VITA30, i protagonisti

Daniele Novara: «L’educazione è una cura»

Daniele Novara, pedagogista e fondatore del Cpp, ci accompagnerà nella riflessione su "Come educheremo?". Un degli appuntamenti più attesi della due giorni organizzata per i 30 anni di VITA alla Fabbrica del Vapore di Milano (25 e 26 ottobre). Dal conflitto agli smartphone, dal fastidio che la società ormai prova per i bambini alla tentazione di medicalizzare tutto ciò che in loro ci disturba, ecco alcune delle sfide che ci attendono

di Sara De Carli

A casa mia i libri di Daniele Novara li ho sempre visti. Tutti in fila, riempivano un ripiano della libreria di mamma, insegnante. Dalle pagine spuntavano decine e decine di foglietti, per ritrovare al bisogno i passi più utili. Così quando nel novembre 2015, pochi giorni dopo l’attentato al Bataclan di Parigi, mi ritrovai a intervistarlo su come parlare di terrorismo ai bambini ero emozionata. Da allora Daniele Novara, con le sue osservazioni acute e la sua verve spumeggiante, è un compagno di strada di VITA sui temi dell’educare e delle relazioni tra genitori e figli. Proprio a lui quindi, in occasione dei 30 anni di VITA, abbiamo chiesto di aiutarci a immaginare “come educheremo”.

L’appuntamento è per sabato 26 ottobre alle ore 9,30 alla Fabbrica del vapore (qui il programma e il link per prenotarsi), in un appuntamento realizzato in collaborazione con Fondazione Bracco. Con Daniele Novara, pedagogista e direttore Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti (CPP) di Piacenza dialogheranno Rachele Furfaro, fondatrice della scuola paritaria “Dalla parte dei bambini” di Napoli e Roberta Vincini, presidente del Comitato Nazionale Agesci. La provocazione da cui partiremo sarà la necessità di superare quel gap che oggi come mai prima nella storia ci rende le nuove generazioni un “oggetto sconosciuto”.

Daniele Novara non ha bisogno di grandi presentazioni. Tutti, per esempio, abbiamo letto nei giorni scorsi della petizione che ha scritto insieme ad Alberto Pellai per chiedere di vietare lo smartphone fino a 14 anni e i social fino a 16 anni: mentre scriviamo ha superato le 63mila firme. L’anno scorso un’altra petizione aveva raccolto 8mila firme per fermare la reintroduzione dei giudizi sintetici alla primaria (che invece poi c’è stata).

Dalla parte dei genitori

Nato a Piacenza nel 1957, pedagogista, counselor e formatore, nato e cresciuto in una famiglia «estremamente conflittuale», come ha raccontato in Nessuno si educa da solo, il libro in cui ripercorre la sua «vita da pedagogista», Novara nel 1989 ha fondato il CPP di cui è tuttora direttore, ha scritto più di 50 libri (di cui molti tradotti all’estero, fra cui anche Russia e Cina) e ha elaborato dispositivi, tecniche, metodi e concetti innovativi nati dalla pratica quotidiana del lavoro pedagogico, dell’apprendimento e della gestione dei conflitti, che nel loro complesso formano il “Metodo Daniele Novara”.

Le sue Scuole Genitori sono sempre affollatissime, il Convegno annuale del CPP è un evento che viaggia stabilmente sopra le mille presenze. Daniele Novara affabula e coinvolge, ma colpisce e affonda. In una delle prime interviste che gli feci, per dire, citò Piaget e subito precisò sarcastico «che non so se lo sa, ma non è quello degli orologi»: mi salvai grazie alle reminescenze dell’esame di psicologia dell’età evolutiva.

Il lascito del “Signorno”

Ti fa sorridere di te stesso e dei tuoi errori, sì, ma intanto quegli errori te li dice chiari in faccia. Come genitori, come insegnanti, come educatori, come adulti… stiamo sbagliando tutto? Sì, ma mentre te lo dice si capisce che non sta colpevolizzando: sta amando. Sta amando i bambini e gli adolescenti che si ritrovano con genitori spaesati, ma sta amando anche noi genitori sperduti (non a caso il convegno annuale del Cpp del 2019 lo intitolò “Dalla parte dei genitori”).

Spiega, fa esempi che dimostrano quando da vicino conosca la quotidianità delle nostre famiglie e della nostra scuola, getta sassi e crea onde che si allargano. Da tutta la vita si prende la libertà di dire cose scomode (non per nulla fu uno dei primi obiettori di coscienza d’Italia, come ci ha raccontato qui, spiegando che quell’esperienza gli ha lasciato «il coraggio di coinvolgersi personalmente con gli ultimi, allora si diceva così, anche quando questo ha un prezzo») ma in quella scomodità riconosciamo la durezza della verità.

Ecco allora una piccola e arbitraria antologia del suo pensiero. Vi aspettiamo alla Fabbrica del Vapore sabato 26 ottobre!

