Cultura

Davide Oldani: “Io chef a spreco zero”

Che rapporto c'è fra la fame nel mondo e quello che mettiamo in tavola tutti i giorni?

di Emanuela Citterio

«Certo che sì. Sono d’accordissimo sul fatto che non bisogna speculare sui beni alimentari. E che bisogna salvaguardare quello che ci tiene vivi, cioè il cibo». È uno dei più grandi chef italiani, Davide Oldani. Ma in questa intervista si definisce «un ragazzo semplice, che parla come mangia». Al “D’O”, il suo ristorante fuori Milano, a Cornaredo, si può ancora pranzare con 11 euro e mezzo e cenare a 35 euro. Il suo credo è la “cucina pop”, democratica, popolare, dove si “leva” più che aggiungere. E i suoi comandamenti si riassumono in cinque vocali: amore ovvero passione per quello che fai; educazione, vale a dire rispetto per la materia prima che usi; obbedienza, ai maestri, alle stagioni, alle intuizioni tue o degli altri; umiltà. Oldani ha aderito alla campagna “Sulla fame non si specula”, promossa da giornalisti, economisti, chef e anche comici (Giovanni e Giacomo e Diego Parassole), rappresentanti del terzo settore. Un’iniziativa sostenuta da Vita, Acli, Action Aid Italia, Vita e Unimondo che, unendosi a movimenti che già esistono in Europa e negli Usa, chiede di mettere regole per frenare la speculazione finanziaria sui beni alimentari (per saperne di più: www.sullafamenonsispecula.org).

I beni alimentari come merce sulla quale si specula per trarre profitto. Lei che cucina di mestiere, cosa dice? C’è poco rispetto per il cibo?

Sì. E sa perché? C’è tanto cibo. Sappiamo che, ovunque si vada, il cibo c’è. Buono o cattivo, c’è. Lo diamo per scontato. Accanto a questo appello contro la speculazione, che è importantissimo, io ne affiancherei un altro, complementare.

Quale?

Parallelamente farei anche una campagna sul “non spreco”. È vero che ci sono prezzi troppo alti e che si fa fatica ad arrivare a fine mese, ma è anche vero che quando vado al supermercato vedo carelli strapieni di cibo che poi, spesso, si butta, perché scade o perché se ne cucina troppo. In realtà per nutrirsi bene bastano veramente pochi soldi.

Mangiar bene quindi non è costoso?

Se si cucinano 70 grammi di pasta, ovvero la dose per una persona, e un po’ di sugo, bastano 40 centesimi, e si mangia qualcosa di buono e nutriente. Cento grammi di riso costano 20 centesimi. Bisogna sensibilizzare la gente a non buttare via. E poi, il riso si presta a mille situazioni.

Dai… ci sveli una sua ricetta.

Io il riso lo tratto come se fosse un foglio bianco. Lo cucino senza soffritto e senza olio, lo manteco solo alla fine con poco burro e grana. Quando ho questo foglio bianco steso nel piatto, posso metterci sopra qualsiasi cosa: delle spezie, oppure due pezzettini di pera arrostiti in padella con un po’ di pepe nero o di curry, polvere di zafferano. Sotto c’è la base per nutrirti e sopra il gusto. Pezzettini di seppia appena arrostiti… le varianti sono infinite.

Si ispira anche ad altre tradizioni o culture?

Mi ispiro solo alla cultura del buon cibo, del buon ingrediente fresco. Cerco di fare una cucina di armonia, circolare. Inizio con un antipasto salato con un tocco di zucchero e finisco con un dolce che ha un tocco di salato. Quando chiudo il cerchio così faccio una cucina che mi piace e che far star bene gli altri.

Come fa la spesa?

A stomaco pieno. Così posso ragionare su cosa mi serve davvero. Vado ovunque mi capiti, tanto sono io a decidere cosa acquisto. Il pomodoro non lo prendo mai fuori stagione. Quando al supermercato vedo le albicocche al mese di febbraio non le compro, per me possono marcire lì. Ma in tanti carrelli vedo che ci sono. Seguire la stagionalità dei prodotti è un accorgimento che ci permette di spendere ancora meno e di nutrirci bene.

Nei criteri del suo lavoro lei mette il “rispetto” per gli ingredienti.

Certo che sì!

Cosa significa?

Sono io che mi adatto agli ingredienti trovando il modo migliore di valorizzarli, non li piego alle mie esigenze.

Da dove nasce questa attenzione?

