Salute

Dalla cella all’impresa

Rotelli e Righetti si alleano con la Compagnia delle Opere per completare la rivoluzione psichiatrica sino a smantellare anche gli Opg.

di Giampaolo Cerri

Se Basaglia incontra il non profit, si può persino pensare di chiudere i manicomi criminali, altrimenti detti ospedali psichiatrici giudiziari. L’occasione per un rendez vous è stato il Meeting di Rimini, qualche giorno fa, dove c’erano alcuni “Basagliani” storici, come Franco Rotelli e Angelo Righetti. Rotelli, primario psichiatra a Trieste, allievo e collaboratore dell’uomo che nel 1961 cominciò a svelare all’Italia la menzogna dei manicomi; Righetti direttore del Dipartimento di salute mentale a Palmanova che, insieme a un suo giovane collaboratore, Marco Bertoli, ha avviato in tutto il Basso Friuli l’esperienza delle “locande”, trasformate in cooperative sociali e affidate ai malati psichici. Entrambi eredi Franco Basaglia e concordi nell’individuare nel privato sociale un alleato prezioso per spingere sempre più avanti la rivoluzione iniziata dal proprio maestro. Proprio dall’esperienza del Basso Friuli arriva l’impulso a tentare, insieme alla cooperazione sociale, il passo più ardito: chiudere gli o.p.g. «Le proposte di legge già presentate non ci soddisfano», dice Rotelli, «pur avendo, specialmente quella del sottosegretario Corleone, alcuni elementi positivi». Proposte che peraltro risultano perdute da un paio d’anni nei meandri parlamentari. Eppure l’idea presentata a Rimini da questa alleanza inedita fra psichiatri basagliani e Compagnia delle Opere – non profit è semplice: verificare la storia personale di ogni malato-detenuto, trasferire le relative risorse finanziarie alla Regione d’origine, vincolandone l’utilizzazione a progetti di accoglienza e recupero personalizzati. «Costituiamo un team a livello dei ministeri Sanità e Giustizia che studi caso per caso e individui i percorsi di recupero spostando le risorse al territorio», continua Rotelli, ricordando come l’universo manicomiale giudiziario italiano assorba ogni anno più di 100 miliardi di lire. E l’allarme sociale che una proposta del genere può sollevare? «Non si creda che in questi istituti ci siano solo assassini», risponde. «Anzi, la maggioranza degli internati ha commesso reati contro le cose, contro il patrimonio o comunque reati minori. Ci sono quelli che hanno sputato in faccia ai carabinieri. Partiamo da loro, costruiamo questo processo e poi arriviamo ai casi più gravi». Alla pericolosità dei quali, peraltro, il primario, che ha 15 anni di lavoro in o.p.g. alle spalle, esprime i suoi dubbi: «Si tratta di persone in cui, proprio con l’omicidio, si è esaurito un percorso di follia. La madre che ha ucciso il figlio dentro una situazione di enorme stress affettivo non va in strada a uccidere la gente». Un progetto che gli psichiatri triestini avevano già illustrato, per grandi linee, anche all’ex direttore del Dipartimento carceri, Margara, prima che venisse rimosso: «Vedremo adesso Caselli come ragiona. Noi siamo convinti che si tratti di un progetto in cui la rete della cooperazione sociale può svolgere un ruolo fondamentale», conclude Rotelli. Lorenzo Crosta, imprenditore sociale “storico” della CdO, è pronto: «Il primo malato mentale che abbiamo accolto, molti anni fa, era una persona che, per aver dato una sberla a un poliziotto, si era fatto quattro anni a Castiglion delle Stiviere. Oggi lavora a Milano con Fratel Ettore, accudisce i barboni della stazione ed è una persona estremamente positiva». Marco Bertoli, lo psichiatra di Palmanova che ha messo in relazione gli eredi di Basaglia e la Compagnia delle Opere, inquadra la sfida che parte da Rimini in un contesto etico-sociale più grande: «Il 2000 è l’anno del Giubileo. Iniziare la chiusura di questi luoghi di inutile sofferenza in corrispondenza di questo anniversario significherebbe lanciare un messaggio di autentica pace e di vera speranza a tutt’Italia».


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