Economia
Dallo storytelling allo story-making: i valori di marca nel rilancio dei consumi
Gran parte del mondo delle aziende ha capito che deve integrare non solo nel suo discorso, quindi nella sua narrativa, ma anche nel suo story-making, che è l’agito del racconto, una tensione sociale forte. Le imprese, ci spiega Andrea Fontana in questa intervista, «hanno il grande compito di ricostruzione della socialità, del valore economico, della comunità in senso lato»
di Marco Dotti
«Nulla sarà come prima» è una frase diventata luogo comune. Eppure, dopo la crisi innescata dal Covid-19, in questo luogo comune c'è davvero tanta verità. Se ne sono accorte le imprese che, sensibilissime, hanno iniziato a cambiare le proprie strategie narrative e le forme della esponsabilità sociale.
Ne parliamo con Andrea Fontana, tra i più attenti e acuti osservatori di questa realtà. ,Sociologo della comunicazione, Premio Curcio alla cultura 2015 docente di Corporrate Storytelling all’Università di Pavia e Presidente Storyfactory, Fontana è anche autore di un libro che, uscito a febbraio, ha anticipato tempi e movimenti del presente: Ballando con l'apocalisse. I nuovi cittadini, i nuovi brand, i nuovi mondi nell'era dei cambiamenti catastrofici (ROI Edizioni, 2020).
Che cosa è successo e che cosa sta succedendo? A che punto è la notte?
Si sta verificando un cambiamento di paradigma enorme. Fino al febbraio 2020 i racconti di marca e anche i comportamenti delle aziende erano improntate su potere, forza, divertimento, viaggio inteso in senso esplorativo, scoperta di sé. Si operava tramite un dualismo forte. Tutti ricordiamo pubblicità di questo tipo e racconti di marca che ponevano al centro persone impegnate in un viaggio alla scoperta di sé e alla scoperta del mondo. Prodotti e servizi venivano offerti ad un pubblico che vi riconosceva un’identità collettiva.
Questa identità collettiva, fondata sullo scambio, è venuta meno?
Nella fase più acuta della pandemia è cambiato il passo. Nei racconti aziendali hanno cominciato ad apparire i temi della cura, della gentilezza, della reciprocità, della comunità, i temi delle persone che fanno la comunità (divisi ma uniti), la prudenza. Pensiamo: quando mai la prudenza o altre call to action di questo tipo erano state introdotte nel racconto di marca? Un altro tema introdotto è stato la gratitudine, tema su cui Oscar de Montigny sta portando avanti una bella e importante riflessione. C’è stato, dunque, un radicale cambio di narrativa. Che ancora è in corso.
Le imprese sono state trattate, negli anni scorsi, come soggetti predatori. Oggi, al contrario, appare chiaro che le imprese in senso lato (imprese aziendali, imprese sociali, imprese individuali, etc. ) hanno il grande compito di ricostruzione della socialità, del valore economico, della comunità in senso lato. Sono e devono essere soggetti attivi e attivatori di qualità
Andrea Fontana
Siamo entrati dunque in una nuova fase. Qual è la sfida che ci si presenta?
La grande sfida dei prossimi dodici, ventiquattro mesi sarà capire come conciliare questi elementi: la narrazione pre-Covid, la narrazione durante Covid e la narrazione post-Covid o futura. Con una precisazione: quando parlo di narrazione futura penso a una narrazione che si faccia carico di gestire le conseguenze del Covid-19. Una narrazione che sappia conciliare successo con fragilità, individualismo e comunità, forza e potere con cura e gentilezza. Sarà una bella sfida per comunicatori, brand manager, marketers. Non solo “civic brand” come qualcuno suggerisce, ma “destiny brand”, cioè marche che sappiano costruire nuovi destini di vita.
Il mondo delle aziende sembra sempre più ibridarsi con temi che, negli anni scorsi, erano appannaggio dell’universo non-profit…
Sono in corso vari tentativi di conciliare questi due mondi, forse più da parte delle aziende in verità…
… nei mesi più bui, il corporate activism è stato una realtà molto tangibile, inevitabilmente questo si è ripercosso sulla loro identità narrativa…
L’ibridazione è in corso, gran parte del mondo delle aziende ha capito che deve integrare non solo nel suo discorso, quindi nella sua narrativa, ma anche nel suo story-making, che è l’agito del racconto, questa tensione sociale forte. Questo fanno i “destiny brand”. In Italia e nel mondo abbiamo visto aziende che, nel pieno della crisi del Covid-19, hanno cercato di essere connettori con la società e con la comunità di riferimento. Al di là del business, del prodotto per se stesso o del servizio.
