Politica

Dalle fake news alle shit news, il caso italiano

di Riccardo Bonacina

«La task force europea ha accertato oltre 13mila casi di disinformazione russa in Europa dal 2014 ad oggi» ha rilanciato questo allarme pochi giorni fa il Copasir che vuol capire di più sulla partecipazione di opinionisti russi embedded nei talk show italiani. In particolare, la presenza di Nadana Fridirkhson giornalista di Zvedza (emittente tv pubblica di proprietà del Ministero della difesa russo) che è comparsa più volte a L’Aria che tira e Dimartedì su La7 e a Cartabianca su Rai 3, negando la stessa esistenza di una guerra e accusando la Tv italiana di censura (sic), quella al giornalista amico di Putin Vladimir Solovyev che ormai è ospite fisso di Massimo Giletti a Non è l’Arena ed è considerato la voce ufficiale del Cremlino, ma persino di Alexander Dugin, il filosofo ideologo di Putin e riferimento culturale dell’estrema destra italiana (intervistato in esclusiva da Paolo Del Debbio su Rete 4) e Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli Esteri russo, anche lei intervistata in vari programmi Mediaset. Senza dimenticare, ovviamente, la contestatissima intervista (si fa per dire) di Giuseppe Brindisi a Sergei Lavrov a Zona Bianca sempre su una rete Mediaset.

Sin qui i russi ma negli ultimi giorni le fake news, ma sarebbe più giusto chiamarle shit news, le abbiamo prodotte da soli, secondo meccanismi assai nostrani su cui varrebbe la pena mettere il copyright.

Il primo caso: Stoltenberg, la Nato e la Crimea

Nelle ultime 48 ore è andato in scena in esclusiva sui media italiani una sorta di botta-e-risposta a distanza tra il segretario della Nato Jens Stoltenberg e il presidente ucraino Zelensky, con quest’ultimo che si sarebbe detto pronto a cedere la Crimea alla Russia per arrivare alla pace e il primo che lo avrebbe contraddetto e smentito, avvertendo che i Paesi Nato non riconoscerebbero mai la Crimea russa. Zelensky apre, la Nato chiude; Zelensky offre la Crimea, la Nato lo gela. E così via.

Una totale invenzione, una rappresentazione falsa. Ad alimentare e anzi a fabbricare, come vedremo dal nulla, tale mistificazione non i social o qualche sito filo-russo, ma i media mainstream, dalle agenzie di stampa a giornali e tv, dal Fatto Quotidiano (Nato contro Zelensky: “La Crimea è nostra”) all’iper “atlantista” La Stampa (La Nato corregge Zelensky: “La Crimea è incedibile”). Un caso di scuola, tra tanti, che dimostra come la disinformazione più insidiosa sia quella diffusa dai media “ufficiali”, le cui bufale trovano abbassate le “difese” del pubblico proprio perché generalmente ritenuti più autorevoli e affidabili. Sono questi le vere shit news media, che poi pretendono di ergersi a paladini della lotta alle fake news, ma che in realtà si battono per avere il monopolio delle fake news e della disinformazione.

Alla base di questa mistificazione una premessa falsa (che Zelensky avesse detto di essere pronto a cedere la Crimea) e il taglia e cuci di una intervista di Stoltenberg a Die Welt. Stoltenberg non poteva aver “corretto” Zelensky sulla Crimea, non foss’altro che per la semplice ragione che il presidente ucraino non aveva affatto parlato di Crimea.

Rispondendo ad una domanda durante un evento organizzato venerdì sera da Chatham House, Zelensky ha detto che la condizione “minima” per fermare la guerra e iniziare a parlare è “ristabilire la situazione del 23 febbraio”, cioè precedente l’invasione russa. Ora, siccome la Crimea è stata annessa dalla Russia nel 2014, molti l’hanno letta come una rinuncia alla regione. Ma Zelensky ha detto una cosa ben diversa, ha posto come prerequisito per un cessate-il-fuoco e per qualsiasi trattativa il ritiro delle forze russe da tutti i territori occupati dopo l’invasione iniziata il 24 febbraio. Altro che “apertura” (persino il ministro degli esteri Di Maio ha parlato di “un’apertura importantissima”). Al contrario, una linea intransigente, essendo obiettivamente inverosimile che Mosca rinunci a mantenere il controllo dei territori conquistati durante il negoziato.

