Migranti

Dalla strage di Cutro il Governo Meloni non ha voluto imparare niente 

Nel 2023 lungo la rotta del Mediterraneo Centrale sono morte in mare 2.271 persone, nel 2024, invece, le vittime sono già quasi 100. Ma cosa ha fatto il Governo Meloni? Spoiler: niente. Anzi: ha ostacolato il lavoro delle ong in mare, reso complicatissimo ottenere la protezione speciale, esternalizzato le frontiere attraverso accordi con Paesi terzi, aumentato il tempo di trattenimento nei centri per il rimpatrio e destrutturato il sistema di accoglienza

di Anna Spena

Erano afghani, pakistani, ma anche iracheni, iraniani, siriani. Erano famiglie. Famiglie con neonati, bimbi piccoli, figli adolescenti. Erano partiti da Smirne, in Turchia. Volevano una vita migliore e sono rimasti senza vita e basta.

La rabbia e il dolore

Oggi 26 febbraio 2024 ricade l’anniversario del primo anno dalla Strage di Cutro, il naufragio dove persero la vita, a poche miglia dalla spiaggia calabrese in provincia di Crotone, 94 persone. Negli occhi abbiamo ancora le immagini delle file di bare, fatte spesso di corpi non riconosciuti, al Palamilone di Crotone, il palazzetto dello sport diventato la camera ardente per le vittime. E le file si allungavano ad ogni nuovo corpo morto che restituiva il mare. Nel 2023 lungo la rotta del Mediterraneo Centrale sono morte 2.271 persone (dati Oim – organizzazione internazionale delle migrazioni). Ma la domanda che ancora oggi è rimasta orfana di una risposta è: “Quelle morti si potevano evitare?”. E vista la dinamica dei fatti, per i morti della strage di Cutro, la domanda si fa ancora più insistente. Il barcone naufragò la notte tra il 25 e il 26 febbraio, quindi tra sabato e domenica. Ma a Frontex era arrivata già sabato sera la segnalazione di un’imbarcazione che si trovava a circa 40 miglia dalla costa.

Il barcone naufragato era stato avvistato e monitorato non per un’operazione di salvataggio, ma per una di polizia: una “law enforcement”. Due navi della guardia di finanza provarono a raggiungere l’imbarcazione per i controlli di polizia previsti dal protocollo, ma le condizioni del mare continuavano a peggiorare ed entrambe le imbarcazioni erano tornate indietro senza raggiungerlo. Questa storia ha dell’incredibile. E continua ad averlo: «Nel 2023», come sottolinea un’inchiesta di Altraeconomia, «le autorità italiane hanno classificato come operazioni di polizia e non Sar (zone per le attività di Ricerca e Soccorso in mare) oltre mille sbarchi, per un totale di quasi 40mila persone, un quarto degli arrivi via mare. Nel 2023 sono sbarcate sulle coste italiane 157.651 persone. E sempre nel 2023 le navi delle organizzazioni non governative hanno salvato e sbarcato in Italia neanche 9mila persone. Poco più del 5% del totale. Anche nei mesi più intensi degli arrivi la quota delle ong è stata limitata. Le poche navi umanitarie intervenute sono state deliberatamente indirizzate verso porti lontani».

Ma in un anno il Governo Meloni che ha fatto? Spoiler: niente

«Questo Governo», racconta Gianfranco Schiavone, dell’Asgi, associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, «ha cercato di peggiorare in maniera drastica il sistema di accoglienza in Italia. Parallelamente ha cercato di ostacolare i soccorsi da parte delle navi delle organizzazioni non governative e ha aumentato le forme di esternalizzazione delle frontiere facendo accordi con Paesi Terzi come Libia, Tunisia e non per ultimo l’accordo con l’ Albania, che però è una forma di esternalizzazione inedita perché l’Italia manterrà la propria giurisdizione sulle domande di asilo presentate da coloro che verranno portati in Albania. Si tratta di un accordo  che si pone in contrasto con le direttive europee sull’asilo. L’Italia sembra voler inseguire, seppure su scala ridotta, il modello australiano di confinamento extraterritoriale dei richiedenti asilo. Un meccanismo con spese colossali di gestione con risultati altresì irrilevanti sul piano della gestione dei flussi migratori. Mi sembra un’operazione di sola propaganda in vista delle elezioni europee del prossimo giugno». Sono diverse le misure legislative adottate nel corso del 2023 per “contrastare l’immigrazione illegale”, e si sono dimostrate tutte fallimentari.