Il tema della comunità quanto è importante?
Quello della comunità sarà un tema enorme che investirà il nostro futuro. Cambierà anche la percezione che abbiamo della comunità. Vedremo come, perché il tema è aperto, ma è successa una cosa importante che ci dobbiamo ricordaretutti: nei due mesi più forti della pandemia, 3-4 miliardi di persone sono state volontariamente chiuse in casa per proteggersi a vicenda. Al di là di credi religiosi, ideologici, opinioni personali.
A livello planetario abbiamo visto qualcosa di inedito, una comunità globale di esseri umani che si è unita per darsi conforto e proteggersi con questo gesto volontario e pacifico. Credo che per ragionare su nuovi modi o nuovi significati della parola “comunità” occorra partire da questo: 4 miliardi di persone, al di là delle loro differenze, si sono unite per uno scopo e un bene comune. Per la prima volta siamo di fronte a una civiltà stellare. Una civiltà stellare intesa come un pianeta unito che può entrare a far parte di una comunità ancora più ampia rispetto al semplice pianeta terra. In questi due mesi, l’umanità si è dimostrata capace di una fraternità universale.
Da un lato assistiamo a queste prove generale di comunità, dall’altro c’è il tema del distanziamento fisico…
Le narrazioni di marca seguono i comportamenti sociali e viceversa. Sono cambiate le cose e le marche non possono non tener conto di questa dimensione. Ovviamente, siamo entrati in una nuova fase rispetto a quella della crisi più acuta quindi va cercata una narrazione coerente con la realtà sociale anche rispetto a questo ulteriore passaggio.
Ma non sta cambiando solo la comunicazione. Sta cambiando anche l’emotività sociale e le marche saranno chiamate a riconnettersi non solo con i nuovi bisogni di consumo e con le nuove priorità, ma anche con le nuove emozioni che sono un mix inedito di paura, gioia, speranza e timore. Non c’è più il bianco distinto dal nero, ma una ricombinazione che, ogni volta, dobbiamo sondare: dalla prudenza all’ottimismo più curioso.
Credo che per ragionare su nuovi modi o nuovi significati della parola “comunità” occorra partire da questo: 4 miliardi di persone, al di là delle loro differenze, si sono unite per uno scopo e un bene comune
Andrea Fontana
Questo apre il campo anche alla raccolta del dato…
Raccolta che, prima, poteva essere atteggiamento retorico. Oggi è un atteggiamento strategico, perché l’ascolto è diventato cruciale. Chi non ascolta le emozioni che i pubblici stanno vivendo è fuori dal mondo e dalla connessione che può generare con gli altri. Oggi i prodotti li acquistiamo anche e soprattutto rispetto al vissuto e alle connessioni emotive che hanno con noi.
Lei ha proposto l’immagine del superstite: non il mero sopravvissuto, ma qualcuno che andando avanti testimonia ciò che è stato e anticipa ciò che sarà.
Qui avanza il tema di un altro passaggio: dallo storytelling allo story-making. Il mondo che avanza chiede di diventare makers della propria narrazione. Chiede di essere attivatori sociali. Chiede di essere makers responsabili di una narrazione che genera una comunità di destino. In questo senso superstiti. Testimoni che hanno vissuto una grande frattura, ne hanno fatto tesoro e sono andati avanti su nuovi valori e comportamenti. Per me sarebbe veramente triste tragico tornare al racconto di marca capace solo di dire: divertiti. Senza riflessioni e passioni umane.
Torniamo così al tema delle imprese, del corporate activism e della loro responsabilità….
Le imprese sono state trattate, negli anni scorsi, come soggetti predatori. Oggi, al contrario, appare chiaro che le imprese in senso lato (imprese aziendali, imprese sociali, imprese individuali, etc. ) hanno il grande compito di ricostruzione della socialità, del valore economico, della comunità in senso lato. Sono e devono essere soggetti attivi e attivatori di qualità.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.