Mi sono sempre chiesto perché li chiamano gli angeli del fango, gli angeli del terremoto, gli angeli della strada, gli angeli degli ospedali. Che poi angeli ce li chiamano da vivi. E no perché poi quando stanno qui non ci hanno mica le ali. Anzi: scarponi pesanti ben piantati a terra e via andare a soccorrere. Di loro, pochi pensano al cielo. Anzi, forse nessuno. C’è la terra e ci sono le persone. E ogni tanto tutti giù per terra. E loro, quelli che gli altri chiamano gli angeli solo quando serve, arrivano e si danno. Ma quando se ne vanno, dove vanno?
Che poi, dico io, quando le persone li vedono arrivare è che ci hanno bisogno e non è che stanno a guardare se hanno le piume. Però li chiamano gli angeli lo stesso. Qualcuno, quando li vede arrivare dice pure: Arrivano i nostri. Perché in effetti sono i nostri. Sono il nostro elettricista, il nostro pilota, l’architetto che ci risistema la casa, il panettiere che ci scalda il pane, il nostro deejay, il nostro commercialista, il fisioterapista che ci risistema i muscoli. E quando qualcosa non va, arrivano. E danno. Poi qualcuno dei nostri però se ne va. E gli stadi non fanno i minuti di silenzio.
C’era Giacomo che mi diceva che si impara dopo. Che quando ti vengono a prendere ti accorgi cos’è il volontariato, e mentre lo diceva, col pollice indicava l’ambulanza dietro di lui. C’era Giovanni che mi riempiva sempre il piatto quando passavo di fronte alla sua cucina, a Villa Sant’Angelo dopo il terremoto. Che poi faceva passare sempre noi e poi tutti gli altri, i vigili, i poliziotti… Li faceva mangiare tutti, per carità, però ci eravamo sempre prima noi. C’era Fiorenzo che era uscito dai calcinacci in Irpinia quando era piccolo e da lì le emergenze se le è fatte tutte. Ma proprio tutte eh. E poi Fiorenzo era diventato proprio grande, e grosso. Poi c’era Angelo. O meglio: i baffi di Angelo, altro che ali. E i baffi di Angelo prendevano sempre il volo all’insù perché rideva sempre, e rideva come Giorgio.
Poi ci sono tutti quelli che non ho conosciuto. Che però poi alla fine sono sempre dei nostri. E non perché ci hanno la divisa del colore che ci ho pure io. L’altra sera, a Genova, al porto, c’era Daniele, della Croce Bianca d Rapallo. Che era uno dei nostri. Daniele, Giacomo, Fiorenzo, Nicolino, Angelo, Giovanni, Giorgio, erano regali. Re. Regali a quelli che quando li vedevano dicevano che arrivavano gli angeli. E invece erano solo i nostri. Perché davano sé e dare è da re. E quando se ne vanno, le persone se ne accorgono che se n’è andato uno dei nostri. Solo che non li chiamano più gli angeli.
Che poi loro ce lo dicevano facendo quello che facevano, anche senza le ali, che sono sempre i migliori quelli che si danno.
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