È nel dna della mia famiglia, nasce dal fatto che i miei genitori hanno vissuto in periodo di guerra, soprattutto mio padre. Erano tempi in cui la pancia non era piena e ogni cosa se la dovevano sudare. L’economia della mia famiglia è stata impostata da mia mamma, che cercava di farci arrivare alla fine del mese. Certi criteri che ho mantenuto nella mia cucina li devo ai suoi insegnamenti: lei per esempio comprava i pomodori d’estate perché costano meno.

Ma i grandi chef cucinano nei ristoranti di lusso.

Non c’è il ristorante di lusso o quello povero. C’è il ristorante in cui si fa buona cucina o cattiva cucina. Un bravo cuoco deve saper lavorare l’astice e l’alice allo stesso modo. La buona cucina è buona cucina, punto e basta. Io lavoro in un piccolo paese, non in centro a Milano, e il mio ristorante ha una clientela che comprende il muratore, l’operaio e l’amministratore delegato. Per questo cerco di stare attento a fare una cucina che vada bene per tutte queste persone. Il mio approccio è quello della cucina pop: altissima qualità, perché siamo molto attenti alla stagionalità dei prodotti, ma anche, per la stessa ragione, costi contenuti.

C’è una fascia di consumatori che ha maggiore consapevolezza oggi intorno al cibo?

Sì, la gente si sta avvicinando con maggiore consapevolezza al cibo e agli ingredienti. Anche grazie a movimenti come Slow Food sta crescendo una nuova cultura del cibo. Ci sono tante persone oggi che si incuriosiscono e vanno a esplorare prodotti e ristoranti.

Nel nostro tipo di società non c’è più bisogno di consumare grandi quantità di cibo, perché i lavori sono soprattutto mentali. Si è dimezzato il fabbisogno energetico necessario per vivere ogni giorno. Oggi abbiamo anche la fortuna di poter selezionare quello che vogliamo mangiare, ma proprio per questo c’è più bisogno di consapevolezza e cultura attorno al cibo.

Il biologico, i gruppi di acquisto solidale, il successo dei farmer markets…. C’è il desiderio di tornare alla terra e ai prodotti sani?

Certo, però c’è poca gente che lavora la terra. Bisogna aiutare di più i contadini perché possano fare in modo dignitoso il proprio lavoro e possano farci stare bene.

Dove compra, di preferenza, i prodotti che usa per cucinare?

Ho il mio ortolano di fiducia dal quale vado a prendere la frutta e la verdura. E devo dire che la mia dieta è composta per i due terzi di verdura pasta e riso.

C’è uno stile di fondo che caratterizza la sua cucina?

La mia è una cucina del levare. Partendo dalla tradizione tolgo i grassi superflui che andrebbero ad appesantire rimpiazzandoli con erbe, spezie, condimenti molto delicati. In modo tale che rimanga il gusto senza la pesantezza. La semplicità è la base di tutto quello che faccio.

Qual è l’ingrediente più importante della sua cucina?

La convivialità. Durante il pasto bisogna potersi guardare negli occhi. Non a caso ho disegnato io stesso dei bicchieri più bassi per sostituire i classici calici altissimi e sottili, che… se ne spaccano un sacco e coprono la visuale. Sono per la convivialità all’italiana, che è la base perché a tavola si stia bene.

L’Expo 2015ha come tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Milano e l’Italia hanno qualcosa da dire al riguardo?

Abbiamo tante cose da dire in Italia per quanto riguarda i prodotti, la materia prima, la tradizione e il territorio. Ed è importante che si sottoponga all’attenzione del pubblico questo argomento.

Ha aderito alla campagna “Sulla fame non si specula” e spesso ha detto spesso che le piace mettersi in gioco come persona al di fuori della sua cucina, anche in attività non profit..

Non mi piace parlarne molto. Cerco di rendermi utile per quel poco che posso fare. Potrei dire di questa attività che faccio con don Gino Rigoldi. Una volta l’anno vado nella sua comunità a sensibilizzare giovani che hanno più bisogno di me su cos’è una buona dieta o un buon pranzo. Mi piace l’idea che ragazzi che magari hanno bisogno di qualche consiglio in più possano apprezzare il mio lavoro. Ma la sensibilizzazione la faccio ogni giorno con il mio lavoro, cucinando del buon cibo.

Quindi il messaggio della sua personale campagna è…

Informarsi, evitare lo scarto e lo spreco. Mangiare meno e con pochi grassi, stando attenti alla stagionalità dei prodotti.

 

 

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