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Dalla mamma in Sardegna ma con il cuore in Ucraina
La storia di Irina e dei suoi figli Ivanna e Nicola, che lei è andata a prendere al confine moldavo. Una storia simile a tante altre ma ugualmente toccante. La figlia maggiore partorirà a Cagliari però il giovane marito è stato aggregato all'esercito ucraino. Gli incubi notturni e la paura delle bombe
Ivanna ha 17 anni e poca voglia di parlare, e non solo perché non conosce l’italiano. È all’ottavo mese di gravidanza e ha un forte senso di nausea. Partorirà tra qualche settimana in uno degli ospedali di Cagliari, dove è arrivata da poco più di un giorno. Ha raggiunto sua mamma Irina, che nel capoluogo sardo vive e lavora da sei anni. È lei a fare da interprete ai due figli che è andata personalmente a prendere.
«Quando ho sentito che la guerra si stava estendendo, non ho avuto un attimo di esitazione», racconta Irina. «Sono partita e, passando per la Romania, ho raggiunto la Moldavia per incontrare i miei figli. Loro non volevano venire in Italia, avrebbero voluto restare in Ucraina con i parenti e gli amici, ma alla fine li ho convinti. Anche il marito di Ivanna mi ha dato ragione: per ora è meglio così».
Nicola, 15 anni, sta con i nonni materni a Vinnycja, una città che sino alla sua partenza non era stata ancora toccata dallo spettro della guerra. Ivanna, invece, vive con il giovanissimo marito in un paesino vicino al confine con la Bielorussia, dove stanno bombardando da alcuni giorni. La loro storia è simile a quella di tanti connazionali, ma non per questo sorprende di meno.
«Suo marito ha poco più di 20 anni, è stato costretto a restare lì e a unirsi al nostro esercito», precisa Irina. «Non potrà assistere alla nascita della bambina che Ivanna porta nel grembo, ma almeno sa che entrambe saranno al sicuro. Mia figlia è molto preoccupata. Ieri notte si è svegliata all’improvviso, aveva gli incubi e piangeva, mi ha detto di aver sognato il paese sotto le bombe. Al di là del problema della sicurezza, che in alcune parti del nostro Paese è ormai uguale a zero, non sarebbe stato possibile andare incontro al parto in queste condizioni psicologiche».
Abbiamo incontrato questa famiglia mentre i ragazzi facevano la fila di fronte all’Ufficio immigrazioni della questura di Cagliari, insieme a tante altre. Un serpentone di persone che si allunga sempre di più, con il passare dei minuti. E dei giorni. Improvvisamente, vengono separati in due tronconi: da una parte coloro che provengono dai Paesi africani, dall’altra i rifugiati ucraini, per lo più donne giovanissime e bambini, oltre a pochi sardi che hanno messo a disposizione la casa o altri locali per ospitare queste famiglie in fuga dalla guerra. Tutti desiderano mettersi in regola al più presto, anche per ricevere assistenza sanitaria.
«L’Italia mi ha accolta benissimo sin dal mio arrivo – spiega Irina – e io sono riconoscente a tutti voi. In questi giorni, stiamo toccando ancora di più la vostra solidarietà. Mi sento in dovere di ringraziare la famiglia Runchina, presso la quale lavoro: sono stati proprio loro a incoraggiarmi a partire e risolvere il ricongiungimento familiare. Si dice così, vero? Mi hanno detto di non preoccuparmi di niente, loro avrebbero trovato una soluzione temporanea per far seguire il padre di 84 anni. Sono gentilissimi e comprensivi».
Irina poi sottolinea che «in ogni parte del mondo trovi gente buona e gente cattiva, persone leali e persone furbe che cercano di approfittare delle occasioni, a discapito dei poveracci. Anche in Ucraina è così, non fa differenza. Ne sono consapevole. Tempo fa, dopo il divorzio da mio marito, ho lavorato per sei anni a Mosca: mi sono trovata benissimo, la gente era ospitale come lo è in Sardegna. Io non ho alcun rancore nei confronti del popolo russo, certe decisioni vengono prese da chi governa. Ma questo incubo non ci permette di vivere serenamente, abbiamo tante persone care ancora in Ucraina che devono fare i conti con questa follia».
“Zdravstvuyte”, ci dice Nicola, prima di congedarci. Ciao, giovanotto: l’augurio è che possa tornare presto dai tuoi nonni e tornare a parlare con i tuoi amici di una vita che riprende a fiorire. La primavera è vicina, si spera non soltanto in Italia.
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