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Ddl Gasparri: Ciampi rinvia alle Camere. Ecco perch

Il ddl Gasparri non rispetta i tempi previsti dalla Corte Costituzionale per la fine del regime transitorio e configura il rischio di posizioni dominanti

di Paul Ricard

Il ddl Gasparri non rispetta i tempi previsti dalla Corte Costituzionale per la fine del regime transitorio (entro il 31 dicembre 2003 Mediaset deve trasferire Retequattro su satellite) e configura il rischio di posizioni dominanti e di un indebolimento della stampa in termini di raccolta pubblicitaria a vantaggio della tv, con grave pregiudizio per la liberta’ di informazione. Questi, in sintesi, i motivi principali del rinvio del provvedimento alle Camere da parte del Capo dello Stato Ciampi. Il punto di partenza e’ la sentenza 466/2002 della Consulta, in base alla quale il regime transitorio dell’assetto radiotelevisivo ”non puo’ eccedere il termine del 31 dicembre 2003”, data entro la quale, quindi, va risolta la questione di Retequattro. Una prima osservazione di Ciampi riguarda l’articolo 25 del ddl (accelerazione del digitale), al terzo comma, che stabilisce che l’Autorita’ per le Comunicazioni ha dodici mesi di tempo (fino cioe’ al 31 dicembre 2004) per verificare: la quota di popolazione raggiunta dal digitale terrestre, la presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili, l’offerta al pubblico sulle reti digitali di programmi diversi dalle reti analogiche. Per Ciampi, ”questo lasso di tempo, molto ampio rispetto alle presumibili occorrenze della verifica, si traduce, di fatto, in una proroga del termine finale indicato dalla Corte Costituzionale”. Secondo punto: lo stesso comma prevede che l’Autorita’ – entro trenta giorni dall’accertamento – invii una relazione al governo e alle commissioni competenti in cui verifica se il digitale abbia effettivamente prodotto un ampliamento dell’offerta e del pluralismo (tema del messaggio di Ciampi alle Camere del luglio 2002) ed eventualmente formuli proposte di intervento. Ma ”se l’Autorita’ dovesse accertare, entro il termine assegnatole – rileva Ciampi – che le suesposte condizioni non si sono verificate, non si avrebbe alcuna conseguenza certa. La legge, infatti, non fornisce indicazioni in ordine al tipo e agli effetti dei provvedimenti che dovrebbero seguire all’eventuale esito negativo dell’accertamento”. Le considerazioni in diritto della stessa sentenza 466, inoltre, sottolineano che la data del 31 dicembre 2003 da’ il tempo al legislatore per determinare le modalita’ della fine del regime transitorio. ”Ne consegue – rileva ancora il Capo dello Stato – che il primo gennaio 2004 puo’ essere considerato come il ‘dies a quo’ non di un nuovo regime transitorio, ma dell’attuazione delle predette modalita’ di cessazione del regime medesimo, che devono essere determinate dal Parlamento entro il 31 dicembre 2003”. Inoltre, dice ancora Ciampi, ”si rende necessario indicare il dies ad quem, cioe’, il termine di tale fase di attuazione”. In sostanza, il Presidente della Repubblica chiede al Parlamento di definire entro la fine dell’anno i modi in cui puo’ essere risolto il problema di Retequattro, che eccede (secondo la 466) il limite delle due reti che ogni concessionario dovrebbe rispettare. Ma il messaggio di Ciampi fa riferimento anche ad altre sentenze della Consulta, con cui ”altre parti” della legge ”appaiono non in linea”. In primo luogo, la 826 del 1988, che poneva come imperativo la necessita’ di garantire ”il massimo di pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralita’ di voci concorrenti, il diritto del cittadino all’informazione”. E ancora la 420 del 1994, in cui la Consulta sottolineava la necessita’ di ”un’idonea disciplina che prevenga la formazione di posizioni dominanti”. Ora, rileva Ciampi, il Sic (il sistema integrato delle comunicazioni, su cui viene calcolato il tetto antitrust del 20%) ”potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il 20 per cento, di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti”. Sotto la lente di ingrandimento di Ciampi e’ finita anche la questione della raccolta pubblicitaria, che potrebbe avvantaggiare la tv ai danni della stampa: il Capo dello Stato fa riferimento infatti a un’altra sentenza della Corte, la 231 del 1985, che richiede che sia evitato il pericolo che ”la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una liberta’ che la Costituzione fa oggetto di energica tutela”. Infine, Ciampi chiede che vengano eliminati dal testo della legge i riferimenti al decreto legislativo 198 (sulla realizzazione delle infrastrutture per le tlc), gia’ bocciato dalla Consulta.


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