Formazione

Daniel, storia di un clandestino sbarcato in Sicilia

La testimonianza (da brividi) raccolta da Medici senza frontiere

di Stefano Arduini

“La storia che vorrei raccontare comincia nel settembre del 2002. Vivevo nel sud della Liberia. I ribelli reclutavano nei villaggi gente da mandare a combattere contro l’esercito. Io rifiutai. In quel momento cominciò il mio dramma. Dal dicembre 2002 a circa due mesi fa, i ribelli hanno ammazzato mia moglie, le mie due bambine, mio fratello, mio padre. Quando ho perso le tracce di mia madre e della mia sorellina di 10 anni, sono fuggito. Ho cercato scampo in Sierra Leone prima, poi in Guinea, ma i confini erano chiusi. Allora, circa un mese e mezzo fa, ho preso la prima barca disponibile e, con altri compagni di fuga, mi sono recato al largo, dove siamo stati fatti salire su un peschereccio turco. Non so quanto abbiamo navigato. Quello che so è che la mia era una delle quattro o cinque barche sulle quali ci eravamo imbarcati in molti. Navigavamo a vista. Ma siamo arrivati solo noi, solo la mia barca. Non so che cosa sia stato degli altri. So solo che, nel Mediterraneo, a un certo punto abbiamo visto tanti cadaveri in mare. Poi non abbiamo visto neanche più loro. Siamo arrivati in Turchia, e da lì ci siamo imbarcati di nuovo su piccole barche, poi su un mezzo più grande che ci ha raccolti e ci ha portati in Italia. Solo quest’ultimo viaggio è durato più giorni, almeno dieci”. La testimonianza di Daniel (non è il suo vero nome), un gigante d’ebano di 26 anni, è stata raccolta ieri a Pozzallo (RG), dove sono sbarcate 100 persone in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni. Con Daniel sono arrivati a Pozzallo, intorno alle 12,40 di ieri, provenienti dall?ormai oberato Centro di permanenza temporanea (Cpt) di Lampedusa, altri 74 liberiani oltre a 13 iracheni, sei ghanesi, cinque nigeriani, più un ragazzo proveniente dalla Costa d?Avorio. Dei 100 sbarcati, 17 erano donne. Quattro i minori: un ragazzo nato nel luglio 1985 (dunque, quasi maggiorenne), una ragazza del 1987, una bimba di cinque e un?altra di sette mesi. Tutti sono richiedenti asilo politico. Sono arrivati trasportati dalla Guardia Costiera e sono stati ospitati nei magazzini della Dogana del porto di Pozzallo, come sempre dotati di pochi bagni e di materassi non puliti. Lo staff di Medici Senza Frontiere li ha visitati e assistiti mentre le forze dell?ordine li identificavano uno ad uno prendendo le impronte digitali. Alcuni sono stati curati. Tutte e 97 le persone giunte oggi a Pozzallo fuggono da Paesi in guerra o nei quali è facile rimanere vittime di persecuzioni per ragioni di religione, schieramento politico, appartenenza etnica. Colpisce, però, soprattutto il dato relativo ai cittadini liberiani, tutti giovani e tutti in fuga da un Paese instabile, in preda a una spaventosa anarchia, uscito solo la scorsa settimana da uno dei momenti più tragici della sua storia recente, comunque di sangue, con centinaia di migliaia di persone asserragliate nel centro della capitale Monrovia, senza acqua né cibo, sotto l?assedio dei ribelli del Lurd e della pioggia battente. Se lo Stato italiano decidesse, in virtù del regolamento attuativo della legge Bossi-Fini, dato per imminente, di respingere esseri umani come Daniel prima del loro ingresso nelle acque territoriali italiane, non solo commetterebbe un crimine contro l’umanità non riconoscendo aiuto a chi, in mare, si trova ormai alla deriva, stipato in barconi che imbarcano acqua, sotto il sole cocente, ma costringerebbe bambini, donne e uomini in fuga dal massacro della guerra e dalle persecuzioni a tornare laddove li aspettano morte e sofferenza. Medici Senza Frontiere non vuole che questo possa accadere e chiede al governo di ponderare con coscienza il contenuto del regolamento di prossima uscita, onde non condannare chi fugge dalla guerra a morte sicura e il popolo italiano a guadagnarsi la fama di popolo inospitale e chiuso alle istanze umanitarie. Medici Senza Frontiere si augura che il governo italiano, da subito, cambi orientamento ed investa più fondi nell?accoglienza di persone che, dipinte come barbari all’assalto del nostro Paese, altro non sono che esseri umani alla ricerca di una protezione che il loro Paese non vuole riconoscere o che, addirittura, contribuisce attivamente e tragicamente a erodere e negare.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA