Cultura

Dal Parini alla Barona sul tram dell’inqiuetudine.

Il liceo della Milano bene,i quartieri degli "zarri" e i locali del branco.Fino al capolinea delle bande di periferia. Un tour a tappe nei sogni di una generazione che non ha le idee chiare.

di Cristina Giudici

Pragmatici e sognatori. Illusi e disincantati. Violenti e organizzati in baby gang. Viziati e abbandonati a se stessi. In cerca del brivido dell?illegalità, ma sempre incollati a mamma e papà. Sugli adolescenti milanesi è stato detto di tutto e il contrario di tutto. Sono stati dipinti con parole forti, categorie sociologiche ormai scadute e tante, troppe, immagini in bianco e nero. Eppure basta guardarli negli occhi, ascoltare i loro racconti e osservarli come si muovono, da soli e in branco, per capire che le cose non stanno così. Che avere sedici-diciassette anni a Milano è una storia maledettamente complicata. Che nelle loro vite c?è posto per l?armonia di Platone e le ?canne? in piazza. L?amore per i genitori e il motorino rubato davanti a scuola. L?insofferenza per la guerra e il sogno di far tanti soldi. L?amore per la letteratura e le risse con le bande avversarie il sabato sera. Nel centro di Milano, a Brera, come nel quartiere popolare della Barona, oppure nell?oratorio spoglio della famigerata via Lope de Vega o in quello elegante della chiesa di San Marco. Nella discoteca degli ?zarri?, il Number One di Brescia dove vanno i ragazzi di periferia, come al Propaganda di piazza Castelbarco, meta preferita dei ?pettinati?, i fighetti di sempre.

I figli della Zanzara
Non parlate delle baby gang che taglieggiano i ragazzi ?pettinati? all?uscita della scuola. Quelli che indossano le polo Ralph Lauren, i giubbotti North Sale, le scarpe Church o New Balance, e portano i telefonini in bella vista. Non chiedete se tra i loro miti c?è ancora Che Guevara. Non domandate se nella loro adolescenza c?è ancora posto per i sogni o per una sola grande passione. Al liceo Parini, da sempre considerata la fabbrica della classe dirigente, è vietato banalizzare, catalogare, definire. Sennò i ragazzi si arrabbiano sul serio. Qui, dove ieri c?erano i figli ribelli della sinistra del collettivo La Zanzara, che ha scritto un pezzettino di storia degli anni caldi e oggi ci sono tredici rampolli della famiglia Moratti, figli di avvocati, direttori di giornali, professionisti e qualche ?straniero? venuto da fuori Milano, bisogna andarci piano con i grossi paroloni e le domande da cronaca ?in diretta?. Ma una volta che il ghiaccio è sciolto, i loro racconti sono come un fiume in piena. C?è Michele, il sofista, come lo chiamano gli amici, che dopo la scuola e l?università vuole fare politica. Fa parte del collettivo che ha promosso l?occupazione della scuola, e con la sua dialettica magari da grande farà l?avvocato. «Non ha visto lo striscione che abbiamo appeso nell?atrio? Dice: ?Odio l?indifferenza?. Sì perché la nostra scuola è diventata sterile, inutile e noiosa. É fatta di programmi che esulano dalla contemporaneità e ci chiedono di ripetere nozioni che non ci serviranno mai. Peggio di vent?anni fa».
Chiuso in un giubbotto non griffato c?è Giulio pronto a lanciare la sua provocazione: «Io per un paio di scarpe sarei pronto a uccidere». Poi attacca i giornalisti che hanno scritto «un sacco di cazzate sulle baby gang». Alessandro, figlio di un giornalista, invece ama i fumetti di Hugo Pratt e si lamenta per la mancanza di mostre interessanti a Milano. Elisabetta, che quest?anno sarà bocciata, «ma non gliene frega niente», ha passato l?inverno a leggere i romanzi della giovane scrittrice cult giapponese Banana Yoshimoto, dice con aria malinconica: «Vedo tanta noia, vuoto e disperazione intorno a me».
Se ne stanno tutti lì a parlare, a ridere e urlare nella sala fumatori durante le ore di lezione. Ogni tanto qualcuno entra e dice ?trenta?, la parola d?ordine per indicare che forse c?è uno spinello in giro. A Michele, il pasionario del gruppo, non gliene frega niente delle battaglie di Carlo V e dello scisma della Chiesa. Lui, che è figlio di un insegnante di greco e latino, non sopporta la televisione che «fotte la mente» , e neppure i romanzi ?commerciali?. Ama Voltaire, ?Guerra e pace? di Tolstoj, la Bibbia, il Vangelo e Italo Calvino, e se glielo chiedi ti recita anche i versi della Divina Commedia a memoria. Ma poi, con i suoi amici va allo stadio per sentire l?adrenalina scorrere nelle vene anche se, come dice lui, «ci vado perché se capirò il calcio, capirò la politica di questo Paese». Giulio, Alessandro e Michele odiano la commercializzazione dei miti, come quella che ha ridotto Che Guevara a un?anonima foto sbiadita stampata sulle magliette. Preferiscono andare ai concerti del Leoncavallo, al Bulk, adorano la musica jungle, le partite del Milan e ogni tanto fanno un salto in piazza Prealpi, dove ci sono anche gli ?zarri?, quelli con i grossi crocefissi attaccati al collo, che si arrabbiano se qualcuno impreca contro la Madonna.