Dall’intervista di Stoltenberg a Die Welt uscita sabato è stato estrapolato un passaggio e presentato come risposta a Zelensky: “I membri della Nato non accetteranno mai l’annessione illegale della Crimea”. Peccato che, come abbiamo visto, il presidente ucraino non avesse affatto parlato di Crimea e che, in ogni caso, sia stato omesso il passaggio successivo del segretario Nato: “Alla fine, però, il governo e il popolo ucraino devono decidere in maniera sovrana su una possibile soluzione di pace. Non possiamo farlo noi”. Queste le frasi esatte: “L’Ucraina deve vincere questa guerra perché sta difendendo il proprio Paese. I membri della Nato non accetteranno mai l’annessione illegale della Crimea. Sosterremo l’Ucraina fino a quando il presidente Putin porterà avanti questa guerra. Alla fine, però, il governo e il popolo ucraino devono decidere in maniera sovrana su una possibile soluzione di pace. Non possiamo farlo noi”.

Secondo caso: Sangiuliano, il Tg2 e le Br

La stella a cinque punte, simbolo delle Brigate Rosse, incisa nel pannello d’acciaio dell’ascensore della palazzina Rai di Saxa Rubra che ospita la sede del Tg2, getta benzina sul fuoco delle polemiche contro Gennaro Sangiuliano. Dopo l’intervento alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, il 30 aprile a Milano, il direttore del Tg2 era finito nel mirino di Italia Viva e Pd, che hanno chiesto l’intervento dei vertici Rai In questo clima, la comparsa della stella a cinque punte nell’ascensore della palazzina del Tg2, da stupido gesto vandalico assume una diversa rilevanza e la segnalazione della giornalista che l’ha scoperta diventa un caso, oltre che giudiziario, anche politico. Nonostante la cosa sia davvero tirata per i capelli, quell’incisione su un ascensore non significava granché e sicuramente nessuna intimidazione, parte una messe di prese di posizioni politiche e sindacali da record.

Ne citiamo solo un campione. Roberto Fico: «Alla redazione del Tg2 e al direttore Sangiuliano la mia piena solidarietà per l’inquietante atto intimidatorio subito: nessun richiamo alla buia stagione del terrorismo può essere accettabile». La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati: «Solidarietà al direttore Sangiuliano e a tutta la redazione del Tg2, dove è stato ritrovato un simbolo delle Brigate Rosse. Un gesto intimidatorio vergognoso e inaccettabile». Solidarietà anche dal Governo, con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’informazione e all’editoria, Giuseppe Moles . Giuseppe Conte non si è lasciato scappare l’occasione per esserci: "Dopo le polemiche di questi giorni ora arriva una grave minaccia. La libertà di informazione non si tocca", scrive su Twitter. E dal Pd Enrico Borghi sottolinea: "Utilizzare un simbolo come quello delle Brigate Rosse, che ha insanguinato l'Italia, è un gesto inqualificabile e vigliacco. Un grave atto, doppiamente da condannare perchè rivolto a operatori dell'informazione". Il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra esprimendo la solidarietà della Cisl Luigi Sbarra esprimendo la solidarietà della Cisl scrive su Twitter: “Solidarietà e vicinanza al direttore del Tg2 Sangiuliano ed alla sua redazione. Evocare gli anni del terrorismo con il simbolo delle Br è una grave ed inquietante intimidazione su cui le forze dell’ordine hanno il dovere fare piena luce”.

Ma a far luce e a coprire di ridicolo tutti quelli che si erano precipitati a distribuire retorica a piene mani, non è servita la polizia ma ci hanno pensato gli stessi giornalisti che hanno notato come sul profilo Instagram di Maria Leitner, una delle conduttrici del Tg2, che ha l'abitudine di postare selfie dal suo "ascensore preferito", quella incisione con la stella a 5 punte fosse da almeno un anno.

Morale: ragazzi state all'erta non è tutto oro ciò che riluce, anzi, è probabile che sia merda.

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