Ho letto con la curiosità del neofita un’intervista apparsa qualche giorno fa sul sito de Il Sole 24 Ore. La solita storia del giovane brillante che in Italia fatica, poi vince un award di Google e si trasferisce a Mountain View. Un’aneddottica fiorente purtroppo. Che bisognerebbe approfondire con una bella tracking analysis di medio lungo periodo: che succede agli espatriati? come si inseriscono? quanti tornano? ecc. Altrimenti succede come con l’epica della migrazione italiana, zeppa di storie eroiche, ma avara di fallimenti, difficoltà, disagi. Forse qualcuno ci avrà già pensato, comunque nell’intervista c’erano altri temi di interesse. Il primo cosa questo ricercatore andrà a fare negli Stati Uniti e il secondo con chi. Comincio dalla collaborazione che è quanto di più eterogeneo si possa immaginare: lavorerà non solo con una comunità di geek isolati dal resto del mondo, ma con ingegneri, fisici, storici dell’arte. L’oggetto di lavoro è ancora più stimolante: studierà le reti sociali con tecniche di data mining. In parole povere elaborerà algoritmi complessi alla ricerca di temi ricorrenti, di regolarità (che gli inglesi, come il solito, sintetizzano in una parola: pattern) nell’ambito delle relazioni sociali, mischiando più livelli e tipologie di relazioni (lavoro, amicizia, famiglia). Davvero interessante. Sarebbe una ricerca molto utile per le imprese sociali che, spingendosi agli estremi (forse anche troppo), sono organizzazioni nate per fare data mining sociale. Lo fanno tutti i giorni e a tutti i livelli, processando una quantità enorme di informazioni che riguardano attività e soggetti diversi. Perché i loro prodotti, i beni relazionali, sono dei veri e propri catalizzatori di network sociali. Peccato che questa ricerca servirà a Google (e peraltro anche il nostro ricercatore sembra nutrire qualche dubbio in merito all’utilizzo del suo lavoro da parte di un soggetto che occupa, per usare un eufemismo, una posizione rilevante). Alle imprese sociali, invece, continuano a mancare gli algoritmi. O meglio, quelli a disposizione sono sempre più sotto pressione nell’elaborare una complessità crescente. Basti pensare, ad esempio, agli assetti di governance multi-stakeholder, efficaci nel disegnare un’arena di relazioni sociali orientate a obiettivi di interesse collettivo ma dove spesso è assai difficile individuare regolarità nei sistemi di relazione sociale che siano compatibili con le scelte imprenditoriali. Oppure, se ne scoprono tutti i limiti strutturali. Come le certificazioni di qualità, grazie alle quali si raccolgono un sacco di dati che però spesso rimangono nei faldoni alla disperata ricerca di una qualche pattern. Insomma, come tessere un tappeto usando l’uncinetto.
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