Famiglia

Dall’affido all’ospitalità. Le nostre tremila case sempre aperte

Da 20 anni aprono la porta ai bisogni degli altri. Sono i volontari più amati dal fondatore di Comunione e liberazione, don Luigi Giussani. Nel 1982 a Milano, oggi in tutta Italia.

di Giampaolo Cerri

Tremila famiglie che aprono la porta di casa. E anche la loro vita, visto che si occupano di affido, adozione, accoglienza di persone in particolare difficoltà come tossicodipendenti, ex carcerati, giovani a disagio. Un?apertura a 360 gradi. Sono le Famiglie per l?accoglienza, associazione che celebra quest?anno il ventennale della propria attività. Un?esperienza unica, cominciata nel 1982 a Milano, ma che era in cammino da tempo. Un piccolo popolo aperto al bisogno altrui e oggi presente in tutta Italia (le sedi regionali sono 17). Un esercito di generosità. Gratuità, precisano loro, che sono tutti o quasi aderenti al movimento di Comunione e liberazione, fondato da don Luigi Giussani. E tutti raccontano di dovere molto a questo sacerdote, che li ha educati ad aprire le braccia all?altro, per accogliere un Altro, con la a maiuscola. Giussani, d?altra parte, li ha sempre seguiti con paterna tenerezza, indicandone spesso l?esperienza a tutti i ciellini. «Il vostro esempio illumina per me la strada del futuro», ha scritto loro, «una familiarità, o fraternità, che si apre in un abbraccio senza remore». Di remore non ne hanno avute Cristina e Mauro, milanesi, ormai prossimi ai 50, con tre figli ancora in casa. «Abbiamo accolto una ragazza malata di Aids che era stata dimessa dall?ospedale, ma che prima di tornare a casa, aveva bisogno di una famiglia che l?aiutasse a riprendersi», racconta lei. Poi sarebbe stata la volta di Claudio, un coetaneo senza lavoro e con problemi nervosi, che poi sarebbe diventato di casa, tanto che per i figli, oggi, è ?zio?. Nessuna riserva neppure per Franco e Luisa, coppia di Zola Predosa , con quattro figli e tre genitori anziani a carico. Si resero disponibili a ospitare un ragazzino di Bari, paraplegico, giunto a Bologna per un periodo di cure. Dopo 3 anni è ancora a casa loro. La dimora possibile, mostra dedicata ai 20 anni dell?associazione, è stata l?evento clou del Meeting di Rimini. Info: Famiglie per Accoglienza Catania Tre fratellini per i nostri figli Nella nostra famiglia ci sono cinque ragazzi: le nostre due figlie, di 8 e 13 anni, e tre fratelli in affido di 9, 12 e 15 anni. Quando questi ragazzi sono arrivati da noi, circa 5 anni fa, presentavano problematiche molto complesse ed erano incapaci di comunicare (il più piccolo aveva 5 anni e non aveva mai parlato). Nei primi tempi dopo il loro arrivo, non riuscivano a guardarci negli occhi e quando al mattino davamo loro il buongiorno, restavano confusi, come se nessuno mai li avesse presi in considerazione. I primi mesi li abbiamo vissuti con enorme difficoltà: le mie figlie cominciavano a dare segni di sofferenza, perché quei bambini avevano ?invaso? la loro casa e rubato buona parte delle attenzioni che erano abituate a ricevere da noi. Ma il rapporto di stabile amicizia con le famiglie dell?associazione ci ha permesso di rimettere in sesto la famiglia, di imparare cosa significa avere attenzioni particolari per ciascuno e di iniziare così con i nostri bambini un impegnativo lavoro educativo. Adesso i ragazzi non ci vedono più come un?alternativa alla loro famiglia, ma come una risorsa per loro e per i loro genitori (il più grande ci confessava il suo desiderio di comprare una casa per i genitori accanto alla nostra!). E i ragazzi stanno meglio: l?anno scorso uno di loro ha vinto una borsa di studio per l?impegno scolastico! Le difficoltà dei loro genitori sono purtroppo forti e sarà impossibile un rientro in famiglia di questi ragazzi, però il rapporto con papà e mamma è comunque recuperato. Inoltre, attraverso