Volontariato
D’Alema. “L’estremismo guida l’Italia”
Standing ovation al congresso per il presidente Ds: "Il nostro 'meno tasse' deve essere 'più salario per tutti'", dice Massimo D'Alema. Che attacca il premier
ha pensato Massimo D’Alema, in un discorso che via via è diventato una appassionata investitura di leadership a Romano Prodi e alla Federazione dell’Ulivo, a far partire l’affondo più duro contro Silvio Berlusconi. Perché, attacca D’Alema, “in un paese civile, quando parla il leader dell’opposizione, il capo del governo ascolta, e il giorno dopo risponde”. Chiaro il riferimento a quella che l’ex premier definisce la “trovata” del Cavaliere, vale a dire il tentativo di oscurare le assise Ds con il consiglio nazionale di Forza Italia.
E non solo. D’Alema affonda ancora quando dice, tra gli applausi di una folla che lo ha accolto con una standing ovation seconda solo a quella riservata al Professore, che ancora una volta, in questa occasione, “si è dimostrata la nostra serietà e passione e la pochezza di chi guida il Paese”. Perché l’anomalia del bipolarismo italiano “non è che ci siano forze estreme, o perfino estremiste, nelle coalizioni, ma che in Italia l’estremismo sia alla guida”.
Il presidente Ds attende dal congresso il voto che lo riconfermerà, ed è noto che cerca il più largo consenso possibile. Anche quello di una parte della minoranza del partito. Raccoglie applausi quando dice che “il nostro ‘meno tasse per tutti’ deve essere ‘più salario per tutti”. Recupera un argomento alla destra quando chiede diritto di voto per gli immigrati regolari “che lavorano e producono” in Italia. Segue e rilancia lo “strappo” di Fassino sull’Iraq quando sottolinea che “le elezioni sono state un grande evento”, e che la sinistra non può che stare dalla parte della democrazia a Bagdad, perché questa sarebbe la vittoria degli iracheni, e non quella di Bush”.
Ma il cuore del suo intervento arriva nel finale. E’ la difesa appassionata, perfino accorata, della Federazione dell’Ulivo, che “non è ingegneria politica”, come potrebbe sembrare, ma una grande sfida. “Siamo pronti a un patto che sia più largo possibile – dice D’Alema – anche con la sinistra radicale. Ma per rendere questo patto credibile agli occhi degli italiani c’è bisogno di una grande forza, che garantisca e rassicuri il Paese sul governo dell’Italia e sul suo ruolo in Europa e nel mondo.”
Così, nel finale, proprio dopo aver fatto appello alla minoranza del partito affinché entri, attivamente, con tutta la sua ricchezza di idee, nella sfida della Fed, la nuova accellerazione. “Il partito unico – dice l’ex premier a una platea che capisce il momento e ora lo ascolta in silenzio – non è all’ordine del giorno. Ma nessuno può impedire ad alcuno di sperare, nel tempo, in uno schieramento progressista più ampio, oltre l’allenza, in cui si contaminino culture diverse”.
Una accellerazione che risuona ancora, mentre i delegati gli tributano un lunghissimo applauso, nella frase finale del discorso. Con cui l’ex premier, prima ancora che la cessione di sovranità avvenga negli statuti e nei regolamenti, scandisce che “le idee di Romano Prodi non sono una base di partenza su cui lavorare, ma sono le nostre idee”.
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