Volontariato

Darfur: situazione umanitaria esplosiva

Allarma Onu: l'accesso ai campi profughi è sempre più irto di ostacoli. Intanto, il governo sudanese lancia la sua più vasta offensiva militare dal 2004

di Joshua Massarenti

La situation humanitaire au Darfour toujours préoccupante, selon l’Onu La situazione umanitaria in Darfur sta peggiorando a ritmi vertiginosi. Lo rivela il rapporto pubblicato oggi dall’antenna sudanese dell’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha). Insicurezza e accesso limitato alle popolazioni sfollate rende difficile, se non impossibile il lavoro quotidiano degli operatori umanitari. Elaborato sulla dei dati e delle informazioni raccolti tra inizio luglio e fine settembre, Ocha sostiene che “dal 1 ottobre il tasso di accesso alle popolazioni bisognose di assistenza si è ridotto al 65%, il livello più basso dall’aprile 2004. La difficoltà di accesso è la medesima in tutti i tre gli Stati che compongono il Darfur” sottolinea il rapporto. Nella sola regione di Gereida, sud Darfur, vive in condizioni catastrofiche la più grande concentrazione di sfollati (circa 128mila persone) su una popolazione complessiva di due milioni di persone a cui è “vietato” il ritorno a casa. Questa cifra, assieme alle 200mila vittime che il conflitto ha provocato, è la più alta mai registrata dall’inizio della guerra civile nel 2003 e rappresenta un aumento di 125mila persone rispetto al 1 luglio 2006. La crescita esponenziale degli sfollati mette a durissima prova gli operatori umanitari, spesso costretti a lavorare in condizioni di insicurezza allarmanti. Il rapporto Ocha denuncia 31 fra aggressioni e imboscati e ben 21 veicoli di organizzazioni umanitarie rubati. Nello stesso periodo, sei operatori umanitari e due soldati della Missione di pace africana sono stati uccisi. In entrambi i casi Ocha non ha saputo identificare chi, fra i gruppi ribelli, l’esercito regolare di Khartoum o le milizie pro-governative dei janjaweed, sono stati i responsabili di questi attacchi. Nonostante l’insicurezza, si calcola che circa 13mila e 400 operatori umanitari nazionali e internazionali appartenenti a l’ottantina di ong presenti in Darfur (più la Croce Rossa e tredici agenzie Onu) continauno ad assistere le popolazioni colpite dalla guerra civile. Nel mese di settembre sono distribuiti viveri per oltre 3 milioni di persone, ad esclusione di 195mila sfollati del nord-Darfur che risultano irraggiungibili per via degli scontri armati e del banditismo. Intanto la guerra civile va avanti. Anzi, mai dal 2004 le offensive di Khartoum sono state così violente. Gli oltre 300mila soldati mandati in rinforzo negli ultimi mesi stanno mettendo a soqquadro l’intera regione. Da alcune settimane, gli attaccchi sono concentrati nel settore di Jebel Moun (nord Darfur), nei pressi della frontiera con il Ciad e bastione del movimento ribelle del Jem (Movimento per la giustizia e l’uguaglianza). Le modalità di attacco sono note a tutti: i villaggi sono inizialmente aggrediti dalle temute milizie janjaweed che, tra massacri e razzie, costringono i civili alla fuga; un lavoro “sporco” che contempla attacchi suppportati dalle truppe governative contro i movimenti ribelli. Una fonte delle Nazioni Unite parla “dai dieci ai quindici villaggi attaccati ogni giorno in quest’ultimo periodo”. Tra i principali campi di battaglia c’è l’area di Birmaza (nord Darfur), dove il 19 novembre scorso si è tenuta una grande conferenza di pacificazione tra i comandanti ribelli che compongono il più importante movimenta di guerriglia del Darfur (il cosiddetto “Movimento di liberazione del Sudan”, Slm). Per Khartoum, queste iniziative sono inaccettabili. Oltre a minare la strategia del “dive et impera” cara al governo sudanese per dividere i ribelli, l’entourage del presidente Omar el-Beshir sospetta che la conferenza sia stata favorita dalle Nazioni Unite. Ora, Khartoum punta tutto sull’implosione dei movimenti ribelli e una “soluzione militare” del capitolo Darfur. Infatti una pacificazione per le armi serve a dimostrare l’inutilità degli sforzi promossi dalle Nazioni Unite per mandare una Missione di peacekeeping (vedi la risoluzione 1706 del Consiglio di sicurezza del 31 agosto 2006 che preve l’invio di oltre 20mila caschi blu in Darfur con data di inizio della missione il 1 gennaio 2007). Da parte loro, Washington e Londra stanno vagliando da alcune settimane la possibilità di lanciare offensive aree contro obiettivi sudanesi minacciando Khartoum di trovare una soluzione alla crisi entro e non oltre il 31 dicembre. Ma le pressioni su Khartoum non finiscono qui. In un’intervista rilasciata a Le Monde, il procuratore capo della Corte internazionale dell’Aia, Luis Moreno Ocampo, ha dichiarato che “l’inchiesta sui crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati in Darfur (dal 2003, ndr) è praticamente chiusa”. Il che significa che a breve inizierà la procedura al termine della quale verrano spiccati mandati di cattura internazionale contro persone ritenute responsabile di tali crimini. Ora, secondo un precedente rapporto stilato dal giudice italiano Cassese nel 2005, personalità politiche e militari di altissimo livello appartenenti all’entourage del presidente Beshir erano iscritte nella lista nera stilata da Cassese.


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