il rapporto con noi, il papà sta imparando a capire cosa significhi essere padre. Giusi Caravaggio (Bergamo) Essere padre grazie a Remo Venti anni fa svolgevo il servizio civile in un istituto per ragazzi disabili a Caravaggio (Bergamo)e qui conobbi la mia futura moglie, Nadia, che faceva la fisioterapista. Lì c?era anche Remo, bambino di 11 anni, cerebroleso, che stava sempre in un angolo, da solo. Se nel salone incontravi il suo sguardo, lentamente si girava da un?altra parte. Una domenica lo abbiamo invitato a uscire con noi, per mangiare un gelato insieme, poi un?altra volta e un?altra volta ancora. Tre anni dopo, ci siamo sposati e la domenica a casa nostra c?era Remo… Quando la sera lo riaccompagnavamo in istituto, cambiava fisionomia; nessuna scenata, nessun pianto, ma l?espressione tradiva un?amara tristezza. Abbiamo così detto ?sì? alla possibilità di tenerlo con noi in tutti i fine settimana. Nei due anni seguenti, Remo ha cominciato ad aprirsi, a giocare con le cose, a essere contento di vedere gli amici entrare in casa. Era come una rinascita, non dei ?miglioramenti? dei limiti fisici o mentali che aveva (non parlava, non comprendeva le parole, doveva essere lavato, vestito, imboccato) ma cominciava a credere di esistere, a vivere dei rapporti per lui importanti. Tre anni dopo nasceva la nostra prima figlia, Federica e la presenza di Remo divenne per me un?obiezione, come se mi strappasse a quell?affetto. Gli amici, nel tempo, mi hanno poi aiutato a comprendere: Remo, la sua presenza, la difficoltà ad accogliere, tutto mi aiutava a comprendere che mia figlia in realtà non era in modo assoluto figlia ?mia? ma nel senso di compito, di responsabilità. Dal giugno ?88 Remo vive con noi: da quattro anni è in carrozzella. Dopo Federica sono sono arrivate Anna Chiara e Ilaria. Remo prestava attenzione a queste sorelline: gli piaceva tenerle in braccio, chiamarci quando piangevano. Ogni mattina Remo ti richiede un?ora per alzarlo, lavarlo, vestirlo, dargli da mangiare. La sua sopravvivenza, la sua vita stessa dipende da te che sei lì ad accudirlo. Per noi una persona che educa a uno sguardo diverso, che stiamo imparando ad avere su di noi, tra me e Nadia, tra noi e le nostre figlie. In questo ci sentiamo figli di nostro figlio Remo. Giuseppe Campi Bisenzio (Firenze) Ora la Cina è più vicina Avevamo da 9 anni un bambino in affido, quando ci è stato proposto di prendere anche Filippo, 8 mesi, cinese. Abbiamo detto sì, anche se con un po? di trepidazione: avremmo dovuto tenere i rapporti con una famiglia diversa per lingua, cultura e modo di vivere. Pian piano è stato evidente che eravamo chiamati a fare compagnia a tutta la sua famiglia. Con loro è iniziato un rapporto che si è spinto fino alla condivisione di alcuni aspetti della vita. E non importa se arrivano a casa nei momenti più impensati a chiedere consigli: fanno parte della famiglia. Spesso Xiaowei, mamma di Filippo, ci ha fatto presente il loro stupore davanti a questo tipo di gratuità, sconosciuta in Cina. Gratuità evidentemente contagiosa, visto che il babbo di Filippo ci ha aiutati a imbiancare casa e ha regalato oggetti in pelle, prodotti nel suo laboratorio, per il mercatino di beneficenza a favore dei volontari Avsi. L?arrivo di Filippo e il rapporto con i suoi è stato un avvenimento di stupore anche per i nostri concittadini. A Campi Bisenzio, molti cinesi hanno impiantato piccole attività di pelletteria. Non sono ben visti, perché non si coinvolgono con gli italiani, neppure con le parrocchie. è un?esperienza che ha avuto un riflesso importante sul lavoro di mia moglie: insegnare è diventato accogliere i bambini per quello che sono, far loro compagnia nel cammino verso il destino. Come Filippo ha insegnato. Emanuele e Paola


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