L’infanzia non è una malattia né una colpa

«I bravi bambini rompono sempre le scatole. Sì, perché sono bambini», afferma Novara. «I bambini devono poter fare i bambini, la realtà del loro mondo è fatta di pensiero magico, libertà, movimento, natura, stare con animali, scherzare, dire bugie… tutte cose che gli adulti non sopportano più. Ma il bambino è questo, è la diversità per antonomasia, è ontologicamente diverso dall’adulto e questa diversità non è solo il bello del bambino ma è ciò che gli consente di imparare e crescere. Se gli togliamo la diversità, il bambino non riuscirà più a imparare». Leggi qui.

Le malattie dell’educazione

Novara è stato uno dei primi a denunciare il “boom” delle diagnosi di disturbi specifici dell’apprendimento e l’eccesso di medicalizzazione a cui scuola e famiglia oggi tendono. Se c’è un problema con un bambino, subito lo si invia a un neuropsichiatra, senza step intermedi. La convinzione di Novara è che non tutto ciò che ci “disturba” è patologico e che non tutti i problemi che un bambino presenta devono essere tradotti in chiave medica: molto potrebbe fare l’educazione. «Solo che nessuno – né i genitori né gli insegnanti – di pedagogia sa più nulla, abbandonati a loro stessi, ai siti, ai blog, ai sentimenti. I bambini stanno pagando le conseguenze della mancanza di riferimenti educativi e pedagogici. Se i basilari dell’educazione non vengono rispettati, si mettono i bambini nei guai. Dobbiamo aiutare i genitori – oggi sono loro l’anello più debole – a fare i genitori e ricordarsi che il loro compito principale è quello educativo». Leggi qui.

Litigare fa bene (e dobbiamo imparare a farlo)

Quello del litigare bene è da più di dieci anni proprio un metodo codificato, che usano anche in Cina. «C’è l’idea che il bravo cittadino, come il bravo bambino, sia accondiscendente, sufficientemente conformista e capace di adattarsi ad ogni situazione. Non è così. Il conflitto è un pezzo della collaborazione, non puoi collaborare se non entri in conflitto, perché è il conflitto che ti permette di capire le ragioni dell’altro», afferma Daniele Novara. In una società sempre più litigiosa e plurale, la competenza conflittuale è diventata cruciale. Come si fa? «Bisogna focalizzarsi sugli interessi delle parti, invece di arroccarsi sul posizionamento». Vale per i bambini, vale per la società. Le due anime di Novara qui si sono felicemente incontrate. Leggi qui, qui e qui.

Il ruolo dei padri

È uno dei temi che sollevano sempre un polverone, ma qualcuno dovrà pur dirlo: “Mamme, lasciate che i papà facciano i padri”. Tecnicamente si chiama “convergenza educativa sul padre in adolescenza” e significa che mentre durante tutta l’infanzia, fino ai 10 anni, le mamme hanno un ruolo prevalente nella gestione dei figli (non perché giochino da sole ma perché giocano d’attacco), ecco che nell’adolescenza arriva il tempo del padre e del codice paterno. A questa età le funzioni di accudimento materno si sono esaurite e mantenerle troppo accentuate è dannoso. Ma le mamme, in linea di massima, faticano a lasciare spazio ai padri. «Ho parlato tante volte della profonda crisi dei maschi, oggi, in educazione. I padri devono essere sostenuti e incoraggiati. È un compito comune quello di liberarci dal patriarcato, ma non ci si libera del patriarcato trasformando il padre dei tuoi figli in un papà peluche», dice Novara. «È come se ci fosse un rancore nelle madri verso il patriarcato, che dal punto di vista storico è legittimo ma che non è legittimo per i ragazzi che invece hanno bisogno di un padre e non di vivere da orfani con un padre perennemente seduto in panchina che aspetta – da parte della madre – una chiamata che non arriva mai». Leggi qui.

Quando l’infanzia è un peso da cui liberarsi

La pedagogia non riguarda solo l’educazione dei bambini. Serve anche a noi adulti. «La grandissima maggioranza delle persone adulte non ha solo dei nodi irrisolti con la propria infanzia, ma ha dei veri e propri inceppamenti. Se le persone si occupassero maggiormente della propria infanzia starebbero meglio e sarebbero più felici. Però attenzione: non si tratta tanto di guardare indietro, di lagnarsi, di usare ciò che abbiamo vissuto come alibi… quanto di fare il sorpasso. Io uso la metafora dello specchietto retrovisore: il guardare indietro serve per andare avanti e superare i blocchi educativi ricevuti nell’infanzia. È un atto liberatorio, un’occasione di crescita per prenderci cura di noi stessi e della nostra autenticità», spiega Novara. Ecco quindi il lavoro sul copione educativo, quel vestito che i genitori ci hanno cucito addosso. Perché «il proprio copione educativo uno può subirlo oppure può provare a ribellarsene oppure può padroneggiarlo consapevolmente, per essere se stesso ed evitare di fare «la vita degli altri». Leggi qui.

Segui l’appuntamento con Daniele Novara, Rachele Furfaro e Roberta Vincini nella sessione di sabato 26 ottobre (ore 9,30) dedicata a “Come educheremo”. Per prenotarsi alla sessione, clicca qui

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