Famiglia
Davvero il non profit può essere la vera via di uscita per il Calcio?
La questione ha fatto breccia: la legge del 1996, che ha permesso alle società calcistiche di diventare spa con fine di lucro, ha preparato il terreno a quello cui stiamo assistendo oggi
di Marco Vitale
Non è cecità, non è ignoranza quella che manda alla rovina uomini e Stati. Non a lungo resta loro celato dove li condurrà la strada imboccata. Ma in essi è un impulso, favorito dalla loro natura, rafforzato dall?abitudine, cui non si oppongono e che li trascina in avanti, finché possiedono ancora un residuo di vita? I più vedono la propria rovina di fronte a sé, eppure vi si gettano a capofitto».
Questa riflessione dello storico tedesco Leopold von Ranke si adatta perfettamente al nostro mondo del calcio e ai suoi boss. In parecchi e da parecchi anni avevamo denunciato che il calcio italiano, con le sue irresponsabilità finanziarie, le sue ubriacature televisive, le sue strutture societarie e aziendali fatiscenti, i suoi metodi mafiosi era avviato alla rovina. Ma nessuno degli uomini di potere del calcio e delle istituzioni sportive (Coni) né dei santoni della grande stampa sportiva aveva dato attenzione a questi allarmi. Si continuò a cercare coperture ingannevoli e soluzioni finte con i marchingegni truffaldini come la legge spalmadebiti.
Guido Rossi, la discontinuità
Ma ora, nonostante tutto, bisogna guardare avanti. La notizia del commissariamento della federazione (da me auspicata e suggerita nel 2002) è una buona notizia. La notizia diventa eccellente se completata dal fatto che il commissario è Guido Rossi, persona certamente non portata a scherzare. Questa nomina porta con sé due valenze positive. La prima è la qualità della persona. La seconda è che essa significa che in Coni è prevalsa l?opzione della discontinuità. Sino a due giorni prima dalla nomina c?era ancora chi si agitava per una soluzione di continuità e di copertura. Fortunatamente ha prevalso la soluzione della discontinuità: e questo è l?inequivocabile significato della nomina di Guido Rossi come commissario. Ma adesso bisogna essere coerenti ed accettare le conseguenze di ciò che si vuole.
L?errore di Mario Monti
La prima conseguenza logica ed inevitabile è che bisogna commissariare anche la Lega. Come si può pensare che il commissario possa fare un buon lavoro se la Lega continua a barcamenarsi sui fragili e litigiosi equilibri che la reggono, se il presidente della Lega è la personificazione stessa dei conflitti di interesse e se è tanto perspicace da definire quello che sta succedendo niente altro che un «pissi pissi, bau bau»?
La seconda conseguenza è che non bisogna avere paura della crisi economico-finanziaria del calcio e farsi condizionare dai ricatti che ne seguiranno. Il brutto articolo che Mario Monti ha dedicato al calcio aveva forse questa componente condivisibile. Monti ha scritto che il governo non deve interessarsi del calcio, e ciò è profondamente errato, dimostrando una non conoscenza di cosa rappresenta socialmente ed economicamente il calcio.
Ma, forse, con questa raccomandazione Monti voleva anche dire: il governo non deve dare al calcio nuovi aiuti per fronteggiare l?emergenza del tipo legge spalmadebiti, e lasciare che la crisi finanziaria accanto alla crisi dirigenziale e strutturale facciano il loro corso e portino alla ristrutturazione totale. E questo è quello che bisogna fare. La crisi economica-finanziaria non l?ha determinata l?intervento della magistratura. è in atto da anni, esorcizzata dagli stregoni, aiutati dal governo, con mille trucchi e manipolazioni, tollerati da Consob (per le quotate) e da Banca d?Italia, inerte di fronte al credito facile agli stregoni da parte di componenti non piccole del sistema bancario. L?intervento della magistratura e il conseguente intervento della magistratura sportiva, però, accentuerà inevitabilmente la crisi economico-finanziaria. Quanto grave sarà l?accentuazione, non siamo oggi in grado di prevedere.
Dipenderà dalle risultanze e determinazioni finali. Per ora possiamo formulare due auspici. Che la magistratura agisca con sobrietà e misura e non si faccia trascinare dalla magistratura spettacolo (della quale purtroppo si colgono alcuni sintomi), dalla magistratura competitiva e dalle inutili ammucchiate. Che il governo, contrariamente a quello che dice Monti, si prepari per tempo ad accompagnare la ristrutturazione istituzionale e societaria con un intelligente, selettivo e costruttivo provvedimento di affiancamento finanziario.
Un altro calcio è possibile
La terza conseguenza è di ripensare il calcio nella sua interezza come fenomeno sociale e non solo il calcio drogato dalla televisione dello ?star system?. Nel solo comune di Milano sono attive oltre cento società di calcio partecipanti ai campionati Figc ed altrettante che partecipano ai campionati amatoriali degli enti di promozione sportiva (Csi, Uisp, Acli, etc.). I numeri di queste realtà sono impressionanti (oltre trentamila tesserati con le loro famiglie). Ma questo mondo sociale del calcio non è integrato con il calcio dello ?star system? né con la politica locale.
