Non profit

Dare credito alla realtà

Editoriale

di Giuseppe Frangi

Dai giorni di Educa, la cui seconda edizione si è tenuta dal 24 al 27 settembre a Rovereto, mi sono segnato quest’immagine: Carlin Petrini (una delle 50 persone che secondo il Guardian, stanno lavorando alla salvezza del pianeta) contento per aver inaugurato l’orto scolastico della scuola elementare Gandhi. Un guru noto a livello mondiale contento per aver tagliato il nastro ad un orticello in quel di Rovereto? In un’ottica normale, qualcosa non torna. Eppure in quel piccolo fazzoletto di terra, nella semplice cerimonia che lo ha festeggiato si nasconde un principio potente. È il principio della concretezza e della prossimità. Che un bambino torni a mettere le mani nella terra, che veda con i suoi occhi come la natura produce il cibo che lo sfama, che si emozioni davanti a quei regali inattesi sbucati dalle zolle, è un fatto di per sé piccolo, circoscritto. Eppure dobbiamo chiederci se un cambiamento vero può mettersi in atto, prescindendo dalla concretezza di piccole esperienze come questa o come mille analoghe possibili.
Fa bene Carlo Petrini a credere che ogni orto inaugurato in una scuola sia un piccolo presidio di umanità che viene riconquistato e garantito. Al di là del contenuto della sua proposta, è giusto (ed educativo) il suo suggerimento di metodo: ripartire dal reale. Anzi, dal particolare.
È un know how questo che è nel bagaglio del volontariato e del non profit, che come ben sappiamo vivono di rapporti di prossimità e di relazioni. Ma a volte si avverte come una tentazione di considerare quel know how come un dato di fatto acquisito, una routine scontata a cui bisogna poi fornire il cappello di un’autorevolezza culturale. Sembra che ci sia quasi uno scetticismo di fronte all’esperienza, come se non potesse scaturire da lì il giudizio, la capacità critica, l’intelligenza sul reale.
E così inconsapevolmente si rischia di finire irretiti da un pensiero omologante, che mette le categorie morali davanti all’amore per la realtà.
Invece è dal rapporto gomito a gomito con la realtà che si genera una coscienza libera, in grado di cambiare le cose. Ma questa opzione, per quanto semplice, è molto destabilizzante per il potere, quello con la “P” maiuscola. Perché ha un’irriducibilità e genera una passione che sono difficili da governare. Proprio in questi giorni è uscito anche in Italia un bellissimo libro di un pensatore arabo, convertitosi dall’ebraismo al cattolicesimo. Si chiama Fabrice Hadjadj. Nel suo libro abbiamo trovato questo pensiero, che spiega con efficacia e grande chiarezza in cosa consiste la partita tra la realtà e i principi che vorrebbero “possederla”. «La Bibbia ordina di amare il proprio prossimo. Vicino e lontano sono determinazioni del tatto, più che della vista o dell’udito: posso vedere o udire una cosa a distanza, ma essa mi è vicina solo quando posso raggiungerla o esserne raggiunto. Il prossimo è dunque Edmond, che vorrei prendere a schiaffi, oppure Roland, che ha l’alito pesante. Niente a che vedere con l’amore dell’umanità o la difesa dei diritti dell’uomo, che conducono a lotte igieniche e inoffensive. La filantropia si accontenta di una foto e manda un assegno, la carità esige la prossimità fino al pugilato».

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