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Daniele Novara: quando dissi “Signorno”
Il 15 dicembre 1972, esattamente 50 anni fa, con la legge Marcora l'Italia apriva all'obiezione di coscienza al servizio militare. Gli obiettori di coscienza sono stati 500mila e ben 1,2 milioni i giovani che dal 1972 hanno dedicato almeno un anno di vita alla cittadinanza attiva. Uno di loro è Daniele Novara, pedagogista, che oggi il servizio civile lo vorrebbe obbligatorio perché «la difesa della patria è curare tutto ciò che ci fa vivere bene»
Il servizio civile, fosse per lui, sarebbe obbligatorio per tutti i giovani d’Italia. Per una questione educativa, di crescita delle persone prima che per contribuire alla coesione sociale del Paese: «Per uscire dal perimetro della famiglia, incontrare la realtà, mettersi a disposizione, restituire un po’ di quanto hanno ricevuto. È un antidoto al narcisismo che i ragazzi oggi hanno, abituati come sono a specchiarsi nei social». Daniele Novara, classe 1957, pedagogista e fondatore del Cpp-Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, è stato un obiettore di coscienza.
Perché fece quella scelta?
Iniziai il servizio civile nel 1981, avevo 24 anni, con Pax Christi. All’epoca la legge era punitiva e penalizzante, invece di 12 mesi bisognava fare 20, con un sacco di controlli. Molti ragazzi venivano respinti per motivi futili, per esempio perché erano stati trovati con un coltellino svizzero in tasca a 15 anni: ma per la legge l’obiezione di coscienza era innanzitutto rifiuto delle armi. Io lo scelsi perché ero stato conquistato dalla Lettera ai giudici di don Milani, un capolavoro assoluto contro la guerra e il militarismo, che demolisce tutti i miti della vittoria, della guerra giusta, dell’eroismo… In quegli anni la pace era il primo desiderio dell’opinione pubblica, in particolare dei giovani: c’erano manifestazioni partecipatissime, le campagne contro le bombe nucleari, Comiso… Mi appoggiai a Pax Christi, con monsignor Bettazzi. Qui a Piacenza, con altri giovani in servizio civile, fondammo la prima casa di accoglienza per giovani tossicodipendenti e poi una seconda casa famiglia per ragazzi disperati. Io a 24 anni ero il più grande. È stata un’esperienza molto bella e molto dura, vivevamo fianco a fianco con giovani drop out e davvero la sera quando andavi a dormire davvero non sapevi se la mattina dopo ti saresti svegliato vivo. Portai nella nostra casa anche Danilo Dolci.
Qual è il segno indelebile che le ha lasciato quell’esperienza?
Il coraggio di coinvolgersi personalmente con gli ultimi, allora si diceva così, anche quando questo ha un prezzo. Questo spirito di libertà che ho ancora, ovviamente non con l’enfasi dei vent’anni, che si fonda sulla consapevolezza delle proprie risorse, scoperte proprio nel mettersi alla prova. E la vita comunitaria, con gli altri obiettori: per me, figlio unico, il servizio civile fu anche l’occasione straordinaria per uscire di casa. Oggi anche di questo c’è un gran bisogno.
Perché lo consiglia ai giovani, oggi?
Dal punto di vista pedagogico, il servizio civile porta con sé il tema di uscire dalla dipendenza stretta dal nucleo familiare, per mettersi a disposizione della società. È un “periodo cuscinetto” tra l’adolescenza e l’essere adulti, in cui ti costruisci come persona: il bambino riceve per definizione, con il servizio civile invece inizi a restituire qualcosa del tuo debito. Una persona adulta deve essere consapevole di aver ricevuto tanto e gratuitamente, se no tutti pretendono e basta. È un antidoto al narcisismo che i ragazzi oggi hanno, abituati come sono a specchiarsi nei social, costretti a dover apparire e primeggiare, con una visibilità esasperata. Nel servizio civile tu ti metti nelle retrovie, lontano dalla ribalta, ma è lì che devi cercare di dare il meglio di te.
Chi ha fatto servizio civile, cosa ha in più?
Ha incontrato il bisogno degli altri, si è formato in un atteggiamento di ascolto e di condivisione, non solo di opportunismo o di interesse personale. Qui non stiamo parlando di fare un’ora di volontariato alla settimana, ma di stare tutti i giorni, per molti mesi, immerso in una realtà particolare: per forza questo ti cambia. La parola chiave del servizio civile è condivisione, una parola che i ragazzi oggi frequentano poco, non per colpa loro. Fare questa esperienza ti fa capire non solo che gli altri hanno bisogno di te ma anche che tu hai bisogno degli altri. Per questo penso che un periodo di servizio civile dovrebbe essere obbligatorio per tutti i ragazzi e le ragazze d’Italia, altro che questa mini naja di cui si torna a parlare. E per questo invito i giovani che vivono questa esperienza a non restare in superficie, ma a mettersi in gioco fino in fondo, a cominciare dalla convivenza con gli altri giovani. Mi sembra importante però avere un’accortezza, nel promuovere il servizio civile e nel parlare di esso.
Quale?
Ricordare che il servizio si può fare in tanti ambiti e che ogni giovane ha la sua attitudine e la sua sensibilità: non creiamo un immaginario sacrificale ed eroico… Per esempio l’ambiente, ai miei tempi c’era poco o niente, mentre oggi è importantissimo.
Il servizio civile non è solo una questione di restituire o di contribuire a dare dei servizi ai più fragili, ma un altro modo di difesa della patria. Vale ancora?
Ma certo, è la difesa non armata della patria, la difesa popolare nonviolenta come si diceva ai miei tempi. Restiamo all’esempio dell’ambiente: il servizio civile è difesa della tua terra, letteralmente. Il punto è che la difesa della patria non è preparare la guerra ma preparare tutto ciò che serve per vivere bene, insieme.
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