Sostenibilità
Dare elettricità a tutti: quell’ultimo miglio che sfida le imprese
Nel mondo 1 persona su 5 non ha accesso all’energia e 2 su 5 sono costrette ad utilizzare fonti solide e molto inquinanti anche per i bisogni primari. Il numero di Vita di giugno racconta come imprese, ong e governi stanno operando per risolvere questa emergenza. Antonio Cammisecra, Enel Green Power, spiega come una grande impresa risponde alla sfida dell'elettrificazione rurale
Nel mondo una persona su cinque non ha accesso all’energia e due su cinque sono costrette ad utilizzare fonti solide e molto inquinanti anche per i bisogni primari, come cucinare e scaldarsi. L’accesso universale a servizi energetici affidabili, sostenibili e moderni è uno degli obiettivi che il mondo si è dato per il 2030: con il numero 7 dei Sustainable Development Goals, approvati dall’Onu nel settembre 2015, l’energia viene riconosciuta come la precondizione per lo sviluppo economico ma anche per l’acceso a diritti primari.
Dare elettricità a tutti diventa quindi un obiettivo centrale dei prossimi quindici anni. Una sfida che chiama a raccolta Governi, cooperazione, accademia e imprese, perché al di fuori di questa alleanza virtuosa i tentativi di raggiungere il target sono falliti in partenza. L’Italia ha scommesso su questo approccio, creando la "Piattaforma Nazionale Multiattoriale per Soluzione Energetiche Sostenibili": la progettazione integrata sarà l’imprinting italiano alla sfida dell’energia.
Nel numero di Vita di giugno raccontiamo quello che il sistema Italia sta facendo, tra mini-grid e clean cooking, portando ad esempio un ex macellaio di un piccolo villaggio della Tanzania a diventare il general manager di una impresa sociale a base comunitaria che gestisce un impianto idroelettrico da 300kW e 1.600 connessioni, in zona rurale (è un progetto della ong Acra), distribuendo 15mila stufe migliorate a famiglie del Mozambico (Avsi) o testando soluzioni adatte a cucinare nei campi profughi (Coopi), garantendo la sostenibilità dell'ambiente e la salute delle persone. Ad Antonio Cammisecra (in foto), responsabile Business Development di Enel Green Power, la divisione energie rinnovabili di Enel, abbiamo chiesto come la sfida di portare luce a tutti interpella una grande azienda.
Fra i Sustainable Development Goals ce n’è uno – ed è la prima volta – specificatamente dedicato all’accesso universale a un’energia sostenibile e pulita. Cosa dice a Enel questo fatto?
Dice moltissimo. Siamo nati proprio per questo scopo, seppure in un’epoca diversa e in un contesto diverso. L’Italia degli anni ‘60 non è paragonabile ai Paesi emergenti, ma anche lì il nostro sforzo è stato quello di dare a tutti, indipendentemente dal reddito, un accesso pieno e di farlo bene, rapidamente, valorizzando l’ambiente. È qualcosa che sappiamo fare perché veniamo da lì. Oggi è chiaro che la sfida si declina in un altro modo, le tecnologie si sono evolute, le dinamiche della globalizzazione comportano rischi e opportunità, ma Enel oggi può certamente rappresentare una risorsa in questa direzione, insieme ad altri.
Da poco è stato dato l’annuncio che RES4Med diventa RES4Africa. Perché?
