Leggi

Dalla ricostruzione in Iraq allo tsunami, una corruzione quotidiana

L'ultimo rapporto di Transparency International stima a 300 miliardi di dollari di bustarelle per progetti di ricostruzione nei Paesi devastati da guerre e catastroifi naturali

di Joshua Massarenti

Si intitola “Special focus: Corruption in Construction and Post-conflict Reconstruction”. E di certo non è fatto per rassicurarci. E’ l’ultimo rapporto reso pubblico ieri da Transparency international, l’Ong specializzata nell’analisi degli affari di corruzione che seviziano ai quattro angoli del pianeta. Ogni anno, TI pubblica un rapporto sulla corruzione internazionale ormai abituato a non passare inosservato, ma l’annata 2005 dedicata al settore della ricostruzione verrà purtroppo ricordata come una delle migliori.

Il mercato della costruzione, che va dalle infrastrutture ai trasporti, passando per le centrali elettriche e gli alloggi privati, ha un giro di affari di oltre 3 200 miliardi di dollari all’anno. Transparency International valuta a circa 300 miliardi – ovvero il 10% – le somme versate in bustarelle. Se si pensa che 30 miliardi di dollari saranno destinati nei prossimi anni dai donatori per proseguire la ricostruzione in Iraq e che 10 miliardi sono stati raccolti per le vittime dello tsunami, l’allarme lanciato da TI fa poco sperare.

Per TI èi urgente adottare regole severe sui conflitti di interesse e procedure trasnparenti per le gare d’appalto. Nel caso iracheno, la maggior parte delle spese previste per la ricostruzione e i mercati pubblici non sono state avviate. “Se misure urgenti non verranno adottate al più presto” ammonisce il rapporto, “l’Iraq diventerà il più grande scandalo della storia”.

L’assegnazione dei primi contratti di ricostruzione a imprese molto vicine all’amministrazione Bush, Bechtel e Halliburton in testa, hanno ampiamente superato i criteri di regolarità dell’assegnazione di contratti. Non a caso, Halliburton è entrato nell’occhio del mirino del Ministero della difesa Usa che chiede spiegazioni su una fattura pari a 108,4 miliardi di dollari relativa alla consegna di benzina in un contratto mai preceduto da una gara d’appalto.

A far prosperare il clima di corruzione quotidiana in Iraq sono l’assenza di sistemi di gestione a livello ministeriale e nelle imprese pubbliche oppure strutture istituzionali dedite al controllo delle gare di appalto e l’eredità lasciata dal regime di Saddam Hussein noto per la sua presa totale sull’economia. Altro fattore di rischio è la politica economica riguardante la ricostruzione irachena. Se il processo di privatizzazione richiesto dal Fondo monetario internazionale e dal Club di Parigi come condizione della riduzione di un debito estero pari a 120 miliardi di dollari si rivelasse troppo frettoloso, a giorvarne sarebbe in amplia misura la corruzione.

Il caso iracheno dovrebbe fare da monito all’operazione tsunami. “In Asia” assicura TI, “la corruzione è ancor più diffusa nella fase di ricostruzione” rispetto ad altre parti del mondo. Per evitare brutte sorprese, PriceWaterhouse ha accettato di seguire tutti i programmi delle agenzie Onu implicate nell’area tsunami. Una riunione prevista a Jakarta i prossimi 7 e 8 aprile per definire le regole di controllo vedrà al tavolo delle discussioni l’Organizzazione per la sicurezza e lo sviluppo economico (Osce), la Banca asiatica di sviluppo e… Transparency International. E’ urgente sostiene TI che i poteri pubblici garantiscano trasparenza invitando nel contempo le multinazionali a farla finita con il versamento di bustarelle.

La convenzione Osce contro la corruzione chiede nel suo articolo 1 ai Paesi firmatari che le persone coinvolte in affari di corruzione con funzionari stranieri siano passibili di sanzioni penali. Una convenzione simile dell’Onu deve ancora entrare in vigore. Finora, nessun Paese membro del G8 l’ha firmata…

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.