Decreto legge 2 gennaio 2023 n.1, conosciuto come decreto Piantedosi,  convertito con modificazioni dalla L. 24 febbraio 2023, n. 15

Un decreto che conteneva “disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori”. Con questo decreto il soccorso in mare è stato drasticamente limitato imponendo il rispetto di una serie di condizioni e di regole di comportamento (una sorta di codice di condotta)  fortemente restrittive, pena il divieto di transito e sosta nelle acque territoriali e sanzioni amministrative pecuniarie, nonché il fermo, il sequestro e la confisca della nave. «Un decreto in contrapposizione con le direttive europee e con le normative internazionali sul soccorso in mare», spiega Schiavone. Il codice di condotta imposto alla navi delle ong va dalla direttiva di portare immediatamente a terra i naufraghi, riducendo di fatto le possibilità di fare ulteriori salvataggi dopo il primo soccorso, all’impossibilità di intervenire tempestivamente in caso di segnalazioni di altre imbarcazioni in pericolo, fino all’indicazione di fare richiesta d’asilo nel Paese di cui la nave batte bandiera. Le ong che disobbediscono alle norme italiane rischiano una multa fino a 10mila euro e la possibilità che la loro nave venga bloccata per almeno 20 giorni e potenzialmente sequestrata dalle autorità. Dal febbraio 2023, nove navi di soccorso delle ong sono state trattenute dalle autorità italiane in 16 occasioni. «Il risultato del decreto non è stato quello di gestire i flussi migratori», dice Schiavone. «Anzi ha reso il Mediterraneo Centrale un luogo ancora più mortale e pericoloso per chi tenta di attraversalo. Ma visto che il decreto in realtà era nato solo per ostacolare il lavoro delle ong che fanno ricerca e soccorso in mare, e non per tutelare vite umane, c’è parzialmente riuscito».


Decreto legge 10 marzo 2023, n. 20, conosciuto come Decreto Cutro, convertito con modificazioni dalla L. 5 maggio 2023, n. 50

«Al di là dell’ulteriore inasprimento delle pene per i trafficanti di esseri umani, misura del tutto propagandistica, i due veri obiettivi del decreto Cutro sono stati il tentativo di ridimensionare la protezione speciale e la demolizione di ciò che di positivo c’era ancora nel sistema pubblico di accoglienza», dice Schiavone. «Tutti gli obblighi internazionali e costituzionali (richiamati anche dall’art.5 comma 6 dello stesso testo unico sull’ immigrazione tuttora vigente) e in particolare il rispetto della vita privata e famigliare di cui all’art. 8 della convenzione europea dei diritti dell’uomo – Cedu, non potendo essere abrogati sono rimasti formalmente inalterati ma sono stati erosi nella loro applicazione concreta. Inoltre a causa del decreto la protezione speciale non potrà più essere convertita in permesso di lavoro e anche la sua applicazione in caso di gravi condizioni di salute viene ristretta». Questa “precarizzazione” spingerà, forse l’ha già fatto, molte persone verso la condizione di illegalità e marginalità. «Eppure», dice Schiavone, «nelle altisonanti dichiarazioni ufficiali il decreto era nato per “contrastare l’immigrazione irregolare”, invece così l’ha prodotta. Anche se viene nuovamente introdotta una programmazione triennale dei flussi di ingresso per lavoro e viene prevista la possibilità di adeguamento della programmazione tramite nuovi decreti in caso di necessità, nulla cambia nel logoro e inefficace meccanismo dei decreti flussi che prevedono un’irragionevole incontro a distanza tra datori di lavoro e lavoratori. Tutto continua come prima: i lavoratori stranieri entrano in Italia irregolarmente, finiscono nel tritacarne del mercato del lavoro nero e dello sfruttamento e solo parte di essi, dopo un tempo che può anche durare anni, accedono a una regolarizzazione di fatto tramite la finzione della chiamata nominativa dall’estero».

