Formazione
Dall’handicap ai Bes: una svolta per l’inclusione
Firmata la direttiva che riconosce i "bisogni educativi speciali". Nuova fase per l'inclusione scolastica. Ciambrone (Miur): «si passa dalla logica del timbro e del certificato al primato del piano educativo»
«Bisognerebbe dargli una mano, ma come si fa? Non ha la certificazione…», sospira il prof davanti alla verifica di Christian. I “Christian" nelle scuole italiane sono 500mila. Si tratta di tutti quegli alunni – le stime vanno dal 3 al 13% degli iscritti – che hanno bisogno di una speciale attenzione nel loro percorso scolastico, ma che non avendo una certificazione di disabilità né di dislessia, le due condizioni riconosciute dalla legge (la storica 104/92 e la recente 170/2010), fino ad oggi non potevano avere un piano didattico personalizzato, con obiettivi, strumenti e valutazioni pensati su misura per loro. Queste difficoltà non certificate si chiamano Bes-bisogni educativi speciali e già sul numero di VITA in edicola a inizio gennaio avevamo anticipato come il Miur avesse intenzione di riconoscerli per la prima volta.
La direttiva "Strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inlcusione scolastica" ora è stata firmata dal Ministro Profumo (la data in calce alla direttiva è del 27 dicembre 2012). Nei Bes rientra la disabilità ma anche i disturbi evolutivi specifici e lo svantaggio socio-economico e culturale.
«Sciogliamo i lacciuoli burocratici che bloccavano i professori», spiega Raffaele Ciambrone, dirigente Ufficio per alunni disabili del Miur. «Si esce dalla logica del “timbro”: davanti all’evidenza pedagogica, il consiglio di classe potrà avviare percorsi personalizzati. Potrebbe trattarsi di una difficoltà, non di un disturbo. Di un bisogno temporaneo. In ogni caso il baricentro si sposta sul piano educativo e il processo di inclusione diventa qualcosa che riguarda davvero tutta la comunità educante».
Dario Ianes insegna a Trento, dove i Bes sono riconosciuti fin dal 2006, ed è uno dei punti di riferimento per l’inclusione scolastica. La direttiva per lui è «ancora troppo timida», perché nomina solamente lo svantaggio socioeconomico e culturale, per poi limitarsi ad allargare (seppur giustamente) il diritto alle misure dispensative e compensative previste per i dislessici agli altri disturbi evolutivi specifici: deficit del linguaggio e dell’attenzione, iperattività, ritardo mentale lieve, sindrome di Asperger. In questo senso «si danno ancora specifiche cliniche, non si rompe il paradigma. Il salto sarebbe stato guardare in un altro modo il funzionamento del bambino, come vuole l’ICF».
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