Welfare

Dall’agenzia al marchio

di Flaviano Zandonai

Quelli del terzo settore sono i primi a sapero, e bene. Se si chiude un servizio, un progetto, un’attività, una struttura è molto complicato riaprire. Meglio, a differenza di quel che dicono alcuni opinion maker, andare avanti al minimo, anche con poche risorse, lavorando per costruire tempi migliori. Il Governo invece ha scelto di spegnere le ultime braci sotto la cenere e di chiudere l’Agenzia per il terzo settore. Un grave errore, proprio perché, soprattutto di questi tempi, è davvero difficile pensare a una eventuale nuova struttura, ad esempio centrara sui soggetti produttivi del terzo settore. Una specie di authority sull’impresa sociale sul modello del Regulator inglese delle CIC, in grado di monitorare un fenomeno in crescita se non in termini assoluti certamente per tipologie giuridico – organizzative, anche oltre i confini stabiliti dalla normativa. Ma l’Agenzia è morta per cui è inutile parlarne. Meglio riproporre la questione da un altro punto di vista. Se l’autorità pubblica ha deciso di rinunciare – sciaguratamente – alla sua funzione di controllo, la palla passa ai diretti interessati, ovvero alle organizzazioni di terzo settore. E se davvero il terzo settore italiano tiene alla qualità suo sviluppo allora è il momento buono per riprendere l’iniziativa. Come? Certamente non reclamando una nuova, improbabile agenzia, ma agendo “imprenditorialmente” per sintetizzare i propri numerosi sistemi di rendicontazione e certificazione elaborati da singole organizzazioni e reti di settore. Da questa molte di dati potrebbe scaturire il sistema informativo per un marchio generalista di natura volontaria che consenta di far emergere almeno la parte più qualitativa del settore. Rimarrebbero certamente i problemi sulla parte bassa, i controlli sui casi limite, ma su questi interverrà direttamente l’autorità giudiziaria. Dall’agenzia al marchio quindi, sostenuto da un set di indicatori comuni. Operazione velleitaria? Forse, ma va considerato che anche le imprese for profit si stanno muovendo nella stessa direzione. Dopo che per anni ognuna ha fatto per conto suo definendo i propri indicatori e schemi di bilancio di missione in chiave Csr, è di qualche giorno fa la notizia che è stato avviato un percorso di indagine per definire un set di informazioni comuni allo scopo di rendicontare le azioni di responsabilità sociale. Scommettiamo che una volta elaborati gli indicatori il passo verso il marchio sarà breve? E ancora, è sempre di qualche giorno fa la notizia che il marchio inglese sull’impresa sociale è stato registrato a livello europeo e quindi è disponibile anche al di fuori del contesto territoriale e normativo inglese. Insomma dove non arriva lo stato con norme e autorità può intervenire – da par suo – il terzo settore in chiave autoregolativa e promozionale. Basta provarci.


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