Decreto legge 19 settembre 2023, n. 124 convertito con modificazioni dalla L. 13 novembre 2023, n.  162

Il decreto contiene “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione”. Insomma l’ennesimo “pacchetto sicurezza” dove, si legge nella nota diffusa da palazzo Chigi, si estende – come consentito dalla normativa eurounitaria – a 18 mesi (6 mesi iniziali, seguiti da proroghe trimestrali) il limite massimo di permanenza nei Centri per il rimpatrio degli stranieri non richiedenti asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei Paesi terzi). Il limite attuale è di 3 mesi, con una possibile proroga di 45 giorni. Inoltre, prosegue la nota, “si prevede l’approvazione, di un piano per la costruzione, da parte del Genio militare, di ulteriori Cpr, da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili“. «L’abnorme allungamento del tempo massimo del trattenimento non ha alcun nessuna efficacia sull’aumento dell’efficacia delle espulsioni», dice Schiavone. «Le pluriennali statistiche sul punto sono chiare: la stragrande maggioranza delle esecuzioni coattive di allontanamento viene fatta entro i primi due mesi, al massimo tre. Se in questo già lungo periodo le cause che impediscono di eseguire l’allontanamento (quasi sempre la mancanza di documenti e di collaborazione con i paesi di origine) non sono superate, l’allontanamento non può essere realizzato e la detenzione diventa fine a se stessa in violazione della Direttiva 115/2008/CE sui rimpatri che dispone in modo preciso che il trattenimento amministrativo, che non può avere in alcun modo la natura di una sanzione penale, deve immediatamente cessare. Se l’allungamento dei tempi del trattenimento non serve a nulla ed anzi rallenta il turn-over nei centri diminuendo di fatto la loro capienza, perché il Governo l’ha fatto? Perché l’ideologia si impone sulla realtà, il Governo non è interessato all’efficacia del sistema ma solo a portare avanti una visione repressiva e fine a se stessa». 

Decreto-legge 5 ottobre 2023, n. 133 convertito con modificazioni dalla L. 1° dicembre 2023, n. 176

Un decreto che si concentra sui minori stranieri non accompagnati – msna e ne comprime diritti e garanzie. I Msna dovrebbero essere accolti in strutture dedicate all’interno del sistema di accoglienza e integrazione (Sai), ovvero il sistema a titolarità pubblica gestito dai comuni. Già oggi però, in caso di necessità, è prevista la possibilità per i prefetti di istituire centri di accoglienza straordinaria (Cas) destinati ai minori. Seppur con servizi differenti e meno garanzie rispetto ai centri ordinari. «Stando al decreto», spiega Schiavone, «il prefetto è autorizzato a sistemare i minori anche nei centri per adulti, soluzione che può valere per un massimo di 90 giorni e per minori con età non inferiore a 16 anni». Ma parliamo di cifre importanti perché il 70,2% dei minori stranieri non accompagnati in Italia hanno proprio 16 o 17 anni. «La nuova norma», continua Schiavone, «appare però non conforme all’art. 20 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia,  ratificata con L. 27 maggio 1991 con la legge n. 176 che stabilisce che un minore privo del suo ambiente familiare debba essere collocato in affidamento familiare o in strutture specifiche per minorenni. Altresì vi è violazione della direttiva 2013/33/Ue sull’accoglienza dei richiedenti asilo che all’art. 24 prevede che le strutture di accoglienza per i minori possano essere sezioni delle stesse strutture per adulti ma solamente se ciò “è nel loro interesse superiore” (art.24 par.2) e non certo in conseguenza di disfunzioni organizzative nell’organizzazione del sistema di accoglienza che nulla hanno a che fare con il superiore interesse del minore. Sempre in relazione al superiore interesse del minore va segnalato con preoccupazione come la norma autorizza in caso di arrivi numerosi ad attuare delle procedure veloci di accertamento dell’età che (la norma sul punto è assai confusa) sembrano poter derogare alle procedure multidisciplinari previste dalla norma vigente ovvero l’art. 9 co.2 lettera c) del d.lgs.281/97 relativo al Protocollo multidisciplinare per l’accertamento dell’età, creando così in modo del tutto arbitrario due procedure di accertamento dell’età: una ordinaria, rigorosa e completa, e l’altra piuttosto sommaria (un ritorno alla sola radiografia del polso, accertamento che da solo è del tutto inidoneo?) con altissimi rischi di errore». 

