Un consumatore più attento e che chiede di più. È l’identikit scattato da Giampaolo Fabris, che insegna Sociologia all’università San Raffaele e che ha coordinato l’«Osservatorio sui consumi degli italiani». Chiede ad esempio più informazione. Spiega il professore: «Non è che il consumatore ne lamenti una cattiva, semmai di parte. Vorrebbe sapere veramente molte più cose che gli vengono negate. C’è una specie di afonia nei confronti della comunicazione delle imprese e un’iperbole invece sugli aspetti più suggestivi ed emotivi, di induzione al consumo».
Consumers’ Magazine: La ricerca sottolinea anche altri cambiamenti…
Giampaolo Fabris: Sì, il consumatore non cerca sempre la qualità più alta. Per una certa tipologia di prodotti, ad esempio, i beni più dimessi della nostra quotidianità, anche un livello medio può andar bene. È una cosa considerata accettabile. Quello che sta succedendo è la sostituzione della parola valore alla parola qualità: un prodotto deve avere un elevato valore per il consumatore.CM: Cosa pensa degli inviti a consumare per sostenere le aziende in crisi?
Fabris: Si tratta di una grossa perversione. Cioè un ribaltamento completo dei rapporti tra economia e consumi. Distinguerei un discorso tattico, forse opportuno in questo momento, e uno strategico. È comunque impensabile che l’economia possa fondarsi su uno sviluppo illimitato dei consumi. Il pianeta ha risorse limitate. Ma c’è una insostenibilità anche dal punto di vista degli stili di vita. L’incremento dei consumi non porta ulteriori accrescimenti del benessere, della qualità della vita. È folle ritenere che nei prossimi anni per far sviluppare il sistema dovremo comprare di più. Del resto tutto il rapporto fra economia e società va rivisto: continuiamo ancora a considerare il Pil come l’indicatore più attendibile. Sappiamo che è socialmente offensivo: nella Striscia di Gaza avremo l’esplosione del Pil semplicemente perché c’è stato questo assoluto disastro.CM: Nello stesso tempo si blocca la class action.
Fabris: La class action potrebbe rappresentare un forte salto di qualità. È stata occasione per continui rinvii, per i quali c’erano certamente delle ragioni. A me sembra che il problema di una tutela effettiva dei consumatori faccia più parte delle buone intenzioni che non di prassi o di azioni politiche. Credo che sia uno scenario destinato a cambiare rapidamente. Non c’è un pregiudizio nei confronti di chi produce o di chi vende, ma senza dubbio c’è la richiesta da parte dei consumatori di avere un rapporto dialettico. Di essere tutelati effettivamente. La vera rivoluzione culturale è un consumatore che si accorge anche di avere non solo dei diritti ma anche dei doveri e delle responsabilità ad esempio nei confronti dell’ambiente. Quindi la scelta dei beni di consumo finisce anche con l’avere un significato politico. Nel senso del penalizzare quelle aziende che non si comportano in maniera socialmente responsabile. E invece premiarne altre. È un fenomeno agli inizi che avrà conseguenze maggiori in futuro.CM: Qui il web può aiutare.
Fabris: È un mondo che sta cambiando. Credo che tutte le istituzioni debbano prendere atto di questo passaggio d’epoca. La condivisione di una cultura digitale fa sì che oggi il consumatore sia molto più attrezzato culturalmente di una volta. Il web 2.0 è uno strumento di democrazia dei consumi straordinario: eroga informazioni.CM: Poi ci sono le associazioni?Fabris: Fino ad ora hanno avuto nel nostro Paese un ruolo minoritario, un po’ residuale. Adesso vedono un livello di consenso da parte della popolazione in continua crescita. Nel senso che le associazioni sono la punta di diamante in un rapporto dialettico con il mondo delle imprese. Oggi sempre di più il consumatore ama interloquire e non semplicemente subire passivamente le indicazioni che arrivano dalle imprese. Quello che fino a ieri era un soliloquio da parte delle imprese, adesso si richiede che divenga un dialogo reale non millantato.
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