Salute

Dalla lana, un sostegno a chi lotta contro il cancro

L'associazione Gomitolorosa, presieduta dal senologo Alberto Costa, riutilizza la lana che altrimenti andrebbe smaltita come rifiuto speciale, per realizzare progetti di lanaterapia nei reparti oncologici, soprattutto legati a tumori femminili come quello al seno o alle ovaie

di Veronica Rossi

I reparti oncologici si colorano di gomitoli di lana, con cui le pazienti possono sferruzzare nelle interminabili, e spesso angosciose, attese per gli esami o per la terapia. Grazie all’attività di Gomitolorosa, che promuove il lavoro a maglia per favorire il benessere delle persone affette da diverse patologie, in particolare tumorali, in quasi venti ospedali in Italia si sta sviluppando l’utilizzo della lanaterapia, sia come antistress sia come rimedio per tenere la mente attiva e vitale.

Lavorare a maglia distrae dalle preoccupazioni, aiuta a percepire meno il dolore, agevola i processi di socializzazione e migliora l’autostima perché implica un obiettivo e il suo raggiungimento”, racconta Alberto Costa, il presidente della onlus, medico che ha dedicato la sua vita alla cura del cancro al seno, amico intimo di Umberto Veronesi, di cui ha anche scritto la biografia.

“Da chirurgo avevo già notato che le pazienti che lavoravano a maglia riuscivano a estraniarsi in modo diverso rispetto a quelle che ascoltavano musica o stavano al cellulare. Così, dall’unione tra la mia professione e le mie origini, è nata Gomitolorosa”, ricorda Costa

Il contatto fisico con la lana e coi diversi modi di lavorarla, ai ferri, all’uncinetto, feltro, sono tutte attività terapeutiche”, continua il presidente, “perché hanno sul cervello un effetto positivo, rilassano ma al tempo stesso richiedono una certa dose di calcolo e concentrazione”.
Nell’autunno del 2021, la Onlus Gomitolorosa ha avviato un progetto di ricerca che mira a studiare quanto l’attività di knitting (lavoro a maglia e uncinetto) possa giovare al nostro cervello. Il progetto è realizzato dai neurologi, neurofisiologi e psicologi della Fondazione IRCCS – Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano.

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14 mila kg di lana recuperata

“Tutto è nato nel 2012, quando ero per una conferenza nella mia città natale, Biella, dove ho visto dei fuochi sulle montagne: erano i pastori che bruciavano la lana perché non sapevano come smaltirla”,

Non tutti sanno, infatti, che Biella è sempre stata un centro importantissimo per l’industria laniera; la famosissima marca Fila, per esempio, prende il nome proprio da una famiglia di queste zone. Ora, però, i centri per la lavorazione del vello delle pecore rimasti sono pochissimi e chi possiede degli ovini, che, per il loro benessere, vanno necessariamente tosati all’inizio della bella stagione, non sa più dove conferire il loro pelo. Ma questo materiale, classificato come “rifiuto speciale” avrebbe tantissimi utilizzi, non solo perché è ignifugo e impermeabile, ma anche perché può aiutare a stimolare e mantenere in allenamento sia la mente che il corpo.

Dal 2012, anno della sua fondazione, Gomitolorosa ha recuperato 14 mila kg di lana sucida. Da un kg di lana sudicia, dopo la lavorazione, si ottengono circa 4 gomitoli da 100 grammi: il necessario per una maglia.

Con la lana recuperata, la onlus crea gomitoli di pura lana vergine, certificata in 14 diversi colori secondo un codice internazionale che attribuisce ad ogni malattia una tonalità differente: il colore rosa è legato al tumore al seno, da cui è partito il progetto, arancione per la sclerosi multipla; azzurro per il cancro alla prostata; bianco per il tumore al polmone; blu per il cancro al colon e così via.

Per i pazienti di Alzheimer

Un’altra malattia per cui il vello di pecora può essere d’aiuto è il morbo di Alzheimer. “C’è una sperimentazione dell’Istituto Psichiatrico di Zagabria che dimostra come i manicotti in lana colorata siano benefici per i pazienti”, spiega il presidente di Gomitolorosa. Le volontarie de IL FILO CHE UNISCE stanno sviluppando anche in Italia la produzione delle famose “maniche” colorate, lavorate a maglia con tinte forti e arricchite di piccole decorazioni (sempre di lana) che attirano l’attenzione dei pazienti di Alzheimer nei momenti di agitazione. “Quando i malati entrano in una fase di agitazione, come purtroppo può succede, vengono attirati prima dai colori di questi oggetti e poi iniziano a tirarne con le dita le protuberanze; questo ha un effetto calmante che, a volte, può anche sostituire i farmaci che vengono utilizzati di solito, come il Valium”. Informazioni sul progetto dei manichotti possono essere individuate qui.

I progetti di solidarietà

Ma, alla fine del processo, che fine fanno i prodotti lavorati da pazienti e volontari? Nulla viene buttato: coperte, cuffie, scaldacollo e altri accessori arrivano a chi ne ha più bisogno. La lana più morbida, derivata da pecore pugliesi viene utilizzata per ricavarne dei copricapo per chi, a seguito della chemioterapia, ha perso i capelli. Coperte e altri prodotti, invece, vanno ad alimentare i circuiti della solidarietà verso chi, come i senzatetto, ha bisogno di scaldarsi e di essere sostenuto nella sua vita quotidiana. “Abbiamo una lunga collaborazione con l’ospedale di Napoli che accoglie ragazze madri”, dice Costa, “a cui mandiamo scialli da mettere sulle spalle durante l’allattamento o copertine per bambini”.

Il progetto al Policlinico Sant’Orsola di Bologna

Anche l’associazione Loto di Bologna, che si occupa su tutto il territorio nazionale di sensibilizzazione e ricerca sul tumore all’ovaio, ma anche di sostegno psicologico alle famiglie e alle pazienti, dona ai bisognosi indumenti e coperte realizzati nell’ambito della lanaterapia. Il progetto è nato dall’ormai consolidata collaborazione con Gomitolorosa, grazie alla quale il sodalizio emiliano svolge attività con la lana nel day hospital del Policlinico Sant’Orsola di Bologna.

“In un momento molto brutto, come quello dell’attesa per poter svolgere la chemioterapia o durante la stessa infusione, il lavoro a maglia permette di distrarsi, di pensare ad altro”, racconta la responsabile dell’iniziativa per l’associazione Loto, Manuela Bignami. “In più, è bello, per le donne ammalate, pensare di star realizzando qualcosa che può essere utile agli altri”. L’attività in ospedale è ripresa da un anno dopo la pandemia, ma sono già stati utilizzati circa 50 kit. “Ci sono persone che si sono molto appassionate e che si portano la lana in stanza o a casa per continuare il lavoro”, conclude la responsabile. “Abbiamo anche utilizzato dei gomitoli aggiuntivi oltre a quelli che ci sono stati donati: si tratta di un’attività che apporta molti benefici, soprattutto psicologici, alla pazienti”.

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