Mondo

Darfur ora tocca a noi

Quattro ong italiane e la cooperazione del ministero degli Esteri sono sul posto per soccorrere la popolazione.

di Emanuela Citterio

Non sono bastati quattro risoluzioni Onu, un accordo di cessate il fuoco e due protocolli (tutti del 2004), l?invio di una missione di osservatori dell?Unione africana (Unamis), il rapporto di una Commissione internazionale di inchiesta pronta a denunciare «gravi violazioni dei diritti umani» (25 gennaio 2005) e una lista infinita di note, rapporti e lettere di denuncia inviati ai quattro angoli del pianeta dai più importanti organismi internazionali di difesa dei diritti dell?uomo. Non è bastata nemmeno la storica pace siglata il 9 gennaio scorso a Nairobi (Kenya) tra il regime militare-islamista di Khartoum e il Movimento-esercito di liberazione del popolo sudanese (Splm-a), che ha posto fine a 21 anni di conflitto sanguinoso in Sud Sudan. Nulla finora è riuscito a dare una svolta alla crisi umanitaria che sta imperversando in Darfur, una regione occidentale del Sudan grande quanto la Francia e sottoposta dal febbraio 2003 a una guerra civile che vede contrapporsi i ribelli dello Sla (Esercito di liberazione del Sudan) e del Jem (Movimento per la giustizia e l?uguaglianza) alle milizie Janjaweed supportate dal regime sudanese. Il dramma degli sfollati A fare le spese di quello che è stato definito dal coordinatore delle emergenze dell?Onu, Jan Egeland, «il peggior disastro umanitario del mondo» è come di consueto la popolazione civile. Tradotto in cifre significa oltre 100mila morti (ambienti Onu parlano addirittura di 400mila vittime) e circa 2,5 milioni di persone colpite dal conflitto: 1 milione 650mila sfollati, 630mila darfuriani delle host community, cioè abitanti dei villaggi che accolgono al loro interno gli sfollati, e 200mila rifugiati sconfinati nel vicino Ciad, che si sono visti costretti a abbandonare i loro insediamenti rasi al suolo e a fuggire dalle violenze perpetrate (via terra) dai Janjaweed e (via aerea) dall?aviazione governativa. Per far fronte a questa nuova, terribile emergenza africana, si sono mobilitate le principali agenzie delle Nazioni Unite e le ong internazionali. Tra loro, si è inserita a piede libero la Cooperazione italiana, «pronta a attivare tutti i canali possibili, compresi ovviamente quelli politici locali, per dare un contributo sostanziale ai progetti umanitari promossi dalle ong italiane e dalle agenzie Onu nelle tre province che compongono il Darfur». A parlare, con tono appassionato quanto deciso, è l?ex governatrice della provincia irachena di Nassiriya, Barbara Contini, dall?ottobre scorso in Darfur come inviato speciale del ministero italiano degli Affari esteri. «Sono cinque i progetti di ong che la Cooperazione italiana ha deciso di sostenere bilateralmente», sottolinea a Vita la Contini, secondo la quale «gli sforzi compiuti dalla Cooperazione italiana sono notevoli, ma insufficienti rispetto ai bisogni enormi di cui necessita la popolazione». In effetti, le risorse ammontano a circa 10 milioni di euro, di cui un milione riservato ai voli umanitari con generi di prima necessità per i campi profughi, due milioni alle ong (Cesvi, Coopi, Intersos, Cosv e Alisei) e 7 milioni investiti nelle agenzie dell?Onu in via multilaterale. Un contesto difficile Al termine di ?perlustrazioni? quotidiane compiute sul terreno, ogni sera, dal suo quartier generale di Nyala, nel Sud Darfur, la Contini rimugina sulla mancanza di fondi destinati dal governo italiano all?Africa: «Prendo atto di una situazione umanitaria che in Darfur fa una fatica tremenda a migliorare. Basti pensare che non lontano da qui c?è un campo profughi dove, nel giro di pochi mesi, gli sfollati sono passati da 60 a 128mila». Stupri, aggressioni, minacce, rapimenti, impunità e discriminazione razziale. Questo, secondo molti organismi di difesa dei diritti umani, il contesto politico e sociale in cui operano gli attori umanitari in Darfur. «Ci sono però delle aperture da parte di Khartoum», precisa la Contini, ferma nel ricordare che «ci giochiamo tutto entro i prossimi sei mesi» e che «molto dipenderà dal processo di pace in Sud Sudan, da quanto faranno per il Darfur il leader ribelle sud sudanese John Garang, Khartoum e la comunità internazionale, tra cui il ministero degli Affari esteri italiano». Viceversa, Kofi Annan sostiene, nel suo ultimo rapporto datato gennaio 2005, che «la stabilità del Sudan sarà subordinata alla pace in Darfur».


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