RES4Med nasce dalla volontà di Enel di aggregare profit e soggetti istituzionali per l’integrazione elettrica e la cooperazione tra la sponda settentrionale e meridionale del Mediterraneo; una sfida che ha prodotto risultati interessanti. Noi non eravamo in nessun Paese, oggi siamo in fase di investimento in Marocco e in Egitto e stiamo studiando l’ingresso in Tunisia e Algeria. Tutta questa attività di promozione, studio e cooperazione ci ha facilitato. Ora il passaggio naturale è a RES4Africa, l’obiettivo come azienda è operare su scala continentale e siamo già impegnati in tanti Paesi. È un buon esempio di cooperazione tra profit e non profit, cooperiamo con Centri di ricerca per gli aspetti tecnologici e proviamo a tradurre in investimenti e infrastrutture concrete quello che nella ricerca si ferma allo stadio teorico o sperimentale. Ovviamente i Governi sono la nostra controparte naturale, in questo settore non si può partire senza una volontà politica. Non siamo una industria depauperativa, abbiamo la fortuna di operare in un settore che genera valore per le comunità locali, usiamo vento, sol, acqua e calore della terra e l’energia viene utilizzata per lo sviluppo. Noi produciamo energia per il mercato locale, dove “locale” va contestualizzato: la nostra aspirazione massima è produrre per il contesto territoriale in cui operiamo, se c’è un impianto eolico in una determinata provincia del Kenya, la nostra ambizione è che la produzione generi sviluppo lì. Storicamente consumo e produzione non erano sovrapponibili perché si produceva con megacentrali in pochi luoghi, ma le rinnovabili sono una novità anche in questo senso. Oggi la produzione è più distribuita ed è più logico pensare che produzione e consumo possano avvicinarsi.
L’Africa è il continente del paradosso: ha moltissime fonti energetiche anche in termini di rinnovabili – acqua, sole, vento – ma è il continente al buio. Perché?
La velocità con cui le tecnologie che utilizzano fonti rinnovabili hanno ridotto la dipendenza dai combustibili fossili e sono diventate competitive è in parte la risposta a questa preoccupazione. Chi come noi pianifica l’elettrificazione attraverso le rinnovabili lo fa non solo per l’ambiente ma anche per ragioni di competitività economica: oggi il costo dell’energia da fonti rinnovabili è inferiore e più stabile nel lungo termine.
L’Africa pone in maniera fortissima il tema dell’ultimo miglio. Come si pone Enel rispetto a questo problema?
Enel è anche distribuzione, non perderà mai l’entusiasmo per l’ultimo miglio. Senza l’ultimo miglio non esiste il cliente consumatore. Ci sono tante modalità per arrivarci: la distribuzione su scala regionale e metropolitana oppure, oggi, grazie alle rinnovabili la possibilità di costruire delle micro-grid per poche abitazioni. Siamo impegnati anche in questo, nelle zone rurali del Cile, del Perù e del Kenya ad esempio, mettendo insieme sostenibilità e tecnologia spinta, appoggiandoci sul mobile come mezzo di pagamento. Mini e micro-grid sono il fronte su cui ci stiamo impegnando, ma stiamo anche finanziando studi interessanti. In alcune zone del Kenya abbiamo fornito un dispositivo per l’illuminazione abbinato a un pannello solare. Aver dato una disponibilità di 2 ore luce a notte ha fatto migliorare significativamente i risultati scolastici dei ragazzi, le mamme hanno potuto fare piccoli lavori, le famiglie hanno risparmiato sul costo del cherosene. Questa soluzione consente alle famiglie di restare nel luogo in cui sono nate e dove vorrebbero crescere i propri figli; una soluzione interessante anche per combattere il fenomeno dell’inurbamento.
Avete il know how, da parte dei governi locali c’è molto interesse, cosa manca?
Ci manca la dimensione locale, l’avere la conoscenza diretta di tante piccole necessità locali. La relazione con il non profit può consentirci di avere accesso a questa conoscenza, noi poi possiamo portare la risposta concreta alle specifiche esigenze. Certo per operate in mercati in evoluzione bisogna avere resilienza, sagacia, pazienza… Questi Paesi hanno delle difficoltà, a cominciare dalla trasparenza, ma in cambio offrono una dinamica di crescita demografica ed economica sconosciuta ai mercati maturi, quindi da parte nostra c’è molto entusiasmo, abbiamo la sensazione di contribuire al progresso di un Paese, la consapevolezza di creare un volano positivo per lo sviluppo economico e sociale. Questo crea motivazione e senso di responsabilità.
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