Al Propaganda
Questi ragazzi della Milano benpensante e borghese, quella che fa moda e segue le tendenze, che conosce i segreti finanziari e giudiziari della Prima Repubblica, ma si vanta di aver insegnato ai propri figli i principi della tolleranza, la democrazia e la diversità, si ribellano davanti alle discriminazioni razziali. Sussultano quando si nomina la guerra in Kosovo, e si arrabbiano parecchio quando leggono gli articoli che inchiodano le baby gang. Ma al sabato sera vengono tutti qui, alla discoteca Propaganda, dietro l?Università Bocconi. Ci viene Nicolò di Segrate che studia al Parini e ha un sogno: tornare a fare il writer. E ci viene anche Paolo che impazzisce per la musica hip-hop, legge riviste di scienza e sa già che da grande farà il diplomatico perché sua madre è parlamentare europea. Paolo ha la camicia di seta e le scarpe Church, Nicolò ha i pantaloni con tante tasche che fa molto new yorker, un felpa con il cappuccio e occhi trasognati. «Ho dovuto smettere di fare graffiti perché i miei genitori mi hanno chiesto di farlo, per via delle leggi restrittive e delle multe», dice Nicolò rassegnato. A Milano lo conoscono tutti con il suo pseudonimo, quello che usa nei suoi Hall of fame: Genio. «Ho cambiato tante volte nome perché l?arte dei graffiti è un?evoluzione della mente e questo nome si presta a continue elaborazioni». Ha diciassette anni, ma ha già capito che il tempo delle mele è finito da un pezzo. «Vorrei vivere della mia arte, ma dato che è impossibile allora penso di fare il giornalista perché i miei genitori mi possono aiutare». Il suo mito è Malcom X, il leader afro-americano e musulmano che negli anni ?70 predicava l?insurrezione di tutti i neri americani, ma il suo riferimento culturale sono i genitori che fanno gli psicologi. Genio parla della sua crew, della notte che ha provato ad entrare nella stazione di piazza Cadorna per sfidare un altro writer: «Se vai sopra a un altro Hall of fame, devi sapere fare di meglio o ti vengono a prendere a casa». Paolo racconta del periodo degli imbucati, quelli che andavano alla feste e amavano buttare i mobili per strada e saltare con tanta violenza fino a quando facevano dei buchi nel pavimento. «Una rabbia che capisco», dice Paolo che è stato vittima di un taglieggiamento ma continua a stare dalla parte di quei ragazzi irrequieti che vengono da lontano, dalla periferia. «Vivono i miti della moda ma non hanno soldi né prospettive».

Quelli dell?oratorio San Marco
Le incursioni al Propaganda partono anche da qui, dall?oratorio di San Marco, dove i ragazzi della zona giocano a pallone, fumano e ascoltano musica. E se lo chiedi ti raccontano delle bande di quartiere. Luca, per esempio, voleva fare il calciatore. Ma poi si è iscritto all? Istituto tecnico e sogna di fare il commercialista perché, come dice suo padre, così puoi fare i soldi. Ricorda quella volta che un ragazzo si è ribellato ed è stato punito, «saccagnato di botte». Proprio qui dietro la sede de ?Il Corriere della Sera?. «Si tratta di ragazzi ricchi che stanno molto meglio di me, tipi normali che si divertono così», dice ridendo Luca. «Prima le bande della zona Brera si trovavano addirittura in un campetto vicino alla Questura di via Moscova, facevano a botte con quelli di Quarto Oggiaro, rubavano motorini, e minacciavano i più piccoli, ma con l?aria che tira sono scomparsi». Carmelo è figlio di insegnanti e dice di voler pensare solo a giocare a pallone e a divertirsi: al disco pub «dove c?è lo schermo grande per le partite», al Propaganda, «dove si conosce un sacco di gente», e al sabato pomeriggio quando si va in branco al parco Sempione «dove magari ci si fa una canna». E poi, capita di trovare l?amico più grande che ha la macchina e via. Si va fuori Milano, al Number One o si gira senza meta. Luca legge John Grisham, perché i suoi protagonisti vincono sempre . Va in chiesa: «Mi sento più sereno quando vado a messa». Carmelo ama Daniel Pennac, «Vorrei essere come l?autore, imprevedibile, avventuroso e sognatore» e si proclama comunista. «Ma forse farò il sindacalista come mio padre», afferma.
Ma se si parla di sogni, fanno cenno di no, che non ne hanno, non ci pensano proprio. «A meno che», conclude Luca, «sia possibile diventare un altro Diego Armando Maradona».