Servono vie di accesso legali e sicure

I dati degli sbarchi relativi all’invio dell’anno, aggiornati fino al 22 febbraio, parlano di 4.368 sbarchi, tra loro 510 minori non accompagnati. E sono già quasi 100 le persone che hanno perso la vita durante la traversata del Mediterraneo Centrale dall’inizio dell’anno. Le politiche di chiusura e deterrenza hanno ampiamente dimostrato di essere fallimentari e di favorire il traffico e la tratta di esseri umani, rendendo più lunghi e pericolosi i viaggi per arrivare in Europa. Nonostante questo, a livello istituzionale la direzione seguita rimane la stessa. Solo una settimana fa la Commissione Libe del Parlamento europeo ha approvato il pacchetto completo del nuovo Patto migrazione e asilo che con ogni probabilità verrà votato in via definitiva ad aprile. Il documento, che ridefinisce la legislazione europea in materia, rischia di compromettere seriamente l’esercizio del diritto di asilo e di causare ancora più sofferenza e aumentare i rischi a chi cerca protezione in Europa. Oltre a istituzionalizzare l’uso generalizzato della procedura accelerata e della detenzione per richiedenti asilo, il patto non prevede nulla in materia di soccorso e di passaggi sicuri. «Non ci stancheremo mai di ripeterlo. Finché non saranno incrementate vie di accesso legali e sicure e si ostacoleranno i salvataggi, le persone continueranno ad affidarsi a pericolosi trafficanti e nel Mediterraneo si continuerà a morire. Questo è inaccettabile. Serve un cambio di passo nelle politiche europee che rimetta al centro le persone e i lori diritti, e il Patto Migrazione e Asilo, che sarà approvato ad aprile, va in direzione contraria», dice afferma Fabiana Musicco, direttrice di Refugees Welcome Italia. E ancora: «I governi nazionali e le istituzioni europee devono con urgenza intraprendere un cambiamento politico, nel rispetto del diritto internazionale e a garanzia dei diritti umani, a partire dall’abolizione del reato di ingresso irregolare e delle misure che ostacolano le attività di soccorso delle ong. I morti, i dispersi, i familiari delle vittime del naufragio di Cutro e di tutte le evitabili stragi nel Mediterraneo, meritano maggiore coraggio e responsabilità istituzionali», denuncia Amnesty International. In un comunicato congiunto delle organizzazioni non governative impegnate nelle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale si chiede: «Per evitare che il Mediterraneo centrale diventi un cimitero ancora più vasto, chiediamo alle autorità italiane di smettere immediatamente di ostacolare le attività di ricerca e soccorso delle ong e di proteggere i diritti fondamentali delle persone in pericolo in mare, garantendo che le navi delle ong possano assistere le imbarcazioni in difficoltà senza restrizioni e che le persone soccorse in mare possano sbarcare nel porto sicuro più vicino possibile, come sancito dal diritto marittimo internazionale».

Credit foto: AP Photo/Valeria Ferraro

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