Eppure tante sono le riprove, anche solo a Milano, della potenza sociale che il calcio può avere (dall?esperienza del calcio portato in carcere con il Free Opera Brera, esperimento straordinario realizzato da una società minore, la Brera Calcio, e in parte rovinato da un direttore megalomane che ha incominciato a scimmiottare i presidenti ?faso tuto mi? del calcio ?star system?; all?esperienza del torneo calcistico Milano Mondo, partito nel 2000, che al Vigorelli riunisce squadre di 24 diverse nazionalità e le relative comunità, con una media di 6mila spettatori con una forte responsabilizzazione dei vari gruppi e senza il minimo incidente e con il solo coinvolgimento discreto di pochi agenti in borghese; alla collaborazione tra la Comunità dei Martinitt e il Brera Calcio i cui atleti si alleneranno nella storica struttura dei Martinitt e il Brera svolgerà azioni di tutoring per circa 80 giovani con disagi giovanili.
Il cattivo modello
Anche questo è il calcio che deve essere un unico armonico, pur nelle diverse articolazioni. Per questo bisogna abbandonare il modello anglosassone (società a scopo di lucro) da noi improvvidamente assunto. Quel modello nato e inserito in una società dove la cultura di mercato è forte e protetta, è diventato una perversione nel nostro paese tradizionalmente privo di cultura di mercato.
Da qui l?esplosione della cultura del mecenatismo e dell?imbroglio, l?emergere di una classe manageriale incauta e impreparata ed amorale (e nell?averla furbescamente utilizzata, e la responsabilità primaria degli azionisti nobili) persone dalle quali (salvo rare eccezioni) nessuna persona normale comprerebbe un?auto usata, la dissennatezza e la conseguente crisi finanziaria, l?attrazione al sistema, accanto a pochi imprenditori veri che nel calcio hanno investito (per le motivazioni più varie che vanno dalla passione vera, all?esposizione mediatica, alla ricerca di acquisire influenza sulla politica locale, al genuino desiderio di fare qualcosa di utile per la loro città) di numerosi autentici avventuristi che dal calcio hanno cercato di spremere denaro, prevalentemente attraverso le componenti occulte, secondo il principio «convento povero, monaci ricchi», l?esplosione del numero dei club.
Basti considerare che l?intero numero dei club professionistici dei quattro sport più diffusi negli Usa (baseball, football, basket, hockey) è minore del solo numero di club calcistici professionisti del nostro paese (132 dalla A alla C2). è anche su questa base che si incardina la mia proposta di abbandonare il modello anglosassone, che non è roba per noi e di riagganciarci ad un modello latino che descriverò con le parole di un esperto (Alessandro Aleotti) che con questi temi si è confrontato anche operativamente.
Aleotti: vince il modello latino
Dice Aleotti: «Il modello che dovremmo avere il coraggio di importare è quello latino, in cui le squadre sono associazioni con decine di migliaia di soci che votando decidono periodicamente sui programmi degli investitori che si offrono di guidare la società. Questa grande dimensione associativa determina un forte radicamento sul territorio, rendendola il fulcro di molte altre attività. Per questo i club latini sono anzitutto delle polisportive, con sezioni di basket, pallavolo ed altri sport che raggiungono anche la preminenza nei loro settori, ma restano al traino della prevalente sezione calcistica. C?è poi la presenza fortissima dello stadio, centro dell?attività della squadra, ma anche della vita sociale che ruota intorno alla squadra, e quindi non grigia struttura di cemento, sempre chiusa quando non si gioca, ma centro di ritrovo, struttura viva e sempre attiva nella vita cittadina.
«Gli ex atleti restano integrati nella vita del club e restano personaggi pubblici locali ben oltre la fine della loro attività sportiva, contribuendo così ad integrare i loro club nelle diverse attività che sul territorio possono essere realizzate, mentre da noi gli ex giocatori delle squadre maggiori vivono solo nel circuito mediatico legato al calcio. Le esperienze più note di questo tipo sono quelle sudamericane (ma anche spagnole) e argentine in particolare, con il Boca Juniors e il River Plate che contano più di 100mila soci. Certo, tutto questo non è estraneo al business, come mostra il caso del Real Madrid dove l?ultimo presidente ha conquistato il consenso dei soci in base a un programma di grandeur che contemplava l?acquisto di stelle del calcio internazionale, ma anche di una grande operazione immobiliare fatta vendendo l?area del centro sportivo in città e spostandolo fuori Madrid».
Ma perché ti interessi tanto di calcio? mi chiedono tanti amici. Per tanti motivi che ho cercato di illustrare nei miei articoli e soprattutto perché il calcio resta il gioco più bello del mondo. A questi ne aggiungo uno che non ho mai esplicitato: per autodifesa. La mia attività professionale si svolge in gran parte sul piano internazionale ed europeo. Scandali come quello del calcio producono un danno enorme su tutti noi e sulle nostre attività professionali, sulla nostra dignità di cittadini italiani. è come un?imposta straordinaria alla quale veniamo tutti sottoposti. Anche per questo Monti sbaglia. Ed anche per questo diciamo: basta; ma questa volta basta per davvero!
chi è Marco Vitale?
Marco Vitale, economista d?impresa, è nato a Brescia il 1° agosto del 1935. Già docente all?università di Pavia, all?università Bocconi e vice presidente e docente della Libera università Carlo Cattaneo di Castellanza (VA), della quale è stato tra i principali ideatori, è membro del Comitato direttivo della Scuola d?impresa Istao. è socio fondatore e presidente della Vitale – Novello & Co., società di consulenza di alta direzione, e presidente di Bipiemme Gestioni sgr. Nel 2002, insieme a Giampaolo Ormezzano ha scritto Fenomeno Chievo. Economia, costume, società. Una squadra di quartiere contro il calcio miliardario. Collabora da anni con Vita.
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