Non profit

Dalla rivolta al blog

Il boom del sito curato dagli abitanti dei sobborghi

di Joshua Massarenti

Si chiama Bondy Blog e ormai conta 2 milioni di sostenitori. Una best practice nata da un’intuizione
di un settimanale svizzero, «L’Hebdo». Obiettivo: raccontare in modo professionale le periferie attraverso la voce di chi
ci vive. Ecco come il sogno
è diventato realtà
In Francia c’è banlieue e banlieue. C’è quella ricca di Neuilly-sur-Seine, del suo più illustre ex primo cittadino e attuale presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy, e c’è quella povera di Bondy, scampata per chissà quale miracolo alle violenze giovanili che nell’autunno 2005 misero a soqquadro il mondo delle periferie francesi più degradate. Ma ai miracoli Bondy ci prende gusto. Il secondo si annida ai piedi della Cité Auguste Blanqui, un mostro architettonico più che un palazzo residenziale, in cui sbarcano un gruppo di giornalisti del settimanale svizzero L’Hebdo, decisi a raccontare l’altro volto delle banlieue.
Nasce il Bondy Blog (http://yahoo. bondyblog.fr/), dove la libertà di scrivere articoli sui piccoli fatti e misfatti quotidiani di Bondy smonta le logiche editoriali dei grandi network televisivi, attratti soltanto dalle violenze dei quartieri. Il successo è clamoroso. Dopo cinque mesi di attività, la svolta. Nel marzo 2006, il sito viene consegnato chiave in mano a un professore di liceo e una decina di ragazzi originari di Bondy. Oggi sono una trentina, al 90% di confessione musulmana, tutti (o quasi) nati da genitori maghrebini e africani. Tutti francesi. L’età media è di 22-23 anni. A vigilare sulla linea editoriale ci sono sempre i giornalisti svizzeri, tra cui Antoine Menusier: «Scrivere su un mondo al quale si appartiene non è facile». Intanto i lettori apprezzano. Nel 2007 si contavano 200mila utenti unici al mese. A fine anno i visitatori raggiungono quota 1,6 milioni, un record battuto tra gennaio e maggio 2010 quando il sito ha registrato due milioni di affezionati. Un trionfo ottenuto grazie agli accordi siglati con un partner privato, Yahoo.fr, e uno pubblico, l’Agence nationale pour la cohésion sociale et l’égalité des chances. Oggi il Bondy Blog è presente a Marsiglia, Lione, Ginevra, Losanna e addirittura Dakar. Un’espansione territoriale che comprende un’apertura all’economia sociale con il Bondy Blog Business.

Vita: Il Bondy Blog ha radici profonde, con i primi semi piantati nel 2005. Un giornale svizzero di larga diffusione decide di coprire gli eventi attraverso un blog curato da 35 giornalisti. A cosa dobbiamo questa scelta?
Antoine Menusier: All’epoca il responsabile del servizio internazionale di L’Hebdo, Serge Michel voleva sfruttare la crescita di nuovi strumenti di comunicazione come internet e i blog per metterli al servizio della cronaca. L’invio di un reporter incaricato di seguire gli eventi per una settimana e tornare a casa non lo interessava. La scelta di imbastire un team di giornalisti inviati a turno per un periodo di cinque mesi rispondeva alle esigenze di un giornale svizzero francofono che considerava l’intensità delle violenze un fenomeno del tutto inusuale per i nostri cugini francesi. Eravamo convinti che per capire il problema delle banlieues fosse necessario una cronaca quotidiana dall’interno, attraverso contatti regolari con la gente, il racconto di storie anche banali e un approccio sincero, senza pregiudizi. Assieme al fatto di essere svizzeri, questo approccio ha legittimato il nostro lavoro. Mai giornalisti francesi avrebbero potuto realizzare un’esperienza simile.
Vita: Come si è svolto il passaggio di consegna del blog?
Menusier: La sua sopravvivenza non era prevista. A coglierci di sorpresa è stata l’ipermediatizzazione della nostra avventura editoriale. Prima Le Monde, poi le radio, infine il New York Times e il Los Angeles Times: è stato il successo mediatico del Bondy Blog a prolungare la sua esistenza. Nel febbraio 2006, un professore di liceo, Mohamed Hamidi ci ha proposto di prendere le redini del blog coinvolgendo ragazzi e ragazze provenienti da Bondy e da altre città della Seine-Saint-Denis, l’epicentro dei subbugli urbani del 2005. L’idea ci è subito piaciuta. L’Hebdo si è offerto di appoggiare il blog, tra cui un inquadramento professionale e una formazione multimediale intensiva effettuata in Svizzera per una decina di giovani.
Vita: Qual è la linea editoriale?
Menusier:È stata la parte più difficile da affrontare. I ragazzi non sono giornalisti, alcuni non intendono diventarlo. Tutti invece nutrono un desiderio enorme di testimoniare la vita dei quartieri. Molti lettori che visitano il sito per la prima volta sono convinti di trovare articoli militanti. Non vogliamo essere “la voce delle banlieues”, ma un sito d’informazione che raccoglie “delle voci di banlieues”. Il nostro impegno civile si limita al semplice fatto di esistere. E raccontare.
Vita: Il vostro successo contrasta con i problemi sociali ricorrenti che contraddistinguono le banlieues. Dalle rivolte giovanili del 2005, che cos’è cambiato? E quali sono i rischi che le violenze si ripetano?
Menusier: Le violenze sono ancora frequenti, ma come quelle che si sono verificate di recente a Grenoble sono territorialmente circoscritte. Ma non possiamo certo stare tranquilli. Tra tassi di disoccupazione due volte superiori rispetto al resto della Francia e percentuali di abbandono scolastico elevati, il futuro non è roseo. Purtroppo la presenza di Sarkozy alla guida del Paese non facilita le cose. Il suo “Piano banlieues”, presentato nel 2008, ha dato pochissimi frutti. L’unico risultato messo a segno è legato ai piani di rinnovamento urbano. Ma lavorare con le pietre è facile, sulla materia umana è ben’altra cosa.

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