbatoio? umano che allora era ancora pieno. Ma è sbagliato pensare ad una genesi culturale dalle parrocchie. è più realistico pensare ad un?Italia che si era liberata dai condizionamenti della povertà, che aveva sperimentato le virtù positive dell?imprenditorialità ed era scesa in campo con spirito positivo per condividere e per aiutare.

Vita: Parla sempre al passato. Poi cos?è successo?
De Rita: Molto semplicemente vedo una crisi dettata da restringimento della generosità. Non cercherei ragioni culturali. Il risultato è che il volontariato è passato dall?essere un fenomeno di totale estroversione verso l?altro all?essere prigioniero di una tendenziale autoreferenzialità dei piccoli gruppi. Quando si è strutturato, si ramificato in terzo settore, in non profit, in privato sociale, ha perso di vista l?istinto molto spontaneo del dono. Fossi chi organizza la prossima conferenza di Napoli, proporrei di fare un?analisi storica per capire questo passaggio dall?impeto generoso alla prevalenza dell?economia.

Vita: Già che ci siamo, lei come lo spiega?
De Rita: Il meccanismo spontaneo del dono è rimasto. Ma riguarda una fascia di persone ormai anziane. A me capita spesso di incontrare i volontari della diocesi di Roma. E tutte le volte, con l?istinto dell?osservatore sociale, mi guardo attorno per vedere le facce che ho di fronte. Ebbene, non vedo mai facce sotto i 40 anni. Le spiegazioni che si possono dare sono le consuete. I giovani soffrono il precariato, non hanno più quella disponibilità libera e informale che caratterizzava i loro pari età di 30 anni fa. Magari fanno scelta di lavorare in una cooperativa sociale, o li ritrovi impegnati in una solidarietà più strutturata e più istituzionalizzata. Ma non dobbiamo nasconderci che l?onda entusiasmante sollevata da quei milioni di persone che si dedicavano agli altri era un?altra cosa. Era anche molto più contagiosa. Oggi domina invece l?autoreferenzialità.

Vita: In che senso?
De Rita: Nel senso che ciascuno cerca di affermare la bontà dei propri progetti e non si guarda più in là. Bisognerebbe farsi dare da Pezzotta i progetti arrivati in cerca di finanziamento a Fondazione Sud. Metto la mano sul fuoco che il 90% chiedono sostegno alla loro autoreferenzialità.

Vita: Non è eccessivamente pessimista? In fondo ancor oggi se i volontari per un giorno si fermassero, sarebbe un dramma per tutti. Pensi solo al servizio delle autoambulanze?
De Rita: Io giro per l?Italia e vedo cose meravigliose. Vedo tante persone con negli occhi quello slancio che mi aveva sorpreso allora. Ma se poi ragiono, scopro che quelle storie sono figlie di un localismo sano, di storie antiche; sono come dei rivoli che percorrono la vita civile ma senza occupare una posizione centrale, senza essere un modello affascinante e contagioso. Se devo pensare al volontariato come componente strutturale della società, il pessimismo mi resta. Oggi manca la freschezza e l?impeto per avere un ruolo di quel tipo.

Vita: Colpa della leadership?
De Rita: Più che altro colpa di una leadership che non c?è stata. Mi taglio una mano se dei 12 entrati al Cnel, più di quattro sono davvero rappresentativi del mondo del volontariato. Comunque l?errore più grave commesso è stato quello di rinchiudersi in una logica rinunciataria, secondo la quale chi fa volontariato lo fa per una breve stagione della propria vita, destinata a concludersi con il matrimonio o con il maggior impegno sul lavoro. È stata un?analisi completamente sbagliata, perché ancor oggi vediamo che la parte più vitale del volontariato è sempre quella che si è nutrita dell?entusiasmo degli anni 70, quelli che sono il frutto dello straordinario impatto avuto dagli angeli del fango di Firenze. Mentre tra i giovani, nutriti da questo strisciante scetticismo, non ha fatto breccia. I germogli si sono seccati subito. Oggi il ventenne non ha la stessa spinta interna, la stessa linfa che aveva nutrito l?azione delle generazioni che l?hanno preceduto. Non riconosco in loro quella spinta che porta a far esplodere il dono di una parte della propria vita per gli altri. Il volontariato che è figlio di quella gemmazione è un volontariato felice, convinto. Lo si scorge ancora oggi negli occhi del volontario nato in quella stagione?

Vita: C?è anche un vizio di collateralismo politico?
De Rita: Non lo vedo. Anche perché nella mia storia ho visto in azione il collateralismo vero, quello forte, potente, a volte brutale di altre categorie. Quello del volontariato, se c?è stato, è un collateralismo che fa quasi sorridere. E comunque il collateralismo intelligente non sarebbe un male: sa anche incidere, cambiare le cose in meglio.

Vita: Si può dire che il diffondersi di una nuova sensibilità verso stili di vita più sostenibili sia figlia della cultura del volontariato?
De Rita: Secondo me non c?è nesso, perché il volontariato ha un riferimento fondamentale: quello della persona. è il ?tu? che diventa importante. La dimensione ecologica e ambientale c?è, ma è secondaria. Del resto lo stesso movimento ambientalista è in crisi, come dimostra il caso di Legambiente che in termini di vitalità si è molto spenta. Il volontariato ha sempre come punto di origine la persona. Dove non c?è un ?tu?, lo scatto del volontariato, nella sua dimensione complessiva di comportamento nuovo, non c?è.

Vita: Quindi è una concezione dell?io quella che è venuta a mancare?
De Rita: è venuta a mancare la centralità della persona. Abbiamo avuto una supremazia dell?io come rivendicazione di diritti, rispetto alle regole e alle norme. Ma questa è un?altra cosa. è figlia di una cultura relativista, davanti alla quale la cultura cattolica è andata in difficoltà. Si è messa sulla difensiva, rinserrandosi nella difesa di certe verità invece di mettere in campo il fascino e la ricchezza dell?io che si mette in rapporto con un altro io. Il primato della persona non è altro che questo.

Vita: Un?ultima domanda. Lei partecipò alla seconda conferenza del volontariato nell?87 ad Assisi. Che ricordo ne ha?
De Rita: Mi ricordo soprattutto la sincerità con cui Giovanni Goria, che in quei mesi era presidente del Consiglio, sostenne la cosa. In quell?occasione però dovette fare i conti con la Jervolino, che era responsabile agli Affari sociali e che voleva più spazio. Nella somma delle deleghe che si era fatta dare riconosco purtroppo i prodromi di tutta la parabola che abbiamo raccontato in questa intervista.

Giuseppe De Rita (1932) è uno dei maggiori sociologi italiani. è stato funzionario Svimez dal 1955 al 1963 e in seguito consigliere delegato del Censis di cui è segretario generale dal 1974.


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