De Lucia, l’arresto di Messina Denaro salda il debito con le vittime di mafia

Il 16 gennaio 2023 è stato un successo sul fronte della lotta alla mafia in parte perché porta a riflettere sull'importanza che la cattura di Matteo Messina Denaro riveste rispetto all'organizzazione mafiosa, ma anche nei rapporti che la mafia, Cosa Nostra, ha con pezzi altri della società. Ne ha parlato agli studenti dell'Istituto Gonzaga di Palermo il Procuratore Capo di Palermo, Maurizio De Lucia

di Gilda Sciortino

Era il 2 giugno 1982 quando il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, allora Prefetto di Palermo, volle parlare ai ragazzi di corruzione e di mafia scegliendo l’Istituto Gonzaga di Palermo per farlo.

A circa trentun anni di distanza da quel giorno, a scegliere una platea di ragazzi desiderosi di capire cosa sta accadendo attorno a loro, ovviamente sollecitati dai recenti fatti di cronaca, è stato il Procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, sottolineando che con la cattura dell’ultimo stragista, dell’ultimo uomo rimasto tra quelli che ordirono le stragi del 1992 lo Stato salda in debito, in parte incolmabile, nei confronti delle vittime della mafia e di tutti coloro i quali sono caduti nella lotta contro la mafia.

«Per un certo periodo – ha detto De Lucia – non abbiamo più parlato con intensità del fenomeno mafioso, che però c’è sempre stato e c’è ancora oggi. Poi, arrivano fiammate di notizie che riportano la mafia sulla prima pagina dei giornali di tutto il mondo, com’è successo quando il 16 gennaio i Carabinieri hanno arrestato Messina Denaro. L’arresto è stato importante per i motivi che dicevo prima, ma anche perché ci porta a fare una riflessione sull’importanza che questa cattura riveste nella struttura dell’organizzazione mafiosa e nel rapporto che questa ha con tutti soggetti esterni con cui colloquia. Lo dico perché la mafia dialoga con pezzi di altra società, quella che io ho chiamato “borghesia mafiosa” utilizzando un termine che esiste in sociologia sin dagli anni ’70. Ci sono, però, momenti in cui si dice una cosa e, poiché in questo Paese non c’è memoria, viene attribuita a chi la pronuncia. Per me è importante parlare oggi con voi che state crescendo e vi state formando proprio come i ragazzi ai quali il Prefetto Dalla Chiesa volle rivolgersi 31 anni fa. L’insegnamento che volle lasciare a chi è venuto dopo, e io sono uno di questi, è stato che parlare di questa cosa che avvelena Palermo e la Sicilia da oltre un secolo e mezzo, chiamata comunemente mafia mentre dagli esperti Cosa Nostra, è una cosa seria che va affrontata e studiata con gli strumenti dell’analisi critica per capire e per sconfiggerla. Dobbiamo sapere che la mafia è una cosa feroce, una cosa vigliacca, una cosa triste. Dobbiamo saperlo e affrontarla tenendo conto che ci sono dietro il sangue dei morti, le vittime oppresse dai reati dei mafiosi, il mancato sviluppo di questa terra che in larga parte dipende dalla presenza della mafia. Poi possiamo discutere del colore, del fatto che ogni mafioso è una persona e che, come tale, va rispettata, tenendo conto di una cosa che ci ha insegnato Hanna Arendt nel libro “La banalità del male” e cioè che questi uomini, quando li incontriamo sembrano come noi, ragionano come noi, sono persone. Il fenomeno sociale del loro stare insieme crea un veleno che è un problema per tutta la società e la società questo deve comprenderlo, mettendo insieme nella cassetta degli attrezzi del cittadino tutti gli strumenti necessari che servono a capire e combattere il fenomeno per consentirci di andare avanti in una terra migliore in cui il fenomeno mafia sia sempre più da studiare e sempre meno da combattere perché sconfitto».

Importante per i ragazzi anche capire come ci si possa sentire ad essere il Procuratore che ha avuto il merito di arrestare Messina Denaro.

«Il mio è un mestiere nel quale si ha a che fare con il male, la sofferenza – ha aggiunto il Procuratore Capo di Palermo – quindi tendenzialmente non ci sono tante occasioni per gioire, ma il 16 gennaio è stato un gran bel giorno perché il risultato di un lavoro complicatissimo. Per ottenerlo, però, bisogna stare sempre con i piedi per terra, avere ben chiaro che si tratta di un servizio; nel caso del 16 gennaio, un servizio andato a buon fine. I sentimenti sono una cosa che bisogna tenere dentro perché questo mestiere va fatto con profonda severità e serenità, senza farsi inquinare neppure dalle proprie emozioni. Io dico, quando parlo con i mei colleghi più giovani, che la professione di magistrato va presa con estrema serietà, ma non prendendosi sul seriomantenendo una certa dose di autoironia. Ciò che va presa sul serio è la professione».

Dietro Denaro c’era un mondo che lo copriva – ha chiesto un altro giovane -. Quanta responsabilità ha questo micro-cosmo che ha avallato questa latitanza?

«Siamo davanti a tutto un mondo di soggetti – che sono stati intorno a questo latitante. Si tratta di persone che sperano di ottenere benefici dai mafiosi – ha continuato il procuratore -. Oggi, però, il fenomeno mafioso non è forte come ai tempi di Dalla Chiesa. Oggi pensiamo di avere gli strumenti per fronteggiare tutto questo pezzo di società civile che offre servizi alla mafia diventandone compiacente e illudendosi di potere ottenere favori».

«Una mattinata voluta da più parti – ha sottolineato il direttore generale del Gonzaga, padre Vitangelo Denora s.j. – per evitare che su queste cose non si dicano banalità. Un incontro, un dialogo fra procuratore e ragazzi sulla scia di quell’incontro tenutocon il Generale Dalla Chiesa 31 anni fa, partire dal dialogo con i ragazzi di cui si parla spesso ma con i quali non si dialoga abbastanza».

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