Famiglia

De bello generationis, a proposito dell’Atlante dell’infanzia

Secondo il punto di vista di alcuni osservatori, per ingordigia la generazione dei baby-boomer sta erodendo il diritto al futuro dei giovani, sollecitando le istituzioni affinché mettano in atto meccanismi volti a garantire una posizione previdenziale non più sostenibile sul medio periodo. Ma l'Atlante di Save the Children ci dice tutt'altro

di Federico Mento

L'Atlante dell'infanzia di Save the Children è un notevole giacimento di pensiero e di analisi che ogni anno ci restituisce importanti spunti di riflessione sulla condizione dell'infanzia nel nostro Paese. Nella pubblicazione 2019, c'è un'interessante analisi rispetto all'incidenza della povertà sulle fasce d'età. Nel lungo decennio della crisi, 2008-2018, la fascia d'età più esposta al fenomeno della povertà è quella 0-17 anni:

"Questa fase «critica» della nostra storia ha finito per gravare, da noi assai più che altrove, soprattutto sulle spalle delle famiglie con bambini, producendo nuovi squilibri generazionali e penalizzando, sotto diversi aspetti, le aspirazioni e le possibilità di crescita dei più piccoli, in un periodo strategico della loro crescita personale. Com’è noto la deprivazione multidimensionale sperimentata fin dalla tenera età può dispiegare i suoi effetti lungo tutto il corso della vita, producendo effetti duraturi sulle condizioni di salute,sul percorso scolastico, sulla possibilità stessa di immaginare il futuro e di nutrire aspirazioni, sull’accesso al mercato del lavoro, eccetera." (pg. 138)

A seguito della pubblicazione dell'Atlante, in rete si è dipanato un dibattito accesso rispetto al ruolo della generazione più anziana, considerata una sorta di Crono che divora le opportunità e le risorse delle generazioni più giovani. Secondo il punto di vista di alcuni osservatori, per ingordigia la generazione dei baby-boomer sta erodendo il diritto al futuro dei giovani, sollecitando le istituzioni affinché mettano in atto meccanismi volti a garantire una posizione previdenziale non più sostenibile sul medio periodo.

L'idea del conflitto tra le generazioni è un artificio retorico che il pensiero neo-liberale utilizza sin dai tempi della Signora Thatcher per erodere i diritti acquisiti nel corso della golden age dello Stato sociale. Quale miglior arma che mettere i contrapposizione i tutelati con i meno-tutelati, facendo percepire a questi ultimi che le responsabilità nella difformità del trattamento economico e previdenziale dipenda dalla precedente generazione. Dimenticandosi, però, che quella generazione del "pieno impiego" ha versato contributi previdenziali nell'arco di 35-40 anni e, magari, è stata a sua volta impattata dagli interventi legislativi che dal 1993 ad oggi cercano di chiudere la falla previdenziale.

Le difformità, inaccettabili tra le diverse generazioni, non sono causate da uno stato di conflitto tra gli interessi dei giovani e quelli degli anziani, quanto piuttosto da scelte di policy dissennate. Penso ad esempio al cosiddetto "Bonus Renzi", circa 10 miliardi di euro che hanno prodotto effetti sul mercato del lavoro molto limitati e che avrebbero potuto impattare con grande vigore sulla povertà minorile. Oppure alle scelte insensate dei Governi tecnici, senza dimenticare il pesante contributo dei Governi di Centro-Destra.

Non esiste una guerra tra le generazioni, esiste una cattiva politica, senza capacità di visione perché accecata alla ricerca del consenso ad ogni costo, erodendo così il diritto al futuro solo per acquisire una posizione di forza alla prossima tornata elettorale.

La questione della povertà minorile, come ci ricorda ogni anno Save the Children, è un grande tema su cui non possiamo più permetterci la cattiva politica.

Photo by Michał Parzuchowski on Unsplash

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