Barrio?s, voci di periferia
Ma sono i giovani di periferia, gli adolescenti, che fanno più fatica a crescere, che hanno bisogno di credere e di riuscire sognare. Vivono qui, in mezzo a caseggiati opprimenti, stretti fra la violenza di tutti i giorni: quella dei genitori, dei padri, dei vicini, delle bande di quartiere e ora anche quelle dei tunisini e dei marocchini che ogni pomeriggio arrivano alle giostre con una macchina diversa e sacchi di plastica pieni di soldi contanti. Alcuni passano le giornate a bere Campari e a fumare, in attesa del sabato sera quando ci si sposta al Number One di Brescia. Altri si fermano prima, in tempo, e cercano almeno un lavoro. Come Matteo che ha ottenuto una borsa lavoro alla Comunità Nuova di don Gino Rigoldi, nel quartiere della Barona e fa il barista alla birreria centro sociale il Barrio?s, che vuol dire appunto quartiere. «Non piango mai», sostiene Matteo, capelli tagliati a corona e sorriso fiducioso. «Ma quando vedo i miei amici che si perdono dietro le droghe e rubano motorini mi sento triste, come quando perde la Mc Laren visto che il mio sogno è di fare il pilota. Ho un motorino che ogni mese dipingo di un colore diverso, così nessuno capisce a chi appartiene e non me lo rubano.» Matteo ha due miti: Ayrton Senna e Lucio Battisti. «Mi piace suonare la chitarra quando vado al mare. Forse un giorno lascerò tutto questo e andrò a vivere in campagna. Non mi piace fare come i miei amici che ogni sabato pomeriggio si sbattono in centro per mescolarsi alla folla: al solo pensiero mi viene l?ansia. Vorrei una vita più pulita, lontano da qui». Tra quelli che vivono per confondersi con la gente per sbollire la propria rabbia, dimenticare la disperazione e la desolazione del quartiere, l?oppressione della famiglia, ci sono le sedicenni della famigerata via Lope de Vega. Una strada fatta di due caseggiati, dove vive un clan famigliare che nasconde le refurtive in cantina e insegna ai figli il valore dell?omertà. Patrizia, Claudia e Cettina fanno parte di una banda di dieci ragazze che hanno capito che nella vita non c?è rispetto per nessuno, che non esiste l?amicizia e neanche un po? di giustizia. E allora, quando possono si sfogano facendo a botte: «Quando andiamo da Mc Donald e qualche ?fighetta? ci guarda storto, qualche maschio ci manca di rispetto, oppure quando qualche tipa ci porta via il ragazzo», sottolinea orgogliosa Patrizia, la più loquace del gruppo, nel giardinetto desolato di via Lope de Vega. «Ho smesso di studiare perché non ci stavo dentro con la testa», aggiunge. «Così alla mattina mi alzo e guardo una telenovela, poi fumo una sigaretta e faccio i mestieri. Al pomeriggio vado alle giostre e quando torno guardo un altra telenovela. Poi riscendo e torno alle giostre con le mie amiche». Claudia invece ha dovuto smettere di studiare perché in casa non c?erano più i soldi e fa le pulizie a ore nelle case del quartiere. Il loro mondo è popolato da ragazzi più grandi e tanti cugini che le proteggono, e una famiglia che non ha rispetto per il loro futuro.
Unico vero sogno è trovare l?amore e scappare via, lontano. Dove si possa respirare aria pura e non ci siano cantine fetide, caseggiati grigi e senza il bisogno di difendersi dai tunisini. Lontano dalle feroci gang di quartiere e dai cugini che spacciano. Dove non ci si deve corazzare organizzandosi in bande per andare sui tram. E usare le mani per ricordare al mondo di esistere.

Genio
Vado pazzo per la musica hip hop,sogno di fare il writer.Farò il giornalista,
come vuole papà…

Michele
Odio la tv che fotte la mente, amo Voltaire e Tolstoj,ma è allo stadio che si capisce come va il Paese

Matteo
Quando vedo gli amici che si fanno le canne, divento molto triste.Come quando perde la Mc Laren…

Claudia
Siamo una gang di 10 ragazze.Ho lasciato la scuola perché non c’erano più soldi.
E faccio le pulizie a ore…

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