Politica

Dario Nardella: il Pd sopravviverà solo se sarà un partito aperto

L'ex braccio destro di Matteo Renzi a Firenze interviene su Vita.it dopo il servizio del mensile in edicola sullo sfaldamento del Partito Democratico. E avverte: «Non è solo Renzi ad aver bisogno del Pd»

di Silvano Rubino

Dissoluzione o rinascita? Che il Pd sia a un bivio, come abbiamo raccontato nel nostro approfondimento in edicola su Vita di questo mese, è indubitabile. A un bivio che fa i conti con la natura stessa della forma partito. Quale strada prenderà, secondo Dario Nardella, neo-deputato, renziano di ferro (è stato il suo vice a Palazzo Vecchio a Firenze) dipende dalle scelte che verranno fatte nei prossimi giorni, a partire da quell'assemblea nazionale di sabato 11 maggio su cui gravano ancora molte incognite. «Io mi auguro», spiega a Vita.it «che non rappresenti un altro passo verso la dissoluzione. Anzi. C'è ancora molta nebbia. Il punto centrale attorno a cui ruoterà il futuro è capire se c'è reale consapevolezza da parte del gruppo dirigente della esigenza di rifondare il partito, della necessità di una vera e propria svolta, vitale per il Pd».

Ma può un'assemblea nazionale eletta nel 2009, quindi specchio di un partito che per esempio non comprendeva il 40% di chi ha votato Renzi alle Primarie del 2012, avere un ruolo di rifondazione?
La risposta sta nella domanda. Se vogliamo costruire un partito che sia realmente nuovo e che faccia tesoro delle nuove energie e della nuova generazione è chiaro che noi dobbiamo aver presente come tappa decisiva il congresso. Sabato la cosa più coerente da fare è immaginare un percorso che serva ad aprire una discussione vera e profonda a tutti i livelli del partito, con il fine di ricostruirlo da zero. Non mi affascinano le ipotesi di reggenza.

Quindi serve un un segretario vero?
Sì, ma non sabato, bisogna intraprendere un cammino. Il gruppo dirigente nuovo lo devono scegliere le primarie. Sabato deve essere l'inizio di un cammino, non si può arrivare alla soluzione in un'assemblea.

Senza reggenze, chi dovrà gestire concretamente questo cammino verso il congresso?
Ci dovrà sicuramente essere qualcuno che gestisce questo passaggio. Ma non mi appassionano i nomi. Bisogna prima capire qual è l'approdo di partito nuovo che vogliamo costruire. Sono preoccupato che il gruppo dirigente tenda di nuovo a chiudersi a riccio, che mostri ancora i soliti difetti che sono alla base degli errori di questi mesi, nei quali il Pd si è rivelato una federazione di correnti e di potentati.

Un altro renziano della prima ora, ieri, in un suo post ha respinto l'ipotesi di un'elezione di un segretario vero . Come se ne esce?
Si stanno facendo tante ipotesi: comitato di gestione, reggenza, segretario. Ripeto, qualunque soluzione deve servire ad arrivare a un congresso vero. Chi pensa che sabato si arrivi a soluzione definitiva, tradisce un desiderio di chiudere un dibattito senza nemmeno aprirlo. Una soluzione del genere lascerebbe irrisolti i veri nodi: il Pd non è mai diventato adulto, siamo in mezzo al guado e viviamo delle pulsioni fortissime a tornare indietro, al punto di partenza.

E perché Matteo Renzi non dice qualcosa di molto chiaro e semplice, com'è nel suo stile, su questo fronte?
È stato molto chiaro nel dire che non sono i nomi che gli interessano. Bisogna avere chiaro che tipo di partito bisogna costruire: non ci stiamo a scegliere tra un rappresentante di una cordata o un altro. Vogliamo capire se c'è desiderio di tornare alle origini del Pd, a un partito con vocazione maggioritaria, aperto alla società, ai nuovi strati sociali a cui non ha parlato in questi anni. Un partito dove tutti abbiano la stessa dignità di cittadinanza. Attenzione: questo non è un problema di Renzi. Il problema è del Partito democratico, se non vuole aprirsi in modo pieno a quella che, oggi,  è la sua più grande risorsa in termini di consenso.

Non c'è il rischio che si replichi un errore – ammesso dallo stesso Renzi – fatto alle primarie, cioè uno scarso impegno a costruire il consenso partendo proprio dal partito?
Chiariamo una cosa: se ci chiameranno noi non ci tireremo indietro. Ma non c'è un baratto di Renzi che chiede qualcosa in cambio del sostegno a qualcuno dentro il partito. Non è soltano Renzi che ha bisogno del Pd, è il Pd che ha bisogno di Matteo Renzi. Sarà il Partito democratico che perderà l'ennesima occasione se non lo coinvolgerà appieno. D'altronde all'istinto suicida non c'è fine… Questo è un Pd che invece di scaldare i cuori ha congelato le correnti. Non ha mai sciolto il nodo centrale: quello di essere una somma di culture del passato. Un errore che si rischia di commettere nuovamente con questa idea di spartizione tra Governo e partito che circola in questi giorni. In quel caso non è Renzi che perde un'occasione, è il Pd che rischia di finire.

Per evitare che partito faccia questi errori non bisogna lavorare dall'interno del partito stesso?
Intendiamoci: a me, Dario Nardella, farebbe piacere vedere Renzi segretario del partito. Però lui ha detto di non sentirsi buono per ogni ruolo e bisogna rispettare questa sua scelta. Questo non significa che vogliamo tenerci le mani libere per attaccare in ogni momento: siamo pronti a esserci se chiamano. Per far rinascere il Pd.

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